giovedì 27 febbraio 2025

POESIA COME VOCE DELL'IMPEGNO CIVILE: "APPUNTI DI VERSI" DI UMBERTO SANTINO


Umberto Santino ha scandito – e in qualche misura, forse, supportato – la sua instancabile attività scientifica e sociale con una riflessione più interiore. Dopo vari altri frutti di questa spiritualità laica - i suoi scritti di carattere letterario, sia narrativi che lirici – viene alla luce in questi giorni una raccolta di poesie composte dal 1964 a oggi: Appunti per un libro di versi (Di Girolamo, Trapani 2025, pp. 426, euro 20,00).

Come è facile ipotizzare, queste pagine riflettono varie stagioni della sua esistenza e varie sfaccettature della sua personalità.

Alcune rivelano l’impegno del co-fondatore (con la moglie Anna Puglisi) del “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato”: “Questo non è mio figlio./ Queste non sono le sue mani/ questo non è il suo volto./ Questi brandelli di carne/ non li ho fatti io./ Mio figlio era la voce/ che gridava nella piazza/ era il rasoio affilato/delle sue parole/era la rabbia/era l’amore/che voleva nascere/che voleva crescere./ Questo era mio figlio/quand’era vivo,/quando lottava con tutti:/mafiosi, fascisti,/uomini di panza/ che non valgono neppure un soldo/ padri senza figli/ lupi senza pietà” .

In altre pagine l’eco di tante campagne anti-militariste: “I mercanti vendono armi/e le armi sono fatte per combattere./ I più furbi erano loro/ e vincere o perdere/non aveva senso per chi cadeva/guardando per l’ultima volta/il cielo che avremmo potuto goderci/ stando seduti nelle caffetterie”.

Versi del natale 2000 non hanno perduto – purtroppo – neppure un grammo di tragica attualità: “Neppure questa notte/ci sarà tregua/ tra i ragazzi dell’Intifada/ e i soldati del popolo eletto./Qui si attende ancora/la nascita di un messia/ e si scambiano le parti/ Davide e Golia”. Come non l’hanno perduto altri “appunti” della prima decina del secolo in corso dedicati al Mediterraneo: “Non arrivano più guerrieri/spinti dalla voglia/ di conquistare il mondo/ o corsari allenati/agli stupri e ai saccheggi/ e le acque non assistono più/ alle battaglie tra romani e cartaginesi/bevendo il loro sangue./Ora sul mare si avventurano/i figli della disperazione/e li spinge la ricerca/di improbabili terre promesse./E le onde cullano i corpi/dei morti alla speranza”.

Ancora più tremenda della crudeltà fra esseri umani all’autore appare la ferocia degli umani verso gli altri animali: “Lezione di morte/ per chi rimane a vivere/io canto la tua bocca spalancata/canto il tuo sangue sparso/la tua nudità innocente/nel sudario della sera/toro senza nome/ucciso da uomini senza pietà/ nero cristo di Spagna”.

A tanti orrori Santino non può reagire più né con la fede cristiana della giovinezza né con la speranza marxista della prima maturità: come agli apostoli di Cristo e ai profeti della rivoluzione comunista, anche a noi resta solo da tornare “alle nostre case/per continuare a sognare/ un sogno che non si avvera…”.  A giudizio dell’autore l’estrema dignità è reggere, con coraggio esistenziale, la lezione che la natura impartisce ancor più della storia: “lunga o breve/ la strada è senza meta,/ e non ha senso/ né l’andata/né il ritorno”.

