Il blog di Augusto Cavadi, filosofo-in-pratica di Palermo, con i suoi appuntamenti pubblici in Italia e i suoi articoli.
lunedì 14 aprile 2025
domenica 13 aprile 2025
FEMMINICIDI: PER FENOMENI COMPLESSI SOLO ANALISI COMPLESSE E TERAPIE MULTILIVELLO
Un
fenomeno complesso non può spiegarsi con una sola causa. Al cospetto di ogni
femminicidio bisognerebbe aprire bocca solo se convinti di poterne individuare
alcune delle molteplici radici, senza nessuna pretesa di esaurire l’analisi. E
tanto meno le indicazioni terapeutiche.
Non
c’è dubbio che siamo immersi in uno scenario mondiale pervaso di
violenza: senza considerare l’esercizio abituale e irriflesso nei confronti
dell’ecosistema (fauna e flora comprese), la logica della prevaricazione e
della reazione altrettanto violenta (anzi, se possibile, più violenta) domina
quotidianamente i rapporti all’interno della coppia, della città, dei ceti
sociali, delle relazionali internazionali fra gli Stati. Gli antropologi e gli
storici delle civiltà ci avvertono che non è stato sempre così nel passato e
non lo è nel presente: se l’umanità non si è estinta è perché ci sono state, e
ci sono, le resistenze attivamente nonviolente, le tregue, le negoziazioni, le
paci. Ma non c’è dubbio che, anche se le eccezioni alla regola statistica dell’occhio
per occhio (anzi, dei due occhi per ogni occhio) venissero debitamente
registrate nei libri di storia e nelle cronache dei “giornalisti di pace”, la
bilancia segnerebbe la prevalenza della prepotenza.
La
logica planetaria della violenza si squaderna, e per così dire si articola, in
settori specifici (dominio delle maggioranze verso le minoranze; dei gruppi
criminali verso i concittadini disarmati; dei proprietari dei mezzi di
produzione di beni materiali, servizi e informazioni verso i dipendenti, i
clienti e l’opinione pubblica; e così via): l’ambito dei rapporti fra uomini
e donne è uno di questi spazi di violenza sistemica. E’ ovvio che non si
tratta di rilevare statisticamente per conteggi ragionieristici i casi in cui
un maschio esercita violenza su una femmina (anche se persino da questo punto
di vista contabile si palesa una evidente disimmetria), bensì di un assetto
globale – culturale, istituzionale, sociale, economico – nel quale, a parità di
altri fattori, le opportunità di sopravvivenza, di lavoro, di movimento, di
iniziativa… degli uomini sono nettamente prevalenti sulle corrispondenti
opportunità delle donne. Questo impianto complessivo è stato spesso denominato
“patriarcato”, ma, anche grazie alle conquiste del femminismo militante, la
figura del padre-padrone è oggi in crisi e mi pare sia preferibile adottare
altre categorie come “maschilismo” o “androcentrismo”. Al di là dei vocaboli
(necessariamente approssimativi), la situazione oggettiva sembrerebbe evidente:
in tutto il pianeta nascere maschi costituisce, per alcuni versi o per molti,
un privilegio. Come ha affermato qualcuno, c’è solo un soggetto più
svantaggiato del più povero contadino della Terra: sua moglie. Come negare che
una mentalità maschilista, radicata in una prassi che in essa si esprime e da
essa viene legittimata ulteriormente, costituisca un contesto di sfondo in cui agli uomini venga spontaneo assumere senza
neppure averne consapevolezza una postura direttiva, proprietaria, nei
confronti delle donne? Hanno ragione
quanti negano un rapporto causale fra “patriarcato” e femminicidi: non c’è
alcun dato statistico che supporti questa correlazione. Ma vanno subito
aggiunte almeno due considerazioni.
La prima: l’assetto maschilista della
stragrande maggioranza delle società contemporanee produce, e cela, un mare di
violenza sistemica (linguistica, psicologica, economica…) a danno delle femmine
che è devastante anche quando non arriva a sopprimerne la vita biologica.
Insomma: se non ci sono elementi per attribuire al patriarcato i femminicidi,
ce ne sono abbastanza per addebitargli tutte le altre forme di violenza di
genere.
La
seconda: il “patriarcato”, già pernicioso là dove anacronisticamente persiste,
si rivela addirittura assassino là dove è minacciato, intaccato, ferito
dall’evoluzione delle donne. In epoche e
in strati sociali dove era ‘normale’ che sorelle, mogli, figlie…accettassero la
subordinazione al dominio dei fratelli,
mariti, padri…non c’era alcun motivo di sopprimerle. E’ nei tempi e nei luoghi
in cui un numero crescente di donne si rifiuta di restare in condizioni di
svantaggio sistemico, e culturalmente complice perpetuando nell’educazione dei
figli e delle figlie la prospettiva androcentrica, che il padre-padrone può
avvertire lo sgretolarsi del terreno sotto i piedi (e del trono sotto il
sedere) ed essere spinto a gesti estremi.
Se
la violenza è, a livello planetario,
lo strumento privilegiato per nascondere i conflitti e per sedarli
qualora emergano alla luce del sole; e se tale postura dominante caratterizza,
più specificamente, le relazioni di genere, non possiamo fermarci qui
nel tentativo di interpretare i casi di femminicidio. Miliardi di maschi
nascono, crescono e muoiono in questa atmosfera (genericamente e
specificamente) violenta senza diventare assassini di donne in quanto donne. Per
capirne un po’ di più dovremmo considerare il percorso di formazione dei
singoli assassini e rassegnarci, anche da questo punto di vista, a
constatazioni di segno opposto.
Ci
sono ovviamente i violenti con una storia alle spalle di violenze subite;
carnefici perché, prima ancora, vittime di una “pedagogia nera” (Rutschky, Perticari,
Miller): vanno qui collocati gli eventi femminicidiari attribuiti a figli
educati a bastonate in certe famiglie di origine asiatica o spettatori di
crimini perpetrati metodicamente da genitori mafiosi.
Ma
ci sono anche gli assassini viziati da genitori – particolarmente da madri –
latitanti o, se presenti, permissivi: individui, specie di estrazione borghese,
che raramente hanno sperimentato nell’infanzia e nell’adolescenza un divieto,
uno stop, un no e che vivono i rifiuti (anche i più legittimi) alle loro
richieste come un’insopportabile ferita del proprio narcisismo. In casi del
genere è illuminante osservare il comportamento di madri che, informati del
delitto consumato dal figlio ai danni di un’altra donna, si affrettano ad
aiutarlo a lavare il sangue dal pavimento o a procurarsi un biglietto per
volare all’estero.
Poiché
non tutti i maschi educati o violentemente o permissivamente diventano autori
di femminicidi, l’angolazione pedagogica, per quanto necessaria, si rivela
insufficiente: man mano che dal generale zoomiamo sul particolare,
abbiamo bisogno di conoscere – caso per caso – il profilo psicologico di ogni
soggetto. Anche a questo livello dobbiamo rassegnarci a non trovare chiavi passepartout:
non esiste la tipologia del femminicida standard. In alcuni casi si
individueranno casi di psicosi, in altri di nevrosi, in altri ancora di
condizioni borderline, ma in non pochi altri ancora di nessuna rilevanza
patologica. Lo scientismo – inteso come convinzione pregiudiziale che le
scienze possano spiegare tutto – deve imparare dall’autentico spirito
scientifico a riconoscere i limiti dell’indagine scientifica: attraverso, e
oltre, gli innumerevoli condizionamenti (della propria epoca, della propria
etnia, della propria famiglia, della propria costituzione psichica…) restiamo
comunque padroni di un barlume almeno di arbitrio. Questo nocciolo, per quanto
ridottissimo, di intima libertà è la ragione dei nostri meriti e della nostra
colpevolezza: ignorarlo, sia pur per desiderio ‘buonista’ di giustificare tutto
e tutti, comporta (che lo si sappia o meno) la riduzione dell’enigma
antropologico a mero meccanismo. Ogni femminicidio – come ogni altro crimine –
ci spalanca la visione spiazzante di ciò che ciascuno/a di noi è davvero: un
groviglio di potenzialità disparate che, come un fuoco d’artificio, può
esplodere in direzioni divergenti. Kant ci direbbe che siamo cose fra cose (la
nostra dimensione ‘fenomenica’, palese) ma anche agenti creativi nel bene e nel
male (la nostra dimensione ‘noumenica’, nascosta). Ed Hegel aggiungerebbe che la condanna di un reo è un
modo per riconoscerne la dignità umana: non si processa un cane perché ha morso
un altro cane né meno ancora un albero perché si è abbattuto su un passante.
