domenica 13 aprile 2025

FEMMINICIDI: PER FENOMENI COMPLESSI SOLO ANALISI COMPLESSE E TERAPIE MULTILIVELLO

 

Un fenomeno complesso non può spiegarsi con una sola causa. Al cospetto di ogni femminicidio bisognerebbe aprire bocca solo se convinti di poterne individuare alcune delle molteplici radici, senza nessuna pretesa di esaurire l’analisi. E tanto meno le indicazioni  terapeutiche.

Non c’è dubbio che siamo immersi in uno scenario mondiale pervaso di violenza: senza considerare l’esercizio abituale e irriflesso nei confronti dell’ecosistema (fauna e flora comprese), la logica della prevaricazione e della reazione altrettanto violenta (anzi, se possibile, più violenta) domina quotidianamente i rapporti all’interno della coppia, della città, dei ceti sociali, delle relazionali internazionali fra gli Stati. Gli antropologi e gli storici delle civiltà ci avvertono che non è stato sempre così nel passato e non lo è nel presente: se l’umanità non si è estinta è perché ci sono state, e ci sono, le resistenze attivamente nonviolente, le tregue, le negoziazioni, le paci. Ma non c’è dubbio che, anche se le eccezioni alla regola statistica dell’occhio per occhio (anzi, dei due occhi per ogni occhio) venissero debitamente registrate nei libri di storia e nelle cronache dei “giornalisti di pace”, la bilancia segnerebbe la prevalenza della prepotenza.

La logica planetaria della violenza si squaderna, e per così dire si articola, in settori specifici (dominio delle maggioranze verso le minoranze; dei gruppi criminali verso i concittadini disarmati; dei proprietari dei mezzi di produzione di beni materiali, servizi e informazioni verso i dipendenti, i clienti e l’opinione pubblica; e così via): l’ambito dei rapporti fra uomini e donne è uno di questi spazi di violenza sistemica. E’ ovvio che non si tratta di rilevare statisticamente per conteggi ragionieristici i casi in cui un maschio esercita violenza su una femmina (anche se persino da questo punto di vista contabile si palesa una evidente disimmetria), bensì di un assetto globale – culturale, istituzionale, sociale, economico – nel quale, a parità di altri fattori, le opportunità di sopravvivenza, di lavoro, di movimento, di iniziativa… degli uomini sono nettamente prevalenti sulle corrispondenti opportunità delle donne. Questo impianto complessivo è stato spesso denominato “patriarcato”, ma, anche grazie alle conquiste del femminismo militante, la figura del padre-padrone è oggi in crisi e mi pare sia preferibile adottare altre categorie come “maschilismo” o “androcentrismo”. Al di là dei vocaboli (necessariamente approssimativi), la situazione oggettiva sembrerebbe evidente: in tutto il pianeta nascere maschi costituisce, per alcuni versi o per molti, un privilegio. Come ha affermato qualcuno, c’è solo un soggetto più svantaggiato del più povero contadino della Terra: sua moglie. Come negare che una mentalità maschilista, radicata in una prassi che in essa si esprime e da essa viene legittimata ulteriormente, costituisca un contesto di sfondo  in cui agli uomini venga spontaneo assumere senza neppure averne consapevolezza una postura direttiva, proprietaria, nei confronti delle donne?  Hanno ragione quanti negano un rapporto causale fra “patriarcato” e femminicidi: non c’è alcun dato statistico che supporti questa correlazione. Ma vanno subito aggiunte almeno due considerazioni.

 La prima: l’assetto maschilista della stragrande maggioranza delle società contemporanee produce, e cela, un mare di violenza sistemica (linguistica, psicologica, economica…) a danno delle femmine che è devastante anche quando non arriva a sopprimerne la vita biologica. Insomma: se non ci sono elementi per attribuire al patriarcato i femminicidi, ce ne sono abbastanza per addebitargli tutte le altre forme di violenza di genere.

La seconda: il “patriarcato”, già pernicioso là dove anacronisticamente persiste, si rivela addirittura assassino là dove è minacciato, intaccato, ferito dall’evoluzione delle donne.  In epoche e in strati sociali dove era ‘normale’ che sorelle, mogli, figlie…accettassero la subordinazione  al dominio dei fratelli, mariti, padri…non c’era alcun motivo di sopprimerle. E’ nei tempi e nei luoghi in cui un numero crescente di donne si rifiuta di restare in condizioni di svantaggio sistemico, e culturalmente complice perpetuando nell’educazione dei figli e delle figlie la prospettiva androcentrica, che il padre-padrone può avvertire lo sgretolarsi del terreno sotto i piedi (e del trono sotto il sedere) ed essere spinto a gesti estremi.