Se la consapevolezza delle brutture della storia conferisce alla raccolta una tonalità predominantemente malinconica, non mancano pagine in cui la bellezza della natura e soprattutto dell’arte (fruita nei numerosi viaggi in giro per l’Europa e l’Africa settentrionale) sembra aprire qualche spiraglio luminoso. Come ad esempio grazie alla contemplazione estetica di un quadro del caravaggesco Stomer ospitato nel museo di Messina: “Ci scaldiamo a questa fiamma/ che brucia la luce/e dirada l’ombra/che ci giunge/ dal buio del mondo”. Addirittura non mancano, qua e là, tracce della vena umoristica dell’autore, come quando – inspirato dall’autore di Alice nel paese delle meraviglie – si diverte a comporre un limerick: “Due turisti affamati/andarono a Limerick per essere sfamati,/ ma trovarono solo un’acciuga/che si asciugava nel bagnasciuga./Poveri turisti che rimasero affamati”.

Augusto Cavadi

* Sabato 1 marzo 2025 alle ore 18.30 il volume sarà presentato a Palermo, da Mario Valentini,  presso la "Casa dell'equità e della bellezza" (via N. Garzilli 43/a).

Per la versione originale di questa recensione, con corredo iconografico, cliccare qui: https://www.zerozeronews.it/poesia-come-voce-dellimpegno-civile/



 

domenica 23 febbraio 2025

IL PRIMO VOLUME DEI RACCONTI FANTA-STORICI DI MASSIMO PATERNI

 Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la Prefazione di Augusto Cavadi al volume di Massimo Paterni, Come se Dio ci fosse. “La grande Città su te crollerà e l’Imperatore per sé ti vorrà…”, Diogene Multimedia, Bologna 2025, vol. 1 di 3.

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Sin da ragazzo ho sognato di scrivere un romanzo, convinto che la narrativa veicoli le  idee filosofiche in maniera più efficace della saggistica. Poiché ho abbondantemente superato la soglia dei sette decenni, mi sono rassegnato all’inattuabilità del mio sogno. Unico conforto: constatare che altri riescano dove a me non è stato concesso. Ecco perché, quando mi sono passate per le mani le pagine di questo volume, ho avvertito un senso di gioioso sollievo: il mio amico Massimo Paterni aveva preparato per noi lettori un banchetto intellettuale, estetico e direi anche spirituale davvero prezioso. (Uso ‘spirituale’ nell’accezione più laica dell’aggettivo: talmente ‘laica’ - priva di pregiudizi – da potersi permettere la trattazione anche di tematiche teologiche).

Almeno a prima vista non si tratta di un romanzo comunemente inteso, ma di una serie di racconti. Solo che, quando si entra nelle storie, ci si accorge che, in realtà, narrano tutte la medesima vicenda che ritorna quasi ossessivamente: c’è sempre qualcuno alla ricerca del senso del sacro nella vita, ma Dio continua a tacere.

Da uno sguardo all’indice di questo primo volume si intravede il filo conduttore delle vicende del monoteismo mediterraneo che lentamente, gradualmente, ma inesorabilmente, scalza e schiaccia i paganesimi precedenti: una traiettoria apparentemente trionfale di cui noi abitanti del XXI secolo possiamo misurare – nella stagione della secolarizzazione occidentale in tensione dialettica con fondamentalismi sempre più feroci -  l’intrinseca ambiguità e, in ultima analisi, il fallimento. Siamo o no entrati nell’era del post-teismo? L’autore non dà una risposta. Forse, da osservatore oggettivo, lo teme, ma, da credente di inspirazione protestante, spera contro ogni speranza.

Intanto regala al lettore un godimento insolito: adotta, ogni volta, uno stile letterario consonante con i contenuti (teorici e più spesso storici) veicolati.  Così il Prologo, di stampo nichilista è redatto come fosse un apocrifo di Borges. Nascita evoca gli elementi comuni a tutte le rinascite del Sole nel solstizio di inverno (da Horus, a Mitra, a Cristo) e, dunque, si snoda su un registro comunicativo arcaico. Segue una serie di tre racconti chiamata Espansione in cui si inanellano vicende cruciali dal declino dell’Impero Romano d’Occidente all’ascesa dell’Impero Bizantino sino all’esplosione dell’Impero islamico e alla rifondazione in Europa del Sacro Romano Impero. Queste tre storie si possono leggere come una sola in tre tempi, ma, poiché fra la prima e l’ultima passano più di otto secoli, Paterni modula la lingua in maniere differenti: asciutta nel primo episodio con protagonista un soldato romano; morbida e orientaleggiante nel secondo che sembra tratto da  Mille e una notte; shakespeariana nel terzo e ultimo incentrato sulle stragi e ingiustizie consumate da Carlo Magno per riunire quasi tutto l’Impero d’Occidente sotto l’egida di ciò che egli ritiene essere la fede cristiana.