Proprio il riconoscimento dell’umanità del reo dovrebbe suggerire di
intrecciare le esigenze della giustizia con i sentimenti di compassione sulla
base di ciò che, ontologicamente, ci apparenta a lui. Ma questo è un altro
discorso.
Se questo quadro diagnostico è fondato, ne deriva un complesso di percorsi terapeutici dislocati a diversi livelli per ridurre (dal momento che non è realistico azzerarli) i femminicidi. Alla base, un impegnativo lavoro teorico-pratico di conversione culturale ai principi della nonviolenza (a partire dall’invito gandhiano “Sii tu il cambiamento che vorresti nel mondo”). Poi un impegno focalizzato sull’obiettivo di una giustizia di genere che garantisca la pari dignità e le pari opportunità alle persone di ogni sesso biologico, identità psicologica di genere, orientamento affettivo-sessuale e genere (inteso come ruolo sociale). Ancora più nello specifico, una radicale riforma pedagogica che persegua il difficile, ma indispensabile, equilibrio fra accettazione della personalità di ogni minore ed educazione al rispetto delle regole condivise. Infine – ma siamo così alla cura di ogni storia individuale – il monitoraggio continuo di tutti i maschi d’ogni età che, più o meno condizionati nello sviluppo della propria personalità, diano segni d’incapacità di gestire le proprie emozioni e di rapportarsi in maniera responsabile con il femminile con cui incrociano le esistenze.
Augusto
Cavadi
* L'edizione originale illustrata è qui:
giovedì 3 aprile 2025
L’eredità di Ortensio da Spinetoli: report di Valerio Gigante del Convegno romano del 26.3.2025
Cercare assieme, cercare ancora. L’eredità di Ortensio da Spinetoli
Ricordare la figura di Ortensio da Spinetoli a cento anni dalla nascita. Ma perché, qual è il senso e la portata della sua testimonianza umana e intellettuale per la Chiesa e per la società odierna? È una domanda che vale per tante figure che hanno accompagnato la storia della Chiesa e della società del passato recente e remoto. Vale ancora di più per Ortensio, che le circostanze storiche hanno condannato alla marginalità, al punto che sin dagli anni ‘70 Ortensio ha potuto parlare e scrivere solo in una sorta di semi-clandestinità, allontanata dalla Chiesa istituzionale e dalle facoltà teologiche.
Eppure, in modo per alcuni versi sorprendente, le pagine di Ortensio continuano a suscitare interesse e dibattito. Il suo libro postumo – quasi una sorte di testamento spirituale – L’inutile fardello, pubblicato nel 2017 dalla casa editrice laica Chiarelettere fu un piccolo caso letterario, con diverse ristampe e migliaia di copie vendute. Di questa permanenza di Ortensio nella vita e nel dibattito ecclesiale e culturale si è discusso a Roma, presso la basilica dei SS: Apostoli, lo scorso 16 marzo. C’erano oltre 100 persone, venute ad ascoltare e a confrontarsi con Ricardo Peréz Márquez, teologo, del Centro studi biblici “G. Vannucci” di Montefano e Augusto Cavadi, filosofo, della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” di Palermo. Moderati dalla giornalista Luce Tommasi, i relatori e gli interventi dei presenti hanno messo in evidenza la consapevolezza che la forza e radicalità del pensiero di Ortensio sono state più forti della violenza con cui il potere ecclesiastico ha tentato di silenziarlo. E che, anzi, proprio la condizione di marginalità che Ortensio ha dovuto subire per oltre 40 anni, unite alla coerenza di vita e testimonianza gli hanno consentito di instaurare e mantenere un legame solidissimo con le generazioni di laici e credenti vissute nel post Concilio, che si interrogavano su un nuovo modo di leggere e interpretare le Scritture. Augusto Cavadi nel suo intervento ha sostenuto che Ortensio, con i suoi testi e la sua proposta di esegesi biblica, con la sua ecclesiologia e la sua teologia sia stato soprattutto capace di parlare ai non specialisti, a coloro che non frequentavano le biblioteche e le facoltà teologiche; addirittura a coloro che non si interessavano della Chiesa e dei suoi problemi nel rapporto con il mondo contemporaneo. Una circostanza straordinaria, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove drammatico è stato il divorzio tra ricerca teologica e cultura laica, consumatosi sin dal periodo post unitario. Se infatti, ha spiegato Cavadi, in Paesi come la Germania, le facoltà teologiche si trovano all'interno di atenei statali con il risultato di un continuo e fecondo dialogo tra culture e visioni del mondo, in Italia la teologia è sempre stata monopolio esclusivo della Chiesa. Questa circostanza ha provocato enormi danni alla cultura cattolica, ma ha avuto conseguenze disastrose anche per la cultura laica.
L’“ecumenismo dell’ignoranza”
Cavadi, che ha insegnato per 40 anni nei licei, ha raccontato ad esempio di essersi spesso trovato di fronte a insegnanti di letteratura, storia, arte completamente digiuni di conoscenze bibliche e competenze teologiche, che non sapevano nulla di Gesù e della dottrina cattolica; ma che spiegavano la Divina Commedia o i capolavori della pittura o le guerre di religione senza questo indispensabile retroterra culturale. Oggi poi, che, ha chiosato Cavadi, neanche i cattolici leggono e sanno più di teologia, siamo di fronte a una sorta di «ecumenismo dell’ignoranza». In tale contesto, pochissimi intellettuali cattolici hanno avuto la capacità e il coraggio di superare questo divorzio, facendo breccia in un pubblico laico, digiuno di questioni religiose. Capitò al biblista Giuseppe Barbaglio, con il suo fortunato testo su Paolo di Tarso. O a Vittorio Messori con la sua Inchiesta su Gesù. È capitato in anni recenti a Vito Mancuso o a Mauro Pesce. Ma sempre in modo episodico. Ortensio invece ha inciso in maniera profonda su diverse generazioni; non solo con i suoi libri, ma con il suo metodo di indagine. In un periodo, peraltro, in cui la teologia dava risposte a domande che la società secolarizzata non si poneva. In un dialogo tra sordi che la ricerca di Ortensio ha saputo lentamente trasformare.
Tre qualità
Dell’eredità di Ortensio, Cavadi sottolinea in particolare tre qualità: la competenza scientifica, che gli consentiva di argomentare, documentando puntualmente e in maniera circostanziata ciò che sosteneva. In questo modo Ortensio non doveva rifugiarsi, come altri teologi, in un linguaggio astruso, autoreferenziale e specialistico, ma comunicava in maniera chiara e nitida, sempre aperto al confronto con ogni possibile rilievo critico. E sempre consapevole della provvisorietà di ogni affermazione e ipotesi, che poteva e anzi doveva sempre essere soggetta a revisione e approfondimento.
Poi Ortensio aveva la passione per la ricerca; e ogni volta che scriveva o parlava si percepiva il suo desiderio di indagare il testo biblico assieme a coloro che lo ascoltavano e lo leggevano, evitando ogni atteggiamento di superiorità intellettuale.