Se la violenza è, a livello planetario,  lo strumento privilegiato per nascondere i conflitti e per sedarli qualora emergano alla luce del sole; e se tale postura dominante caratterizza, più specificamente, le relazioni di genere, non possiamo fermarci qui nel tentativo di interpretare i casi di femminicidio. Miliardi di maschi nascono, crescono e muoiono in questa atmosfera (genericamente e specificamente) violenta senza diventare assassini di donne in quanto donne. Per capirne un po’ di più dovremmo considerare il percorso di formazione dei singoli assassini e rassegnarci, anche da questo punto di vista, a constatazioni di segno opposto.

Ci sono ovviamente i violenti con una storia alle spalle di violenze subite; carnefici perché, prima ancora, vittime di una “pedagogia nera” (Rutschky, Perticari, Miller): vanno qui collocati gli eventi femminicidiari attribuiti a figli educati a bastonate in certe famiglie di origine asiatica o spettatori di crimini perpetrati metodicamente da genitori mafiosi.

Ma ci sono anche gli assassini viziati da genitori – particolarmente da madri – latitanti o, se presenti, permissivi: individui, specie di estrazione borghese, che raramente hanno sperimentato nell’infanzia e nell’adolescenza un divieto, uno stop, un no e che vivono i rifiuti (anche i più legittimi) alle loro richieste come un’insopportabile ferita del proprio narcisismo. In casi del genere è illuminante osservare il comportamento di madri che, informati del delitto consumato dal figlio ai danni di un’altra donna, si affrettano ad aiutarlo a lavare il sangue dal pavimento o a procurarsi un biglietto per volare all’estero.

Poiché non tutti i maschi educati o violentemente o permissivamente diventano autori di femminicidi, l’angolazione pedagogica, per quanto necessaria, si rivela insufficiente: man mano che dal generale zoomiamo sul particolare, abbiamo bisogno di conoscere – caso per caso – il profilo psicologico di ogni soggetto. Anche a questo livello dobbiamo rassegnarci a non trovare chiavi passepartout: non esiste la tipologia del femminicida standard. In alcuni casi si individueranno casi di psicosi, in altri di nevrosi, in altri ancora di condizioni borderline, ma in non pochi altri ancora di nessuna rilevanza patologica. Lo scientismo – inteso come convinzione pregiudiziale che le scienze possano spiegare tutto – deve imparare dall’autentico spirito scientifico a riconoscere i limiti dell’indagine scientifica: attraverso, e oltre, gli innumerevoli condizionamenti (della propria epoca, della propria etnia, della propria famiglia, della propria costituzione psichica…) restiamo comunque padroni di un barlume almeno di arbitrio. Questo nocciolo, per quanto ridottissimo, di intima libertà è la ragione dei nostri meriti e della nostra colpevolezza: ignorarlo, sia pur per desiderio ‘buonista’ di giustificare tutto e tutti, comporta (che lo si sappia o meno) la riduzione dell’enigma antropologico a mero meccanismo. Ogni femminicidio – come ogni altro crimine – ci spalanca la visione spiazzante di ciò che ciascuno/a di noi è davvero: un groviglio di potenzialità disparate che, come un fuoco d’artificio, può esplodere in direzioni divergenti. Kant ci direbbe che siamo cose fra cose (la nostra dimensione ‘fenomenica’, palese) ma anche agenti creativi nel bene e nel male (la nostra dimensione ‘noumenica’, nascosta). Ed Hegel  aggiungerebbe che la condanna di un reo è un modo per riconoscerne la dignità umana: non si processa un cane perché ha morso un altro cane né meno ancora un albero perché si è abbattuto su un passante. Proprio il riconoscimento dell’umanità del reo dovrebbe suggerire di intrecciare le esigenze della giustizia con i sentimenti di compassione sulla base di ciò che, ontologicamente, ci apparenta a lui. Ma questo è un altro discorso.

Se questo quadro diagnostico è fondato, ne deriva un complesso di percorsi terapeutici dislocati a diversi livelli per ridurre (dal momento che non è realistico azzerarli) i femminicidi. Alla base, un impegnativo lavoro teorico-pratico di conversione culturale ai principi della nonviolenza (a partire dall’invito gandhiano “Sii tu il cambiamento che vorresti nel mondo”). Poi un impegno focalizzato sull’obiettivo di una giustizia di genere che garantisca la pari dignità e le pari opportunità alle persone di ogni sesso biologico, identità psicologica di genere, orientamento affettivo-sessuale e genere (inteso come ruolo sociale). Ancora più nello specifico, una radicale riforma pedagogica che persegua il difficile, ma indispensabile, equilibrio fra accettazione della personalità di ogni minore ed educazione al rispetto delle regole condivise. Infine – ma siamo così alla cura di ogni storia individuale – il monitoraggio continuo di tutti i maschi d’ogni età che, più o meno condizionati nello sviluppo della propria personalità, diano segni d’incapacità di gestire le proprie emozioni e di rapportarsi in maniera responsabile con il femminile con cui incrociano le esistenze.  