Alla fine, come accade nelle opere riuscite, si ha la benefica sensazione che l’immersione nel passato (per quanto gradevole) non sia stata una fuga dal presente, piuttosto una presa di distanza provvisoria per ritornarvi con più lucida consapevolezza: Homo sapiens non è stato mai privo d’insipienza, ma nei recessi più oscuri dell’anima dei singoli e dei popoli non si è spenta l’utopia di una convivenza meno crudele e addirittura fraterna.

 Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

* Per la versione originaria illustrata cliccare qui: 

https://www.zerozeronews.it/la-storia-romanzata-per-divulgare-la-filosofia/

martedì 18 febbraio 2025

SEX WORKER, GPA, IDENTITA' DI GENERE: UN CONTRIBUTO AL DIBATTITO INTERNO AL FEMMINISMO

 

Su alcune questioni etiche (in particolare il lavoro sessuale, la gravidanza per altri, l’identità di genere) il mondo femminista contemporaneo è attraversato da una spaccatura per molti versi imprevedibile. Da una parte (il movimento LGBT+, Non Una Di Meno, esponenti del transfemminismo)  chi sostiene posizioni più possibiliste, quando non apertamente favorevoli al capovolgimento dell’etica sinora maggioritaria; dall’altra (molte esponenti del femminismo storico) chi è molto critico verso le ‘nuove’ tendenze permissive e ne denuncia i risvolti decisamente negativi. Questa contrapposizione trasversale non sarebbe particolarmente interessante se non venisse a dividere personalità, gruppi, movimenti ritenuti tradizionalmente ‘progressisti’, di ‘sinistra’. Infatti una cerchia di femministe storiche ha pubblicato il volume Vietato a sinistra. Dieci interventi femministi su temi scomodi (Castelvecchi, Roma 2024) per denunziare ciò che ritiene una scorretta strategia dialettica: a parere delle co-autrici, chi è in disaccordo con le loro tesi, invece di entrare nel merito delle questioni, preferisce sfruttare polemicamente la convergenza oggettiva di tali posizioni con convinzioni espresse nel dibattito pubblico da ambienti consistenti della Destra politica e religiosa. Come si esprime Daniela Dioguardi (che è anche la curatrice del volume), “chi osa manifestare un pensiero divergente, esprimere una critica, un dissenso viene bollato come di destra, reazionario, bigotto, conservatore, perfino fascista e si tenta in vari modi di metterlo a tacere” (p. 40).

Quali sono, in estrema sintesi, le ragioni per cui a Sinistra non dovrebbe essere ovvio abbracciare con entusiasmo le teorie oggi di moda? Perché la prostituzione non è un un sexual work ma uno sfruttamento maschilista del corpo della donna; l’affitto dell’utero per nove mesi non è un gesto di solidarietà tra donne ma l’ennesima strumentalizzazione di chi ha soldi a danno di chi è fortemente deprivato; la possibilità di scegliere la propria identità di genere non è espressione di autodeterminazione ma miope cancellazione dei dati biologici e della differenza irriducibile fra maschile e femminile. Alla radice di queste trasformazioni – apparentemente rivoluzionarie in senso progressista – si troverebbe, invece, l’idea di  “una libertà individuale incondizionata” (p. 39) che scambia per “diritti” i propri “desideri” e riduce “il corpo” a “un oggetto in nostro possesso di cui possiamo fare ciò che vogliamo” (p.40). Lo scardinamento dell’etica occidentale non avviene, dunque, in nome della scienza, dell’evoluzione culturale, della civiltà, bensì della “nuova frontiera del neoliberismo” (ivi).