La terza qualità di Ortensio è che era una persona libera. Libera dalla dipendenza economica nei confronti dell'autorità; e libero dal desiderio di fare carriera. Aveva infatti accettato di essere degradato e impoverito pur di difendere le sue idee; e ha fatto anzi di questa sua condizione il presupposto di una ricerca realmente libera, perché realmente indipendente da ogni condizionamento.
Ortensio scriveva e affermava contenuti di grande radicalità ma mai in uno spirito distruttivo Se demoliva indicava sempre un aspetto positivo, una prospettiva possibile per uscire dalla crisi che le sue affermazioni avevano aperto. E sempre Ortensio proponeva le sue interpretazioni come ipotesi, sottolineando sempre – come ha ricordato Perez – che le parole migliori sono quelle che devono ancora essere scritte e che fare esegesi biblica e fare teologia equivale a mettersi costantemente in cammino.
Il Vangelo per l’uomo, non per l’istituzione
Mantenendo con perseveranza la fedeltà alla parola, ha ricordato Ricardo Peréz Márquez, profeti come Ortensio sono stati ingiuriati, ma la storia ha dato loro ragione. Anche se la loro esistenza si può chiudere con una sconfitta, il fatto di essere stati vigili e perseveranti rende ancora viva e attuale la loro testimonianza. In particolare Ortensio ha saputo comunicare la ricchezza umana del Vangelo, sempre consapevole delle incomprensioni e del rifiuto di quanti sono pronti a sacrificare il bene delle persone alle ragioni dell’istituzione.
Ortensio era convinto che il Vangelo fosse distinto e distante da ogni dottrina. Uno dei suoi tratti distintivi è stata la passione per la parola, che Ortensio ha sempre saputo coniugare con il rigore e la coerenza della vita. Per lui, ha spiegato Peréz Márquez, la parola non serve a confermare una dottrina, ma a nutrire la fede dei credenti per orientarne le scelte alla realizzazione del regno. Ortensio lo ha fatto introducendo tra i primi il metodo storico critico all'esegesi delle scritture. Demitizzare i testi sacri, riportandoli al contesto storico culturale nel quale sono stati prodotti per renderli significativi per la vita dei credenti. Liberando la teologia dai fardelli inutili imposti dall’ideologia religiosa, che identifica la verità con la dottrina. Ortensio ha insegnato una prassi che si oppone a ogni forma di dogmatismo applicato alla parola. Alcuni dei libri di Ortensio da Spinetoli sono disponibili presso Adista, 06/6868692, abbonamenti@adista.it, www.adista.it).
Un’ultima notazione: alla fine dell’incontro i presenti si sono spostati in Basilica, per assistere alla celebrazione di una messa in ricordo di Ortensio celebrata dal card. Matteo Zuppi. Un segno – ma resta da capire quanto sarà rilevante (una analoga iniziativa del cardinale per Ernesto Bonaiuti non ha avuto sinora alcun seguito) – dell’attenzione che oggi anche l’istituzione ecclesiastica ha voluto mostrare nei confronti di questo grande biblista.
Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 05/04/2025
Per la versione originale illustrata basta un click qui:https://www.adista.it/articolo/73472
domenica 30 marzo 2025
martedì 25 marzo 2025
NINO MICELI RACCONTA LA STORIA DELLA SUA VITTORIOSA RIBELLIONE AL PIZZO MAFIOSO
Riporto la mia Prefazione al volume di Nino Miceli, E tu lo sai chi sono io? Storia di una ribellione al pizzo, Di Girolamo, Trapani 2025, che abbiamo presentato ieri a Roma, presso la Sala Extra di “Libera”, con la partecipazione di Mario Mattifogo (generale dei Carabinieri ris.) e Anna Canepa (Direzione nazionale antimafia antiterrorismo). Non sono mancate le domande da parte di qualcuno del numeroso pubblico presente in sala.
Per aprire questo libro con una chiave adatta
Antonino
Miceli è una delle persone che onorano l’Italia e compensano la viltà, la
corruzione, la piccineria d’animo di tanti altri concittadini. Nelle pagine che
seguono l’autore narra la sua storia di ribellione alle richieste mafiose di
pizzo, le sue vicende giudiziarie e personali, la sua attuale condizione di “testimone
di giustizia” (cittadino che si oppone
al mondo mafioso e collabora con le autorità giudiziarie per perseguire
i criminali) da non confondere con la condizione di “collaboratore di
giustizia” (denominazione riservata ai cittadini che, avendo fatto parte di
associazioni criminali, se ne sono poi distaccati per motivi talora nobili e
più spesso meno nobili).
Per
varie coincidenze, sono venuto a conoscere Nino una ventina di anni fa e ho
avuto il privilegio di accompagnarlo in varie sedi (università, scuole,
associazioni, sindacati…) dove ha raccontato la sua storia. Indimenticabile la
prima volta, nell’Aula Magna della sede storica dell’Università di Palermo, con
la partecipazione di un magistrato che avevo avuto tra i miei alunni al liceo e
che, proprio all’esordio della carriera, aveva brillantemente sostenuto
l’accusa contro i persecutori di Miceli: Antonino Di Matteo.
Intanto
Nino Miceli mi ha espresso il desiderio di raccogliere in un testo organico
quanto si trova in pubblicazioni e
interviste di difficile reperimento, integrato con vicende e riflessioni – non
meno significative - fino al momento
presente.
È
stato per me un onore prestare una mano a un personaggio pubblico che, intanto,
è diventato uno dei miei amici più cari. Il risultato è una narrazione
puntellata da disgrazie, muri di gomma e colpi di scena, talmente avvincente da
stentare a ritenerla – come in effetti è– veridica sin nei minimi dettagli:
sembrerebbe un testo di scrittura collettiva prodotto da Kafka, Pirandello e
Camilleri. Se fosse la sceneggiatura di un film rischierebbe di vincere il
premio Oscar: ma, come si evince dagli intrecci che l’autore evidenzia con
numerosi eventi contemporanei, è tutta la storia d’Italia dal Secondo
dopoguerra a oggi ad essere al di sopra di ogni immaginazione letteraria.
Spero
che un numero ancora maggiore di lettori potrà trovare in queste pagine non
solo memoria di eventi che meritano di non cadere nell’oblio, ma anche e
soprattutto incoraggiamento a
lottare senza tregua contro il dominio mafioso che minaccia la democrazia in
tutto il Paese e ormai anche in aree geografiche esterne ai confini italiani.
martedì 18 marzo 2025
TRE APPUNTAMENTI A ROMA (DA LUN. 24 a MERC. 26/3/2025)
Informo con piacere su tre occasioni d'incontro con le persone amiche che vivono a Roma o che si trovino lì di passaggio.
(Il primo e il terzo incontro sono a ingresso libero. Solo per il secondo incontro, di martedì 25/3, è necessario prenotarsi alla e-mail: maxsal58@gmail.com e attendere conferma della disponibilità di posti).

lunedì 17 marzo 2025
IN TOSCANA ( 10 - 12 aprile 2025) PER DOCENTI MA NON SOLO
Percorsi didattici di antimafia sociale
Una proposta formativa multidisciplinare tra processi educativi e impegno sociale
IX Edizione
"Toscana – Sicilia. Reti interculturali in e tra territori diversi"
PRESUPPOSTI CULTURALI
In questo 2025 si è giunti all'ultima tappa del trittico di sessioni formative inaugurato con la VII edizione del Corso svoltosi nel 2021 in Sicilia che prevedeva la sua prosecuzione in una Regione del Sud continentale e in una del Nord.
Tale previsione nasceva dall'esigenza di fare esperienze concrete sulle diverse caratterizzazioni sul Territorio di fenomeni mafiosi e malavitosi in generale, presenti in contesti socio-economici diversi, ma con uguale capacità di devastazione complessiva delle Società interessate. In tal senso, si manifesta l'evidente intento di superare stereotipi e luoghi comuni che raccontano in modo inadeguato fenomeni criminali di tipo mafioso circoscritti in alcune Aree storicamente interessate e lasciando intendere la presenza di altri Territori del tutto avulsi da detti fenomeni criminali.
