Le
disavventure di Quattro giovani malviventi in fuga – come recita il
titolo del romanzo breve (o racconto lungo) di Mario Valentini edito da Ɛxɷrma
(Roma, 2024) – costituiscono la trama del testo, ma protagonista direi che è
Palermo. Dopo tante inchieste, film, romanzi che le sono stati dedicati, non è
facile tentare di decifrare questa città e di restituirne i tratti autentici
senza cadere negli stereotipi o addirittura nelle mistificazioni. Tanto più che
non si può rappresentare il capoluogo della Sicilia senza confrontarsi con il
fenomeno – non meno esposto a retorica e ad equivoci – della mafia. Ma
l’autore, che da anni ha scelto Palermo come luogo di vita e di lavoro, ci è in
larga parte riuscito.
A prima vista – e
le prime pagine dello scritto confermano questa impressione d’insieme - la
città è un calderone indistinto di arte d’arrangiarsi, delinquenza, ignoranza,
cattivo gusto estetico, biografie d’eccezione che riescono a sgusciare dalla
melma in cui si sono trovate a nascere, azioni di arroganza spicciola, speculazione
edilizia…Poi, piano piano, il quadro si articola e, articolandosi, si
chiarisce. Si comincia a capire che, in questa nebulosa, non tutte le vacche
sono grigie: c’è chi domina e chi è dominato; chi sfrutta e chi è sfruttato;
chi ha in mano davvero il timone e chi si illude di averlo ma in realtà è
strumentalizzato. Al centro del sistema c’è Cosa nostra, un’associazione
criminale che, dopo la cattura di Bernardo Provenzano (2006), pur non essendo
più “una perfetta macchina militare, con a capo un solo uomo” (p.103), non si è
certo dissolta. L’organizzazione gerarchica, che prevede un reggente per ogni
mandamento, resiste. Come ad esempio nel quartiere popolare periferico della Zecca
dove regna, incontrastato, Tanino Imparato, detto anche Gesù Cristo. Ha il
merito di saper perseguire le due finalità statutarie di Cosa nostra: soldi
(per avere più potere) e potere (per avere più soldi). “Più che come un capo
militare”, a lui “era sempre piaciuto pensare a sé stesso come a un uomo
d’affari. Il capo di una grande azienda con settori d’investimento vari e
ramificati” (p. 105). Ma quali sono i metodi privilegiati per perseguire
arricchimento illecito e dominio? “Se vuoi tenerti al sicuro da chi può volere
il tuo male, sono due i modi (…): la paura prima di tutto, dopo di che la
complicità ”(p. 107). Il libro rende molto bene questa capacità dei veri
mafiosi di creare consenso sociale, attorno alla propria associazione,
alternando il bastone e la carota: ricorrendo a delitti atroci (come “sparare
in faccia al cognato mentre si trovava a pranzo con la sorella e con la
nipotina di pochi anni”, p. 103), ma soprattutto condividendo codici culturali
(tramite vari canali pedagogici, tra cui le canzoni popolari napoletane) e
benefici veri (“Gesù Cristo aveva fatto in modo che il piatto da cui gli
toccava mangiare fosse lo stesso da cui si metteva a mangiare più o meno tutto
il quartiere”, pp. 107 – 108) o presunti (“Quelli che ai suoi occhi erano
servizi di protezione, e che invece gli sbirri continuavano a considerare
estorsione e violenza, erano d’altra parte il cuore principale e originario di
tutte le sue fortune”, pp. 106 – 107).
Se
non si focalizza il vasto consenso sociale intorno ai pochi mafiosi che hanno
giurato fedeltà a Cosa nostra (secondo gli esperti del settore non più dell’uno
per mille dei siciliani) non si capisce la dinamica di questa dittatura
silenziosa, efficace, perdurante. E’ un consenso interclassista. Valentini
descrive molto bene le reti con cui vengono accalappiati i pesci piccoli del
proletariato e del sottoproletariato, ma avrebbe potuto insistere di più sui
rapporti di Cosa nostra con l’alta e media borghesia (cui si allude in certi
passi: “Bisogna saper coltivare le amicizie, possedere gli agganci, i contatti
utili a risolvere i problemi o a espandere le attività”, p. 104) e,
soprattutto, con esponenti delle istituzioni statali (dal mondo della politica
e dell’amministrazione alla polizia giudiziaria e alla magistratura).
Comunque un’opera letteraria non è un trattato organico di sociologia. Se riesce a rendere un’atmosfera, un clima, rende già un servizio prezioso al lettore. E l’autore, a mio avviso, lo ha reso.
Augusto
Cavadi
La versione originale (con l'arredo fotografico) è qui:
https://www.zerozeronews.it/palermo-bifronte-corrosa-da-cosa-nostra-e-capitale-dellantimafia/
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