A un complesso di tesi così stimolanti mi sono sorte delle considerazioni che, forse, meriterebbero a loro volta di essere esaminate.

Non ho difficoltà ad ammettere che molte rivendicazioni settoriali delle nuove generazioni si basino – come scrive Francesca Izzo nella Introduzione – sul “paradigma individualistico, diventato dominante nell’economia come nella politica o nell’etica” (p. 10), che appartiene alla tradizione liberal-borghese-capitalistica più che a culture alternative che (non di rado con unilateralismo altrettanto “fuorviante”) hanno sottolineato la dimensione comunitaria, sociale, collettiva. Ma su quale di queste due prospettive ideologiche i femminismi storici hanno fondato le loro (legittime) rivendicazioni? A me pare – per limitarmi all’esempio più eclatante – che slogan come “l’utero è mio e lo gestisco io” siano espressione di un’antropologia individualistica, sbilanciata sul versante dell’autonomia e dei diritti piuttosto che della corresponsabilità e dei doveri. Se così fosse bisognerebbe riconoscere che il transfemminismo, più che tradire i presupposti teorici del femminismo storico, ne sta traendo le conseguenze logiche estreme.

Se capisco bene, anche la Izzo riconosce la necessità di rifondare su presupposti diversi normative come “la legge 194”, in cui “la libertà di scelta” non viene più “declinata” “in termini di diritto” ma chiamata “autodeterminazione” (p. 9). Ma – chiederei – cosa legittima questa possibilità di autodeterminarsi da parte della donna gravida, se ci lasciamo alle spalle l’ottica atomistica, monadica, del liberalismo illuministico? Sul criterio del male minore.  Sino a quando la cultura sessuofobica dominante ostacolerà la diffusione capillare delle informazioni sulle tecniche contraccettive, donne di ogni età e condizione sociale continueranno a rimanere involontariamente incinte: a quel punto la soluzione meno ingiusta è che la decisione ultima (se non esclusiva) sull’interruzione della gravidanza spetti non al partner o alla famiglia d’origine, ma a chi dovrà pagare il prezzo più alto in termini di sofferenza psico-fisica. Che lo Stato assicuri assistenza sanitaria alla donna che ritiene inevitabile affrontare il trauma dell’aborto procurato può essere giustificato nell’ottica della riduzione del danno: qualsiasi altra soluzione (dal ricorso a interventi selvaggi in condizioni igieniche proibitive al privilegio delle donne più danarose di ricorrere a cliniche straniere specializzate) risulterebbe eticamente peggiore.

Però – passo a una seconda considerazione – se, scartata la logica dell’individualismo proprietario, la legislazione può regolamentare pratiche in sé immeritevoli di tutela ma realisticamente impossibile da impedire, solo allo scopo di limitarne al massimo gli inconvenienti, perché escludere che nell’elenco di queste pratiche rientrino la prostituzione sessuale o la gravidanza per altri? A mio avviso una donna che, senza nessuna costrizione fisica, accetti d’essere ingravidata in conseguenza di un rapporto sessuale completo con un maschio irresponsabile (dunque sto escludendo aborti terapeutici, eugenetici o di feti conseguenti a stupri) non ha “diritto” di essere soccorsa dallo Stato a rimediare alla propria imprudenza più che un motociclista che, privo di casco,  voli dalla sua moto durante una corsa a 170 km orari in autostrada: ma, nell’uno come nell’altro caso, qualsiasi altra soluzione apparirebbe disumana. Similmente si può affermare che una donna che decida – anche se per ragioni economiche oggettive – di prestare servizi sessuali a pagamento o addirittura il proprio stesso apparato riproduttivo non stia esercitando un “diritto”; e tuttavia uno Stato, al fine di  evitare danni più pesanti, può intervenire legislativamente per regolamentare delle prassi che (in assoluto o comunque in relazione alla coscienza etica media di una certa società) non sarebbero accettabili.  Chiunque di noi, se avesse a cuore il destino di una donna che ritenesse lecito (o illecito ma, nella data situazione concreta, inevitabile) esercitare la prostituzione o prestare il proprio utero per la formazione di un bimbo non suo, se non riuscisse a modificare la decisione della figlia o della sorella o della compagna, preferirebbe che essa fosse almeno protetta normativamente dai rischi più gravi della sua scelta.