Come da metodo consolidato avvertiamo il bisogno di attraversare luoghi e situazioni e di ascoltare Esperti e Testimoni per prendere consapevolezza di un fenomeno comune a Territori molto diversi rispetto al quale tutte le Comunità educative – con la presenza determinante dell'Istituzione scolastica – dovrebbero condividere adeguati strumenti d'intervento sul piano didattico ed esperienziale per costruire nei giovani una coscienza l critica che rimane l'inevitabile obiettivo per sviluppare una cittadinanza più matura, consapevole e responsabile.
Pertanto restano fermi anche in questa edizione i presupposti culturali del percorso formativo che prosegue in continuità teorica e pratica con i temi sviluppati nelle precedenti edizioni. Tali presupposti questa volta saranno attraversati e confrontati in un Territorio come la Toscana che – nonostante la sua straordinaria bellezza artistico-ambientale e la sua fulgida Storia - non è stata risparmiata dal cancro delle mafie – non solo in termini di importazione di fenomeni criminali da Territori di antica tradizione mafiosa, ma anche di creazione di sistemi criminali prettamente locali, almeno in termini di complicità e di connivenze.
Ma è sicuramente motivo di speranza il fatto che – come si è potuto constatare in Campania – un difficile, ma importante percorso di un consolidato movimento di opposizione culturale alla camorra locale - con tutte le relazioni e le cointeressenza con altre mafie - del pari è presente in Toscana un analogo movimento che - sia pure con specificità diverse – ha sviluppato nel tempo – oltre ad una rete di relazioni con movimenti di contrasto e resistenza presenti in Regioni del Sud di antica presenza mafiosa – la consapevolezza – individuale e collettiva – di concreti e diffusi insediamenti di crimine organizzato che nella Loro Regione hanno fatto sistema con realtà politico-istituzionali ed economiche. Di questo movimento - molto attivo e creativo - sarà prezioso partner per tutte le nostre attività in terra toscana – in particolare nei Territori di Siena, Firenze e Prato – la Fondazione Antonino Caponnetto
METODOLOGIA, MODALITÀ E DATE DI SVOLGIMENTO
Il Corso conferma la modalità interattiva basata sui principi della co-formazione con la valorizzazione degli aspetti comunicativi e della relazione personale diretta, oltre che con l'ascolto e il confronto con qualificati Docenti/Esperti, con Soggetti attivi nell'Associazionismo, nel volontariato sociale e in altri Enti e Gruppi informali attivi nel Territorio. L'attuazione di tali principi formativi sarà favorita dalla convivialità nella forma residenziale che prevede il Corso anche in questa edizione, preceduta da una sessione online di 4 incontri in VDC nei giorni 31 marzo, 3/7/8 aprile 2025 dalle ore 16,30 alle ore 18,30 - su argomenti propedeutici e/o di contestualizzazione rispetto ai temi dibattuti in presenza nella successiva sessione residenziale che si terrà presso Suvignano (SI), Firenze e Prato nei giorni 10-11- 12 aprile 2025.
Si precisa infine che la presenza necessaria per ottenere il rilascio dell'Attestato di partecipazione dovrà essere assicurata in entrambi le sessioni – online e in presenza – secondo le disposizioni contenute nel Regolamento.
ORGANIZZAZIONE
Questo Corso si svolgerà in Toscana e vedrà la partecipazione di un massimo di 30 Docenti in servizio presso le scuole di ogni ordine e grado e di 5 Uditori.
L’organizzazione e la logistica del Corso saranno curate da Solidaria Onlus, mentre la direzione scientifica è affidata all’Università “Kore” di Enna. Ci si avvale, inoltre, della collaborazione – nei Luoghi di svolgimento delle attività – del contributo di un tessuto associativo e istituzionale attivo in Toscana.
SESSIONE ONLINE
Programma attività
Giorno Orario Descrizione attività
31 marzo 16,30 – 18,30 * Apertura lavori del Direttore del Corso Prof. Giuseppe Burgio
* Andrea Meccia – L'uso degli strumenti audiovisivi nella didattica: una proposta metodologica
3 aprile 16,30 – 18,30 * Christian Raimo – Libertà di insegnamento e di espressione: un indicatore fondamentale per misurare la qualità della democrazia in un Paese
7 aprile 16,30 – 18,30 Marcello Ravveduto – Studenti digitali: fascinazione digitale al tempo dei social
8 aprile 16,30 – 18,30 Irene Biemmi – Segregazione formativa e orientamento scolastico. Una prospettiva di genere
SESSIONE RESIDENZIALE
presso Tenuta agricola di Suvignano Monteroni d'Arbia (SI) con attività in Firenze e Prato
Programma attività
Giovedì, 10 aprile 2025
Orario Descrizione attività
Entro le ore 10,30 Arrivo dei partecipanti a Siena - stazione ferroviaria centrale o terminal bus e Transfer fino alla Tenuta di Suvignano (SI) a cura dell'organizzazione. -
11,00 - 13,30 - Inizio delle attività e presentazione del gruppo
- Presentazione dei Lavori e illustrazione delle attività
13,30 Pranzo sociale
16,00 - 19,00 - "La Toscana non è Terra di Mafia ma la Mafia c’è e c’era!"
Maurizio Pascucci Responsabile Nazionale Beni Confiscati alla Mafia Fondazione Antonino Caponnetto
- "L’impegno dei Comuni per prevenire l’infiltrazione mafiosa"
Gabriele Berni, Sindaco e coordinatore ANCI legalità
- "Percorsi di cittadinanza attiva nelle scuole"
Domenico Bilotta, Responsabile Scuola della Fondazione A. Caponnetto /Vice Presidente dell’Associazione Nonno Nino
20,00 Cena sociale
Venerdì, 11 aprile 2025
Orario Descrizione attività
08,30 Trasferimento in Pullman a Firenze -
09,00 - 13,00 - Visita in Via dei Georgofili e di beni confiscati nel centro storico di Firenze
(Piazza Signoria-Piazza Pitti-Porta a Prato-Piazza d’Azeglio)
- incontro con Assessore del Comune di Firenze, con Salvatore Calleri, Presidente Fondazione Antonino Caponnetto e con familiari e testimoni
13,00 Pranzo sociale alla Casa del Popolo ARCI Galluzzo (dove si fa attività di Doposcuola e attività varie di prevenzione babygang) -
16,00 - 19,00 - Incontro con sindacalisti di strada Sudd Cobas su Mafia cinese - Produzione di contraffazione con il coinvolgimento del lavoro minorile
- Visita della zona commerciale e artigiana dell’Osmannoro (Area tra Firenze e Prato)
- Visita alla Comunità di base delle Piagge - incontri ed esperienze di comunità alternative per l'integrazione e il superamento di varie forme di disagio sociale
20,00 Cena sociale -
Sabato, 12 aprile 2025
09,00 - 13,00 - Valdo Spini - La politica può parlare ancora ai giovani?
- Fernando Prodomo - Problemi inerenti alla devianza minorile
13,00 Pranzo e chiusura corso.
PER OGNI ULTERIORE INFORMAZIONE: www.solidariaweb.org
lunedì 10 marzo 2025
DUE QUESTIONI SOLLEVATE DALLA PROPOSTA DI M. SERRA DI MANIFESTARE A ROMA iL 15 MARZO
In
questi giorni la proposta di Michele Serra di convocare una grande
manifestazione di piazza a Roma, per urlare la necessità che l’Europa abbia un
sussulto di dignità e si ponga come soggetto autonomo rispetto alle grandi
potenze mondiali, sta dividendo l’Italia trasversalmente all’interno degli
schieramenti partitici, delle organizzazioni sindacali, dei movimenti
pacifisti.
Se
non vedo male, sono in gioco due questioni distinte che vanno affrontate
separatamente.
