Gli inviti, da parte di classi di studenti a incontrare qualche reduce del Sessantotto, si fanno più frequenti via via che restiamo sempre in meno a sopravvivere,. Quando tocca a me, mi riesce difficile proporre una narrazione sintetica e soprattutto imparziale. In questi giorni ho provato a partire dall’equazione Sessantotto = contestazione globale: globale in senso geografico (ha toccato quasi tutto il pianeta) e in senso intensivo (ha riguardato quasi tutti gli aspetti della vita personale e collettiva).
Ma
chi sono stati i soggetti principali di questo movimento contestatario che si
proponeva, attraverso lotte settoriali, di cambiare l’intero “sistema”?
Innanzitutto
gli studenti che hanno contestato contenuti e metodi pedagogici delle
agenzie educative più diffuse (scuole/università e chiese); la morale sessuale
dominante (ossessionata dal rischio delle gravidanze indesiderate) e le
politiche militariste (la cui espressione parossistica era costituita dalla
guerra del Vietnam).
In
contemporanea con le rivolte studentesche – e non di rado ad esse intrecciato –
si è registrato il movimento di liberazione delle donne: il femminismo, da teoria e pratica di piccoli
gruppi pionieristici, è diventato un fenomeno sociale molto più ampio e
ramificato.
Anche
gli operai si sono mobilitati per il miglioramento decisivo delle
condizioni di lavoro e, più radicalmente, per introdurre nella fabbrica spazi e
tempi di partecipazione democratica.
A
più di mezzo secolo da quegli anni il bilancio è ambiguo.
Certamente
è stato ottenuto il riconoscimento legislativo di molti diritti civili
anche in Paesi dove sembravano impossibili (vada per tutti il caso del divorzio
in Italia), ma non si può negare che le istanze progressiste hanno esasperato l’individualismo
tipico della concezione antropologica borghese: il “noi” ha ceduto quasi
completamente il posto all’ “io” nell’accezione più riduttiva ed egocentrica.
Certamente
sono stati ottenuti per i lavoratori e i cittadini meno abbienti notevoli progressi
salariali e, più in generale, legislativi. Ma proprio queste conquiste in
direzione dello Stato assistenziale prefigurato nella Costituzione repubblicana
hanno scatenato nelle minoranze imprenditoriali, militari e politiche di stampo
reazionario una vera e propria strategia terroristica (sia attraverso
Servizi segreti statali sia manovrando, in forme non ancora del tutto chiarite,
gruppi estremisti di destra e di sinistra nonché associazioni criminali
mafiose). Perciò, se la mobilitazione partitica e sindacale ha prodotto
risultati tangibili e motivanti, la degenerazione terroristica ha smorzato gli
entusiasmi dei cittadini inducendoli a ripiegare, per paura e/o delusione, nel
disimpegno politico dalla fine degli anni Ottanta a oggi.
Sul
piano internazionale il vento del Sessantotto ha soffiato anche all’interno dei
grandi Partiti Comunisti Occidentali ed è penetrato al di là della “cortina di
ferro”, contribuendo non poco al progressivo indebolimento, ideologico e
istituzionale, dell’Unione Sovietica: di
uno dei due antagonisti della Guerra “fredda” che aveva mantenuto il mondo
sotto la spada di Damocle di un conflitto nucleare definitivamente devastante.
Ma con l’implosione dell’URSS il bi-polarismo planetario ha lasciato
campo libero ad uno solo dei due imperialismi in conflitto: gli Stati
Uniti d’America e i Paesi occidentali alleati (NATO). Una supremazia che sembra
indiscussa dal punto di vista culturale (l’anglo-americano come lingua
universale e il capitalismo come teoria economica unica, adottata da regimi
politici di segno diverso), ma che lo è sempre
meno dal punto di vista politico-militare dal momento che Cina, Russia, India,
Brasile e altri Paesi emergenti non intendono rinunziare ad arginare lo
strapotere statunitense sulla scena internazionale.
Il quadro è (per fortuna) in continuo cambiamento e molto di ciò che è mutato dal 1968 al 2025 – soprattutto con l’avvento del Web e dei suoi padroni sovranazionali - muterà certamente nei prossimi anni, anzi nei prossimi mesi. Come dal Sessantotto (e, in parte, grazie ad esso) in poi, saranno cambiamenti in meglio e in peggio: la storia sembra preferire lo zig-zag alla linea dritta. Individui e gruppi possono condizionarne il corso? Mezzo secolo fa sembrava che si fosse un po’ tutti convinti di sì. Oggi siamo in pochi a perseverare in quella generosa, ma ingenua, convinzione di poter “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si è trovato” (Robert Baden Powell). Cerchiamo nuove motivazioni ideali, nuovi miti propulsivi; ma nessuna improbabile rinascita di passioni sopite avrà effetti storici incisivi se non sostenuta dalla fatica condivisa dell’indagine razionale, della riflessione critica, della progettazione meditata. Cuore e ragione, si potrebbe sintetizzare con uno slogan. Ma già Hegel aveva coniato il modello antropologico affascinante del “cuore pensante”.
Augusto
Cavadi
* Per la versione originaria, corredata da foto, cliccare qui:
https://www.zerozeronews.it/dall-8-marzo-alla-coscienza-civile-quel-che-resta-dei-sogni-del-68/
1 commento:
Bella e utile questo riesame del 68... Quanto alla tua bella conclusione, spesso cuore e pensiero si intralciano, coordinarli in modo che si stimolino ed integrino a vicenda dovrebbe essere il nostro compito
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