Dioguardi, giustamente, condanna le posizioni drastiche e “su una maniera così complessa” ritine che si debba “aprire un dibattito che faciliti la diffusione di corrette e complete informazioni e il confronto tra opinioni diverse” (p. 44). Poiché all’interno di questo volume le voci sono tutte convergenti, ci si deve augurare che – nelle varie sedi in cui sarà presentato e discusso – si possano ascoltare punti di vista differenti o addirittura opposti.


Augusto Cavadi 

“Adista/ Segni nuovi”, 7, 22.2.2025

sabato 8 febbraio 2025

LE CANZONI TRADIZIONALI E IL VERO VOLTO DI UN POPOLO

 

“Il Gattopardo”/ Edizione Sicilia

Dicembre 2024

Viaggiu dulurusu

In  Un sogno di fiori e bagliori. Giorni in Sicilia, lo scrittore polacco J. Iwaszkiewicz – innamorato dell’isola al punto da ritornarvi più volte sino alla morte nel 1980 – scrive che le canzoni popolari “sono il vero volto della vita di questo popolo”.  Se questo è vero, non si può sottovalutare il merito di chi – senza erigere muraglie identitarie – preserva la memoria di antichi canti, come la novena natalizia  Viaggiu dulurusu di Maria Santissima e lu Patriarca San Giuseppi in Betlemi di Binidittu Annuleru di Monreale. Da anni don Cosimo Scordato ha ripubblicato il testo, lo ha commentato insieme ad altri teologi, lo ha musicato in collaborazione con il maestro Vincenzo Mancuso, ha collaborato con Pasquale Scimeca per farne un film. I destinatari prioritari sono i siciliani, ma non c’è dubbio che operazioni del genere possono offrire anche ai turisti l’occasione per intravedere “il vero volto” della popolazione che li accoglie. 

Augusto Cavadi

mercoledì 5 febbraio 2025

IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE DEI TRE VOLUMI DI "TEOLOGIA POPOLARE" DI J. M. CASTILLO

Finalmente anche in lingua italiana i 3 agili volumetti in cui Castillo presenta per un pubblico 'popolare' (anche giovani che si preparano ai sacramenti dell'iniziazione cristiana) la sua "teologia popolare".

Cliccando qui sotto è possibile rivedere la registrazione-video della presentazione dei tre volumetti, editi da Il pozzo di Giacobbe (Trapani), da parte di Dario Culot e Augusto Cavadi (introduce e interviene Stefano Olcese, presidente dell'associazione "Liberare l'uomo" di Treviso che ha organizzato l'evento):

https://www.youtube.com/watch?v=WdCmdNk3gac 

sabato 1 febbraio 2025

SULLA PROPOSTA DEL MINISTRO VALDITARA RIGUARDANTE LO STUDIO DELLA BIBBIA NELLE SCUOLE

BIBBIA A SCUOLA ? DIPENDE DA COME STUDIARLA

Di certo non c’è ancora nulla, ma sono bastate delle anticipazioni per cenni su alcune proposte del ministro dell’istruzione del merito Valditara per scatenare dibattiti e polemiche. Ad esempio sulla proposta di inserire lo studio della Bibbia nei programmi curriculari obbligatori, dunque anche fuori dalle ore facoltative di “religione cattolica” dove è già previsto (anche se quasi mai attuato). La Destra (in Parlamento e nella società) plaude, la Sinistra (politica e sociale) protesta, il Centro (cattolico e non) nicchia. Ma chi si esprime in questi giorni sa di cosa parla?