La
prima nasce da una (suppongo intenzionale, data l’abilità comunicativa di
Serra) ambiguità del suo appello: scendere in piazza per questa Europa
(dalla fondazione dell’Unione Europea a oggi) o per un’Europa radicalmente
rifondata secondo i suoi primi ideatori a Ventotene (dunque sui princìpi
dell’Ottantanove – libertà, uguaglianza, fraternità - , sulla partecipazione
democratica, sul perseguimento della giustizia sociale, sul ripudio della
guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti etc. etc.) ? La moltiplicazione
delle esegesi del testo mi pare inutile: nessuno può stabilire a quale delle
due Europe si riferisca Serra perché egli per primo si è voluto rivolgere
indistintamente ai sostenitori di entrambe. Infatti, se avesse voluto dirimere
l’equivoco, avrebbe potuto spendere una parola o di approvazione esplicita o di
critica esplicita alla strategia adottata dalla Commissione europea in questi
anni di guerra in Ucraina, di stragi a Gaza, di conflitti armati nel mondo. Ha
preferito parlare a tutti in modo da convincere la maggior parte: e in effetti
stanno aderendo realtà di ogni colore ideologico e di ogni schieramento
politico.
Una
seconda questione, ben distinta dalla prima, riguarda le ragioni degli uni (pro
questa Europa) e degli altri (pro un’Europa altra) cittadini: ed
è la questione decisiva che resterà aperta anche dopo il 15 marzo, data in cui
la manifestazione romana (quali che siano le idee diversificate o addirittura
opposte dei partecipanti) non modificherà (a mio avviso) di tanto né la
politica del nostro Governo né ancor meno della Commissione europea.
Da
una parte c’è la grande maggioranza dei partiti, della stampa, degli
intellettuali: Putin è il nuovo Hitler; va fermato in Ucraina se non gli si
vuole permettere di arrivare in Portogallo a Occidente e ai confini della Cina
in Oriente; questo fine nobile, anzi sacro, giustifica ogni mezzo (perfino la
deterrenza nucleare) e legittima ogni costo (fossero pure altre centinaia di
migliaia di morti in aggiunta ai caduti degli eserciti russo e ucraino). E’
ingeneroso definire guerrafondai i sostenitori di questa tesi: non vogliono
certo la guerra per la guerra ma, come ha ribadito in un intervento del 7 marzo
2025 Paolo Flores D’Arcais, si tratta di riscoprire la saggezza antica del “Se
vuoi la pace, prepara la guerra”.
Dall’altra
parte c’è una piccola minoranza di politici, di opinion leader, di
studiosi che ritengono mistificante la narrazione della maggioranza per almeno
due motivi principali: Putin si è comportato come Hitler con la Polonia (dunque
in maniera criminale), ma - a differenza
di Hitler - dopo essere stato per anni provocato dalla progressiva estensione
della NATO che ha circondato la Russia di Paesi ostili. Inoltre, ammesso e non
concesso che Putin sia il nuovo Hitler e voglia invertire la storia degli ultimi
tre secoli (in cui sono stati Paesi europei a tentare di invadere la Russia,
mai il contrario), innescare un’escalation bellica (sino a non escludere il
ricorso a ordigni atomici) è il modo peggiore (perché autolesionistico,
suicida) di bloccarlo. Prima dell’occhio per occhio, dente per dente (che,
secondo l’osservazione di Gandhi, rende il mondo cieco), ci sono mille
strategie diplomatiche, economiche, tecnologiche per opporsi a Putin.
Una
minoranza della minoranza pensa che se gli Stati istituissero, in
parallelo se non ancora in sostituzione delle Forze armate, delle Forze di
difesa popolare nonviolenta, le strategie di difesa nei confronti di possibili
invasori sarebbero molto più numerose: scioperi, non-collaborazione,
boicottaggi…(il mio amico Andrea Cozzo ne illustra diverse nel suo recente
libretto La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da sapere prima di condividerla o rifiutarla).
La storia, dai Greci alla Danimarca contro Hitler, è zeppa di episodi di
opposizione dura, efficace, vincente, ma senza armi, a eserciti invasori: ma i
manuali scolastici o li ignorano o (come nel caso di Gandhi contro la Gran
Bretagna) li liquidano con poche righe.
Chi, come me, è arrivato – dopo un lungo e tortuoso percorso di ricerca – alle posizioni di questa minoranza (di nonviolenti) della minoranza (pacifista), dev’essere disposto ad accettare l’epiteto di “utopista”. Infatti non si tratta di frequentare i ‘luoghi’ (topoi) abituali, ma di lavorare affinché l’umanità compia un salto evolutivo verso un ‘luogo’ (topos) ancora inesistente in cui uccidere – sia pure per motivi che si ritengono sacri – sia considerato un tabù (come l’umanità odierna ritiene impensabile il cannibalismo o l’incesto). Come ho letto da qualche parte, le persone di buon senso si comportano come ci si è comportato per lo più sino alla loro epoca; ma, se ogni tanto non ci fossero degli spostati (come Socrate, Buddha, Gesù, Francesco d’Assisi, Giordano Bruno, Martin Luther King…), la storia non segnerebbe nessun passo in avanti.
Augusto
Cavadi
* Per la versione originaria corredata da foto cliccare qui:
https://www.zerozeronews.it/pacifismo-e-non-violenza-secondo-augusto-cavadi/
domenica 9 marzo 2025
IL SESSANTOTTO RACCONTATO A GIOVANI DI OGGI
Gli inviti, da parte di classi di studenti a incontrare qualche reduce del Sessantotto, si fanno più frequenti via via che restiamo sempre in meno a sopravvivere,. Quando tocca a me, mi riesce difficile proporre una narrazione sintetica e soprattutto imparziale. In questi giorni ho provato a partire dall’equazione Sessantotto = contestazione globale: globale in senso geografico (ha toccato quasi tutto il pianeta) e in senso intensivo (ha riguardato quasi tutti gli aspetti della vita personale e collettiva).
Ma
chi sono stati i soggetti principali di questo movimento contestatario che si
proponeva, attraverso lotte settoriali, di cambiare l’intero “sistema”?
Innanzitutto
gli studenti che hanno contestato contenuti e metodi pedagogici delle
agenzie educative più diffuse (scuole/università e chiese); la morale sessuale
dominante (ossessionata dal rischio delle gravidanze indesiderate) e le
politiche militariste (la cui espressione parossistica era costituita dalla
guerra del Vietnam).
In
contemporanea con le rivolte studentesche – e non di rado ad esse intrecciato –
si è registrato il movimento di liberazione delle donne: il femminismo, da teoria e pratica di piccoli
gruppi pionieristici, è diventato un fenomeno sociale molto più ampio e
ramificato.
Anche
gli operai si sono mobilitati per il miglioramento decisivo delle
condizioni di lavoro e, più radicalmente, per introdurre nella fabbrica spazi e
tempi di partecipazione democratica.
A
più di mezzo secolo da quegli anni il bilancio è ambiguo.
Certamente
è stato ottenuto il riconoscimento legislativo di molti diritti civili
anche in Paesi dove sembravano impossibili (vada per tutti il caso del divorzio
in Italia), ma non si può negare che le istanze progressiste hanno esasperato l’individualismo
tipico della concezione antropologica borghese: il “noi” ha ceduto quasi
completamente il posto all’ “io” nell’accezione più riduttiva ed egocentrica.
Certamente
sono stati ottenuti per i lavoratori e i cittadini meno abbienti notevoli progressi
salariali e, più in generale, legislativi. Ma proprio queste conquiste in
direzione dello Stato assistenziale prefigurato nella Costituzione repubblicana
hanno scatenato nelle minoranze imprenditoriali, militari e politiche di stampo
reazionario una vera e propria strategia terroristica (sia attraverso
Servizi segreti statali sia manovrando, in forme non ancora del tutto chiarite,
gruppi estremisti di destra e di sinistra nonché associazioni criminali
mafiose). Perciò, se la mobilitazione partitica e sindacale ha prodotto
risultati tangibili e motivanti, la degenerazione terroristica ha smorzato gli
entusiasmi dei cittadini inducendoli a ripiegare, per paura e/o delusione, nel
disimpegno politico dalla fine degli anni Ottanta a oggi.