Augusto Cavadi

* L'edizione originale illustrata è qui:

https://www.zerozeronews.it/femmicidi-che-fare-riforma-pedagogica-e-capillare-assistenza-psicologica/

 

giovedì 3 aprile 2025

L’eredità di Ortensio da Spinetoli: report di Valerio Gigante del Convegno romano del 26.3.2025

 

Cercare assieme, cercare ancora.                                L’eredità di Ortensio da Spinetoli

Ricordare la figura di Ortensio da Spinetoli a cento anni dalla nascita. Ma perché, qual è il senso e la portata della sua testimonianza umana e intellettuale per la Chiesa e per la società odierna? È una domanda che vale per tante figure che hanno accompagnato la storia della Chiesa e della società del passato recente e remoto. Vale ancora di più per Ortensio, che le circostanze storiche hanno condannato alla marginalità, al punto che sin dagli anni ‘70 Ortensio ha potuto parlare e scrivere solo in una sorta di semi-clandestinità, allontanata dalla Chiesa istituzionale e dalle facoltà teologiche.

Eppure, in modo per alcuni versi sorprendente, le pagine di Ortensio continuano a suscitare interesse e dibattito. Il suo libro postumo – quasi una sorte di testamento spirituale – L’inutile fardello, pubblicato nel 2017 dalla casa editrice laica Chiarelettere fu un piccolo caso letterario, con diverse ristampe e migliaia di copie vendute. Di questa permanenza di Ortensio nella vita e nel dibattito ecclesiale e culturale si è discusso a Roma, presso la basilica dei SS: Apostoli, lo scorso 16 marzo. C’erano oltre 100 persone, venute ad ascoltare e a confrontarsi con Ricardo Peréz Márquez, teologo, del Centro studi biblici “G. Vannucci” di Montefano e Augusto Cavadi, filosofo, della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” di Palermo. Moderati dalla giornalista Luce Tommasi, i relatori e gli interventi dei presenti hanno messo in evidenza la consapevolezza che la forza e radicalità del pensiero di Ortensio sono state più forti della violenza con cui il potere ecclesiastico ha tentato di silenziarlo. E che, anzi, proprio la condizione di marginalità che Ortensio ha dovuto subire per oltre 40 anni, unite alla coerenza di vita e testimonianza gli hanno consentito di instaurare e mantenere un legame solidissimo con le generazioni di laici e credenti vissute nel post Concilio, che si interrogavano su un nuovo modo di leggere e interpretare le Scritture. Augusto Cavadi nel suo intervento ha sostenuto che Ortensio, con i suoi testi e la sua proposta di esegesi biblica, con la sua ecclesiologia e la sua teologia sia stato soprattutto capace di parlare ai non specialisti, a coloro che non frequentavano le biblioteche e le facoltà teologiche; addirittura a coloro che non si interessavano della Chiesa e dei suoi problemi nel rapporto con il mondo contemporaneo. Una circostanza straordinaria, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove drammatico è stato il divorzio tra ricerca teologica e cultura laica, consumatosi sin dal periodo post unitario. Se infatti, ha spiegato Cavadi, in Paesi come la Germania, le facoltà teologiche si trovano all'interno di atenei statali con il risultato di un continuo e fecondo dialogo tra culture e visioni del mondo, in Italia la teologia è sempre stata monopolio esclusivo della Chiesa. Questa circostanza ha provocato enormi danni alla cultura cattolica, ma ha avuto conseguenze disastrose anche per la cultura laica.

L’“ecumenismo dell’ignoranza”

Cavadi, che ha insegnato per 40 anni nei licei, ha raccontato ad esempio di essersi spesso trovato di fronte a insegnanti di letteratura, storia, arte completamente digiuni di conoscenze bibliche e competenze teologiche, che non sapevano nulla di Gesù e della dottrina cattolica; ma che spiegavano la Divina Commedia o i capolavori della pittura o le guerre di religione senza questo indispensabile retroterra culturale. Oggi poi, che, ha chiosato Cavadi, neanche i cattolici leggono e sanno più di teologia, siamo di fronte a una sorta di «ecumenismo dell’ignoranza». In tale contesto, pochissimi intellettuali cattolici hanno avuto la capacità e il coraggio di superare questo divorzio, facendo breccia in un pubblico laico, digiuno di questioni religiose. Capitò al biblista Giuseppe Barbaglio, con il suo fortunato testo su Paolo di Tarso. O a Vittorio Messori con la sua Inchiesta su Gesù. È capitato in anni recenti a Vito Mancuso o a Mauro Pesce. Ma sempre in modo episodico. Ortensio invece ha inciso in maniera profonda su diverse generazioni; non solo con i suoi libri, ma con il suo metodo di indagine. In un periodo, peraltro, in cui la teologia dava risposte a domande che la società secolarizzata non si poneva. In un dialogo tra sordi che la ricerca di Ortensio ha saputo lentamente trasformare.