Il presupposto (condiviso dalla quasi totalità degli interventi) è che studiare la Bibbia accrescerebbe il numero dei credenti praticanti delle varie Chiese cristiane (a cominciare dalla cattolica). Ma se fosse così, come si spiegherebbe che per quattro secoli (dal Concilio di Trento del Cinquecento al Concilio Vaticano II del Novecento) la Chiesa cattolica ha vietato lo studio della Bibbia, al punto da inserirla nell’elenco del “libri proibiti” accanto al marchese De Sade e a Marx ?

La risposta è semplice e se chi mette becco in queste tematiche avesse letto una sola volta la Bibbia la conoscerebbe: la Bibbia è una biblioteca scandalosa. Almeno da due punti di vista.

Come in ogni biblioteca ci sono libri di genere e di valore diversi.

Alcuni sono o noiosi (elencano precetti e divieti su come lavarsi, vestirsi, cibarsi, pregare…che vengono ritenuti ormai impraticabili) o francamente diseducativi (presentano come atti meritori fecondare la schiava al posto della moglie sterile, sacrificare mediante sgozzamento il figlio unico,  sterminare sino al più piccolo neonato le popolazioni vinte in guerra…). Quanti studenti si avvicinerebbero alle Chiese cristiane perché attratti dalla concezione di Dio, dell’essere umano, della storia veicolata da queste pagine terribili?

Ma nella Bibbia ci sono anche libri bellissimi, soprattutto nel Secondo Testamento, in cui la religione viene presentata non come militanza obbediente in un’organizzazione burocratica verticistica, bensì come avventura comunitaria condivisa da  fratelli e sorelle che s’impegnano pariteticamente per una società più creativa, solidale, compassionevole. Ebbene, anche questi testi sarebbero motivo di scandalo per tanti  studenti che constaterebbero la distanza inaccettabile fra  il messaggio dei profeti (e di Gesù in particolare) e il catechismo insegnato nelle parrocchie.

Insomma, in considerazione di ciò che la Bibbia afferma di molto sbagliato e di molto affascinante, quanti sedicenti cattolici resterebbero tali se veramente la leggessero con l’attrezzatura scientifica (storico-letteraria) con cui si legge l’Iliade o la Divina Commedia? Non è certo un caso che tra i grandi esponenti degli studi biblici moderni (da Spinoza a Bultmann, passando per i Modernisti francesi, inglesi e italiani della prima metà del XX secolo) i condannati per eresia siano stati più numerosi dei riconosciuti come benemeriti.

La vera questione è dunque con quale prospettiva e con quali metodologie insegnare la Bibbia nelle scuole. Se la si vuole usare come una clava per colpire alunni provenienti da famiglie o ‘laicamente’ agnostiche o di altre religioni (a cominciare dagli islamici) per incrementare le fila dei bravi praticanti cristiani, si sperimenterà un tragicomico effetto boomerang. Se invece si vorrà studiare la Bibbia con l’attrezzatura esegetica oggi disponibile – e fare altrettanto almeno con il Corano – si renderà un servizio prezioso per la formazione spirituale delle nuove generazioni (a prescindere dalle opzioni di fede confessionale di ciascun giovane) e per la convivenza democratica di etnie e comunità di matrici teologico-culturali differenti. Ovviamente questo insegnamento dovrebbe essere affidato a docenti qualificati dipendenti dallo Stato, non da questa o quell’altra organizzazione ecclesiale. Solo così la scuola repubblicana contribuirebbe a sradicare le radici insidiose del fondamentalismo, del tradizionalismo, del conformismo.

 

Augusto Cavadi

Centro di ricerca esperienziale di teologia laica

(Palermo)


“Adista/ Segni nuovi”, 5, 8 . 2. 2025