Sul
piano internazionale il vento del Sessantotto ha soffiato anche all’interno dei
grandi Partiti Comunisti Occidentali ed è penetrato al di là della “cortina di
ferro”, contribuendo non poco al progressivo indebolimento, ideologico e
istituzionale, dell’Unione Sovietica: di
uno dei due antagonisti della Guerra “fredda” che aveva mantenuto il mondo
sotto la spada di Damocle di un conflitto nucleare definitivamente devastante.
Ma con l’implosione dell’URSS il bi-polarismo planetario ha lasciato
campo libero ad uno solo dei due imperialismi in conflitto: gli Stati
Uniti d’America e i Paesi occidentali alleati (NATO). Una supremazia che sembra
indiscussa dal punto di vista culturale (l’anglo-americano come lingua
universale e il capitalismo come teoria economica unica, adottata da regimi
politici di segno diverso), ma che lo è sempre
meno dal punto di vista politico-militare dal momento che Cina, Russia, India,
Brasile e altri Paesi emergenti non intendono rinunziare ad arginare lo
strapotere statunitense sulla scena internazionale.
Il quadro è (per fortuna) in continuo cambiamento e molto di ciò che è mutato dal 1968 al 2025 – soprattutto con l’avvento del Web e dei suoi padroni sovranazionali - muterà certamente nei prossimi anni, anzi nei prossimi mesi. Come dal Sessantotto (e, in parte, grazie ad esso) in poi, saranno cambiamenti in meglio e in peggio: la storia sembra preferire lo zig-zag alla linea dritta. Individui e gruppi possono condizionarne il corso? Mezzo secolo fa sembrava che si fosse un po’ tutti convinti di sì. Oggi siamo in pochi a perseverare in quella generosa, ma ingenua, convinzione di poter “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si è trovato” (Robert Baden Powell). Cerchiamo nuove motivazioni ideali, nuovi miti propulsivi; ma nessuna improbabile rinascita di passioni sopite avrà effetti storici incisivi se non sostenuta dalla fatica condivisa dell’indagine razionale, della riflessione critica, della progettazione meditata. Cuore e ragione, si potrebbe sintetizzare con uno slogan. Ma già Hegel aveva coniato il modello antropologico affascinante del “cuore pensante”.
Augusto
Cavadi
* Per la versione originaria, corredata da foto, cliccare qui:
https://www.zerozeronews.it/dall-8-marzo-alla-coscienza-civile-quel-che-resta-dei-sogni-del-68/
martedì 4 marzo 2025
domenica 2 marzo 2025
PREGARE PER LA SALUTE DI PAPA FRANCESCO?
PREGARE PER LA SALUTE DI PAPA FRANCESCO ?
Anche se ho in mente le troppe
decisioni che papa Francesco non ha preso – non ha voluto o non ha potuto
prendere – per la sua Chiesa, mi è umanamente simpatico. Sono dunque
sinceramente dispiaciuto per le sue traversie sanitarie e spero che si rimetta
in forma il più presto possibile. Non può dunque che colpirmi favorevolmente la
notizia che piccole folle di fedeli si radunino ora sotto l’ospedale ora in
piazza san Pietro ora in altri luoghi del pianeta per pregare per lui.
Dal punto di vista sentimentale
trovo incoraggiante constatare che esistono ancora dei personaggi pubblici che
attraggono stima, solidarietà, affetto dalle donne e dagli uomini di strada. Ma
poiché non siamo solo una fucina di sentimenti, mi viene spontaneo chiedere che
messaggio questi cattolici stiano trasmettendo al mondo (oggettivamente, senza
neppure averne consapevolezza).
Le loro preghiere per la
guarigione del papa implicano una serie di convinzioni che non è facile
giustificare teologicamente.
La prima è che da Dio dipendano
direttamente tutti i fenomeni naturali dell’universo: ma davvero, come mi si
ripeteva da bambino, non cade foglia che Dio non voglia? O Egli/Ella/Esso/X va
pensato come il Fondamento della totalità che (per riprendere le suggestioni di
Teilhard de Chardin e di don Carlo
Molari) non “fa” ma “fa fare” a ciascun essere secondo le sue peculiarità? Non
va pensato, forse, come la Causa “prima”
che rende possibile l’operatività autonoma delle cause “seconde”?
Se non adottiamo questa
concezione di Dio più evoluta e restiamo alla visione medievale della
“onnipotenza” divina, dovremmo ammettere che Egli/Ella/Esso/X possa guarire
“miracolosamente” Bergoglio, ma non lo fa spontaneamente. Per attivarsi aspetta
che un congruo numero di esseri umani glielo chieda. A quanto ammonterebbe il
numero minimo legale? Cento, mille, centomila, un milione di oranti?
Ammesso – e non concesso – che
Dio possa e voglia intervenire specificamente in un caso come questo (e lo
facesse davvero per venire incontro alla pressione dell’opinione pubblica
religiosamente accreditata), che cosa penserebbero i genitori che pregano
invano per la guarigione dei loro piccoli o i piccoli che pregano invano per i
loro genitori? Come si potrebbe giudicare un Dio che risparmia la morte a un
vecchio ottantottenne ma rimane inerte davanti all’agonia di milioni di persone
di ogni età (senza contare le inenarrabili sofferenze di animali di ogni altra
specie vivente)?
Sono – o almeno tendo ad essere – un soggetto ragionevole, ma non sono un razionalista. Forse ognuno di noi è connesso con tutta l’umanità, anzi con tutto il cosmo, non solo a livello fisico, ma anche mentale e psicologico. Forse l’entanglement di cui parlano i fisici quantistici non vale solo a livello di microfisica. Dunque pregare Dio per un nostro simile può essere un modo – per così dire indiretto – di trasmettergli energie positive, sanatrici, liberatrici. In questa ipotesi (che per me è una speranza) anche la preghiera collettiva per un pontefice malato può avere un senso. Purché si sappia e si dica chiaramente che la visione antropomorfica di Dio, come Arbitro indiscutibile che dà e toglie la vita secondo criteri a noi ignoti, è ormai alle spalle della teologia più evoluta.
Augusto Cavadi
* Versione originaria con apparato iconografico 8e un commento del direttore del sito) qui:
https://www.zerozeronews.it/pregare-per-la-salute-di-papa-francesco/
giovedì 27 febbraio 2025
POESIA COME VOCE DELL'IMPEGNO CIVILE: "APPUNTI DI VERSI" DI UMBERTO SANTINO
Umberto Santino ha scandito – e in qualche misura,
forse, supportato – la sua instancabile attività scientifica e sociale con una
riflessione più interiore. Dopo vari altri frutti di questa spiritualità laica
- i suoi scritti di carattere letterario, sia narrativi che lirici – viene alla
luce in questi giorni una raccolta di poesie composte dal 1964 a oggi: Appunti
per un libro di versi (Di Girolamo, Trapani 2025, pp. 426, euro 20,00).
Come è facile ipotizzare, queste pagine riflettono
varie stagioni della sua esistenza e varie sfaccettature della sua personalità.
Alcune rivelano l’impegno del co-fondatore (con la
moglie Anna Puglisi) del “Centro siciliano di documentazione Giuseppe
Impastato”: “Questo non è mio figlio./ Queste non sono le sue mani/ questo non
è il suo volto./ Questi brandelli di carne/ non li ho fatti io./ Mio figlio era
la voce/ che gridava nella piazza/ era il rasoio affilato/delle sue parole/era
la rabbia/era l’amore/che voleva nascere/che voleva crescere./ Questo era mio
figlio/quand’era vivo,/quando lottava con tutti:/mafiosi, fascisti,/uomini di
panza/ che non valgono neppure un soldo/ padri senza figli/ lupi senza pietà” .
