(La rivista "Adista" chiede periodicamente ad alcuni laici di commentare, liberamente, un brano evangelico della liturgia domenicale. Questa volta mi è stato chiesto di chiosare Luca 3, 15 – 16. 21 -22, la pagina sul battesimo di Gesù ad opera di Giovanni che verrà letta domenica12 gennaio 2025 nelle chiese cattoliche).
L’autore
di questo brano scrive a decenni di distanza (più o meno, mezzo secolo) da
quando si sarebbero svolti gli eventi narrati. Questo lasso di tempo è già da
solo un motivo sufficiente per suscitare l’interrogativo di molti biblisti: si
tratta davvero, come sembrerebbe a prima vista, di una “narrazione” di “eventi” ? O non
piuttosto di una fiction, di una invenzione letteraria a scopo
didattico?
In
questa seconda prospettiva (sempre più accreditata dagli studiosi) la comunità
credente evangelizzata da Paolo e dalla sua cerchia di discepoli - fra cui Luca
cui è attribuito il terzo vangelo canonico – sarebbe alle prese con una
domanda: perché seguiamo la “via” di Gesù e non di altri “inviati” che, nella
stessa fascia temporale, hanno speso la vita per rinnovare la migliore
tradizione profetica e liberare il popolo da un regime di ingiustizie e
corruzioni, di cui la dominazione romana appare conseguenza, sigillo e concausa? In particolare: che cosa ci distingue dai
movimenti socio-religiosi che si rifanno alla intensa, efficace, predicazione
di Giovanni l’eremita?
Suppongo
che, sul piano esclusivamente storico, non sarebbe stato facile rispondere.
Infatti sia Giovanni che Gesù hanno invitato entrambi alla conversione,
all’equanimità, al rispetto della dignità di chiunque altro, al servizio
generoso della comunità: ad appianare i picchi dell’orgoglio e a colmare i
vuoti dell’indigenza (Lc 3, 3 – 6).
Ma tra la vicenda storica di Gesù e questo
testo evangelico si è inserito, con potenza di genio e di afflato mistico,
Paolo di Tarso: un fariseo colto a cui non interessava il Gesù “secondo la
carne” (che per altro non aveva mai incontrato de visu) (2 Cor 5,16) quanto
il Cristo della sua interpretazione teologica. E’ da questo angolo di visuale
che Luca – o chi per lui – costruisce retrospettivamente il racconto del
battesimo di Gesù: non per riferire un episodio storico, quanto per annunziare
la convinzione di fede che il Maestro fosse stato non uno dei tanti (pur benemeriti)
“messia”, ma “il Figlio” per eccellenza, inondato dallo Spirito santo divino.
Siamo ancora lontani dalla dottrina trinitaria (così come sarà sistematizzata
dal IV secolo in poi), ma ci si avvia in quella direzione: un processo di
enfatizzazione che, al suo apice, ha addirittura imposto come dogma che l’Unto
fosse una “persona” divina, non umana, e dunque ontologicamente incomparabile
con qualsiasi altro mortale.
Oggi gli sviluppi teologici sulla persona di Gesù intrigano poco, specie perché troppo spesso in questi due millenni hanno distratto dal nucleo originario del suo annunzio: che alla Fonte della vita (= Papà) sta a cuore la convivenza armoniosa degli esseri umani su questa Terra segnata già da troppe ferite laceranti. Come scriveva Kierkegaard in una sua preghiera, Cristo non vuole essere “ammirato” o “adorato” da noi, bensì “imitato”. Possiamo aggiungere dunque che, se una persona riesce ad avere visioni soprannaturali e ascensioni al terzo cielo grazie al suo rapporto spirituale con Gesù Cristo, ben per lei (cfr. 2 Cor 12, 1-7). Ma a patto che simili esperienze straordinarie non scavalchino, bypassandoli, i modesti doveri ‘laici’ quotidiani raccomandati dal Battista e dal Gesù storico: condividere le proprie tuniche e il proprio cibo; non abusare del potere nell’esercizio del proprio ufficio; non perseguire l’arricchimento a costo di disonestà e prepotenze (cfr. Lc 3, 10 – 14). Di santi, mistici, carismatici, fondatori di congregazioni e simili, incapaci di rispettare la grammatica elementare dell’etica naturale, ne abbiamo avuto abbastanza: adesso avvertiamo il desiderio di sana ‘normalità’.
Augusto Cavadi
“Adista/Notizie”,
n. 44 del 21.12.2024
Nessun commento:
Posta un commento