In altre pagine l’eco di tante campagne
anti-militariste: “I mercanti vendono armi/e le armi sono fatte per
combattere./ I più furbi erano loro/ e vincere o perdere/non aveva senso per
chi cadeva/guardando per l’ultima volta/il cielo che avremmo potuto goderci/
stando seduti nelle caffetterie”.
Versi del natale 2000 non hanno perduto – purtroppo –
neppure un grammo di tragica attualità: “Neppure questa notte/ci sarà tregua/
tra i ragazzi dell’Intifada/ e i soldati del popolo eletto./Qui si attende
ancora/la nascita di un messia/ e si scambiano le parti/ Davide e Golia”. Come non
l’hanno perduto altri “appunti” della prima decina del secolo in corso dedicati
al Mediterraneo: “Non arrivano più guerrieri/spinti dalla voglia/ di
conquistare il mondo/ o corsari allenati/agli stupri e ai saccheggi/ e le acque
non assistono più/ alle battaglie tra romani e cartaginesi/bevendo il loro
sangue./Ora sul mare si avventurano/i figli della disperazione/e li spinge la
ricerca/di improbabili terre promesse./E le onde cullano i corpi/dei morti alla
speranza”.
Ancora più tremenda della crudeltà fra esseri umani all’autore
appare la ferocia degli umani verso gli altri animali: “Lezione di morte/ per
chi rimane a vivere/io canto la tua bocca spalancata/canto il tuo sangue
sparso/la tua nudità innocente/nel sudario della sera/toro senza nome/ucciso da
uomini senza pietà/ nero cristo di Spagna”.
A tanti orrori Santino non può reagire più né con la
fede cristiana della giovinezza né con la speranza marxista della prima
maturità: come agli apostoli di Cristo e ai profeti della rivoluzione
comunista, anche a noi resta solo da tornare “alle nostre case/per continuare a
sognare/ un sogno che non si avvera…”. A
giudizio dell’autore l’estrema dignità è reggere, con coraggio esistenziale, la
lezione che la natura impartisce ancor più della storia: “lunga o breve/ la
strada è senza meta,/ e non ha senso/ né l’andata/né il ritorno”.
Se la consapevolezza delle brutture della storia conferisce alla raccolta una tonalità predominantemente malinconica, non mancano pagine in cui la bellezza della natura e soprattutto dell’arte (fruita nei numerosi viaggi in giro per l’Europa e l’Africa settentrionale) sembra aprire qualche spiraglio luminoso. Come ad esempio grazie alla contemplazione estetica di un quadro del caravaggesco Stomer ospitato nel museo di Messina: “Ci scaldiamo a questa fiamma/ che brucia la luce/e dirada l’ombra/che ci giunge/ dal buio del mondo”. Addirittura non mancano, qua e là, tracce della vena umoristica dell’autore, come quando – inspirato dall’autore di Alice nel paese delle meraviglie – si diverte a comporre un limerick: “Due turisti affamati/andarono a Limerick per essere sfamati,/ ma trovarono solo un’acciuga/che si asciugava nel bagnasciuga./Poveri turisti che rimasero affamati”.
Augusto Cavadi
* Sabato 1 marzo 2025 alle ore 18.30 il volume sarà presentato a Palermo, da Mario Valentini, presso la "Casa dell'equità e della bellezza" (via N. Garzilli 43/a).
Per la versione originale di questa recensione, con corredo iconografico, cliccare qui: https://www.zerozeronews.it/poesia-come-voce-dellimpegno-civile/
martedì 25 febbraio 2025
domenica 23 febbraio 2025
IL PRIMO VOLUME DEI RACCONTI FANTA-STORICI DI MASSIMO PATERNI
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la Prefazione di Augusto Cavadi al volume di Massimo Paterni, Come se Dio ci fosse. “La grande Città su te crollerà e l’Imperatore per sé ti vorrà…”, Diogene Multimedia, Bologna 2025, vol. 1 di 3.
***
Sin
da ragazzo ho sognato di scrivere un romanzo, convinto che la narrativa veicoli
le idee filosofiche in maniera più
efficace della saggistica. Poiché ho abbondantemente superato la soglia dei
sette decenni, mi sono rassegnato all’inattuabilità del mio sogno. Unico
conforto: constatare che altri riescano dove a me non è stato concesso. Ecco
perché, quando mi sono passate per le mani le pagine di questo volume, ho
avvertito un senso di gioioso sollievo: il mio amico Massimo Paterni aveva
preparato per noi lettori un banchetto intellettuale, estetico e direi anche
spirituale davvero prezioso. (Uso ‘spirituale’ nell’accezione più laica dell’aggettivo:
talmente ‘laica’ - priva di pregiudizi – da potersi permettere la trattazione
anche di tematiche teologiche).
Almeno
a prima vista non si tratta di un romanzo comunemente inteso, ma di una serie
di racconti. Solo che, quando si entra nelle storie, ci si accorge che, in
realtà, narrano tutte la medesima vicenda che ritorna quasi ossessivamente: c’è
sempre qualcuno alla ricerca del senso del sacro nella vita, ma Dio continua a
tacere.
Da
uno sguardo all’indice di questo primo volume si intravede il filo conduttore
delle vicende del monoteismo mediterraneo che lentamente, gradualmente, ma
inesorabilmente, scalza e schiaccia i paganesimi precedenti: una traiettoria
apparentemente trionfale di cui noi abitanti del XXI secolo possiamo misurare –
nella stagione della secolarizzazione occidentale in tensione dialettica con
fondamentalismi sempre più feroci -
l’intrinseca ambiguità e, in ultima analisi, il fallimento. Siamo o no
entrati nell’era del post-teismo? L’autore non dà una risposta. Forse, da
osservatore oggettivo, lo teme, ma, da credente di inspirazione protestante,
spera contro ogni speranza.
Intanto
regala al lettore un godimento insolito: adotta, ogni volta, uno stile
letterario consonante con i contenuti (teorici e più spesso storici)
veicolati. Così il Prologo, di
stampo nichilista è redatto come fosse un apocrifo di Borges. Nascita
evoca gli elementi comuni a tutte le rinascite del Sole nel solstizio di
inverno (da Horus, a Mitra, a Cristo) e, dunque, si snoda su un registro
comunicativo arcaico. Segue una serie di tre racconti chiamata Espansione
in cui si inanellano vicende cruciali dal declino dell’Impero Romano
d’Occidente all’ascesa dell’Impero Bizantino sino all’esplosione dell’Impero islamico
e alla rifondazione in Europa del Sacro Romano Impero. Queste tre storie si
possono leggere come una sola in tre tempi, ma, poiché fra la prima e l’ultima passano
più di otto secoli, Paterni modula la lingua in maniere differenti: asciutta
nel primo episodio con protagonista un soldato romano; morbida e
orientaleggiante nel secondo che sembra tratto da Mille e una notte; shakespeariana nel
terzo e ultimo incentrato sulle stragi e ingiustizie consumate da Carlo Magno
per riunire quasi tutto l’Impero d’Occidente sotto l’egida di ciò che egli
ritiene essere la fede cristiana.
Alla
fine, come accade nelle opere riuscite, si ha la benefica sensazione che
l’immersione nel passato (per quanto gradevole) non sia stata una fuga dal
presente, piuttosto una presa di distanza provvisoria per ritornarvi con più
lucida consapevolezza: Homo sapiens non è stato mai privo d’insipienza,
ma nei recessi più oscuri dell’anima dei singoli e dei popoli non si è spenta
l’utopia di una convivenza meno crudele e addirittura fraterna.
www.augustocavadi.com
* Per la versione originaria illustrata cliccare qui:
https://www.zerozeronews.it/la-storia-romanzata-per-divulgare-la-filosofia/
martedì 18 febbraio 2025
SEX WORKER, GPA, IDENTITA' DI GENERE: UN CONTRIBUTO AL DIBATTITO INTERNO AL FEMMINISMO
Su
alcune questioni etiche (in particolare il lavoro sessuale, la gravidanza per
altri, l’identità di genere) il mondo femminista contemporaneo è attraversato
da una spaccatura per molti versi imprevedibile. Da una parte (il movimento
LGBT+, Non Una Di Meno, esponenti del transfemminismo) chi sostiene posizioni più possibiliste,
quando non apertamente favorevoli al capovolgimento dell’etica sinora maggioritaria;
dall’altra (molte esponenti del femminismo storico) chi è molto critico verso
le ‘nuove’ tendenze permissive e ne denuncia i risvolti decisamente negativi.
Questa contrapposizione trasversale non sarebbe particolarmente interessante se
non venisse a dividere personalità, gruppi, movimenti ritenuti tradizionalmente
‘progressisti’, di ‘sinistra’. Infatti una cerchia di femministe storiche ha
pubblicato il volume Vietato a sinistra. Dieci interventi femministi su temi
scomodi (Castelvecchi, Roma 2024) per denunziare ciò che ritiene una
scorretta strategia dialettica: a parere delle co-autrici, chi è in disaccordo
con le loro tesi, invece di entrare nel merito delle questioni, preferisce
sfruttare polemicamente la convergenza oggettiva di tali posizioni con
convinzioni espresse nel dibattito pubblico da ambienti consistenti della
Destra politica e religiosa. Come si esprime Daniela Dioguardi (che è anche la
curatrice del volume), “chi osa manifestare un pensiero divergente, esprimere
una critica, un dissenso viene bollato come di destra, reazionario, bigotto,
conservatore, perfino fascista e si tenta in vari modi di metterlo a tacere”
(p. 40).
Quali
sono, in estrema sintesi, le ragioni per cui a Sinistra non dovrebbe essere
ovvio abbracciare con entusiasmo le teorie oggi di moda? Perché la
prostituzione non è un un sexual work ma uno sfruttamento
maschilista del corpo della donna; l’affitto dell’utero per nove mesi non è un
gesto di solidarietà tra donne ma l’ennesima strumentalizzazione di chi ha
soldi a danno di chi è fortemente deprivato; la possibilità di scegliere la
propria identità di genere non è espressione di autodeterminazione ma miope
cancellazione dei dati biologici e della differenza irriducibile fra maschile e
femminile. Alla radice di queste trasformazioni – apparentemente rivoluzionarie
in senso progressista – si troverebbe, invece, l’idea di “una libertà individuale incondizionata” (p.
39) che scambia per “diritti” i propri “desideri” e riduce “il corpo” a “un
oggetto in nostro possesso di cui possiamo fare ciò che vogliamo” (p.40). Lo
scardinamento dell’etica occidentale non avviene, dunque, in nome della
scienza, dell’evoluzione culturale, della civiltà, bensì della “nuova frontiera
del neoliberismo” (ivi).
A
un complesso di tesi così stimolanti mi sono sorte delle considerazioni che,
forse, meriterebbero a loro volta di essere esaminate.
Non
ho difficoltà ad ammettere che molte rivendicazioni settoriali delle nuove
generazioni si basino – come scrive Francesca Izzo nella Introduzione –
sul “paradigma individualistico, diventato dominante nell’economia come nella
politica o nell’etica” (p. 10), che appartiene alla tradizione
liberal-borghese-capitalistica più che a culture alternative che (non di rado
con unilateralismo altrettanto “fuorviante”) hanno sottolineato la dimensione
comunitaria, sociale, collettiva. Ma su quale di queste due prospettive
ideologiche i femminismi storici hanno fondato le loro (legittime)
rivendicazioni? A me pare – per limitarmi all’esempio più eclatante – che
slogan come “l’utero è mio e lo gestisco io” siano espressione di
un’antropologia individualistica, sbilanciata sul versante dell’autonomia e dei
diritti piuttosto che della corresponsabilità e dei doveri. Se così fosse
bisognerebbe riconoscere che il transfemminismo, più che tradire i presupposti
teorici del femminismo storico, ne sta traendo le conseguenze logiche estreme.
Se
capisco bene, anche la Izzo riconosce la necessità di rifondare su presupposti
diversi normative come “la legge 194”, in cui “la libertà di scelta” non viene
più “declinata” “in termini di diritto” ma chiamata “autodeterminazione” (p.
9). Ma – chiederei – cosa legittima questa possibilità di autodeterminarsi da
parte della donna gravida, se ci lasciamo alle spalle l’ottica atomistica,
monadica, del liberalismo illuministico? Sul criterio del male minore. Sino a quando la cultura sessuofobica
dominante ostacolerà la diffusione capillare delle informazioni sulle tecniche
contraccettive, donne di ogni età e condizione sociale continueranno a rimanere
involontariamente incinte: a quel punto la soluzione meno ingiusta è che la
decisione ultima (se non esclusiva) sull’interruzione della gravidanza spetti
non al partner o alla famiglia d’origine, ma a chi dovrà pagare il prezzo più
alto in termini di sofferenza psico-fisica. Che lo Stato assicuri assistenza
sanitaria alla donna che ritiene inevitabile affrontare il trauma dell’aborto
procurato può essere giustificato nell’ottica della riduzione del danno:
qualsiasi altra soluzione (dal ricorso a interventi selvaggi in condizioni
igieniche proibitive al privilegio delle donne più danarose di ricorrere a
cliniche straniere specializzate) risulterebbe eticamente peggiore.
Però
– passo a una seconda considerazione – se, scartata la logica
dell’individualismo proprietario, la legislazione può regolamentare pratiche in
sé immeritevoli di tutela ma realisticamente impossibile da impedire, solo allo
scopo di limitarne al massimo gli inconvenienti, perché escludere che
nell’elenco di queste pratiche rientrino la prostituzione sessuale o la
gravidanza per altri? A mio avviso una donna che, senza nessuna costrizione
fisica, accetti d’essere ingravidata in conseguenza di un rapporto sessuale
completo con un maschio irresponsabile (dunque sto escludendo aborti
terapeutici, eugenetici o di feti conseguenti a stupri) non ha “diritto” di
essere soccorsa dallo Stato a rimediare alla propria imprudenza più che un
motociclista che, privo di casco, voli
dalla sua moto durante una corsa a 170 km orari in autostrada: ma, nell’uno
come nell’altro caso, qualsiasi altra soluzione apparirebbe disumana.
Similmente si può affermare che una donna che decida – anche se per ragioni
economiche oggettive – di prestare servizi sessuali a pagamento o addirittura
il proprio stesso apparato riproduttivo non stia esercitando un “diritto”; e
tuttavia uno Stato, al fine di evitare
danni più pesanti, può intervenire legislativamente per regolamentare delle
prassi che (in assoluto o comunque in relazione alla coscienza etica media di
una certa società) non sarebbero accettabili. Chiunque di noi, se avesse a cuore il destino
di una donna che ritenesse lecito (o illecito ma, nella data situazione
concreta, inevitabile) esercitare la prostituzione o prestare il proprio utero
per la formazione di un bimbo non suo, se non riuscisse a modificare la
decisione della figlia o della sorella o della compagna, preferirebbe che essa
fosse almeno protetta normativamente dai rischi più gravi della sua scelta.
Dioguardi,
giustamente, condanna le posizioni drastiche e “su una maniera così complessa”
ritine che si debba “aprire un dibattito che faciliti la diffusione di corrette
e complete informazioni e il confronto tra opinioni diverse” (p. 44). Poiché
all’interno di questo volume le voci sono tutte convergenti, ci si deve
augurare che – nelle varie sedi in cui sarà presentato e discusso – si possano
ascoltare punti di vista differenti o addirittura opposti.
Augusto
Cavadi
“Adista/
Segni nuovi”, 7, 22.2.2025