Tre qualità

Dell’eredità di Ortensio, Cavadi sottolinea in particolare tre qualità: la competenza scientifica, che gli consentiva di argomentare, documentando puntualmente e in maniera circostanziata ciò che sosteneva. In questo modo Ortensio non doveva rifugiarsi, come altri teologi, in un linguaggio astruso, autoreferenziale e specialistico, ma comunicava in maniera chiara e nitida, sempre aperto al confronto con ogni possibile rilievo critico. E sempre consapevole della provvisorietà di ogni affermazione e ipotesi, che poteva e anzi doveva sempre essere soggetta a revisione e approfondimento.

Poi Ortensio aveva la passione per la ricerca; e ogni volta che scriveva o parlava si percepiva il suo desiderio di indagare il testo biblico assieme a coloro che lo ascoltavano e lo leggevano, evitando ogni atteggiamento di superiorità intellettuale.

La terza qualità di Ortensio è che era una persona libera. Libera dalla dipendenza economica nei confronti dell'autorità; e libero dal desiderio di fare carriera. Aveva infatti accettato di essere degradato e impoverito pur di difendere le sue idee; e ha fatto anzi di questa sua condizione il presupposto di una ricerca realmente libera, perché realmente indipendente da ogni condizionamento. 

Ortensio scriveva e affermava contenuti di grande radicalità ma mai in uno spirito distruttivo Se demoliva indicava sempre un aspetto positivo, una prospettiva possibile per uscire dalla crisi che le sue affermazioni avevano aperto. E sempre Ortensio proponeva le sue interpretazioni come ipotesi, sottolineando sempre – come ha ricordato Perez – che le parole migliori sono quelle che devono ancora essere scritte e che fare esegesi biblica e fare teologia equivale a mettersi costantemente in cammino.

Il Vangelo per l’uomo, non per l’istituzione

Mantenendo con perseveranza la fedeltà alla parola, ha ricordato Ricardo Peréz Márquez, profeti come Ortensio sono stati ingiuriati, ma la storia ha dato loro ragione. Anche se la loro esistenza si può chiudere con una sconfitta, il fatto di essere stati vigili e perseveranti rende ancora viva e attuale la loro testimonianza. In particolare Ortensio ha saputo comunicare la ricchezza umana del Vangelo, sempre consapevole delle incomprensioni e del rifiuto di quanti sono pronti a sacrificare il bene delle persone alle ragioni dell’istituzione.

Ortensio era convinto che il Vangelo fosse distinto e distante da ogni dottrina. Uno dei suoi tratti distintivi è stata la passione per la parola, che Ortensio ha sempre saputo coniugare con il rigore e la coerenza della vita. Per lui, ha spiegato Peréz Márquez, la parola non serve a confermare una dottrina, ma a nutrire la fede dei credenti per orientarne le scelte alla realizzazione del regno. Ortensio lo ha fatto introducendo tra i primi il metodo storico critico all'esegesi delle scritture. Demitizzare i testi sacri, riportandoli al contesto storico culturale nel quale sono stati prodotti per renderli significativi per la vita dei credenti. Liberando la teologia dai fardelli inutili imposti dall’ideologia religiosa, che identifica la verità con la dottrina. Ortensio ha insegnato una prassi che si oppone a ogni forma di dogmatismo applicato alla parola. Alcuni dei libri di Ortensio da Spinetoli sono disponibili presso Adista, 06/6868692, abbonamenti@adista.it, www.adista.it).

Un’ultima notazione: alla fine dell’incontro i presenti si sono spostati in Basilica, per assistere alla celebrazione di una messa in ricordo di Ortensio celebrata dal card. Matteo Zuppi. Un segno – ma resta da capire quanto sarà rilevante (una analoga iniziativa del cardinale per Ernesto Bonaiuti non ha avuto sinora alcun seguito) – dell’attenzione che oggi anche l’istituzione ecclesiastica ha voluto mostrare nei confronti di questo grande biblista. 

Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 05/04/2025

Per la versione originale illustrata basta un click qui:https://www.adista.it/articolo/73472



martedì 25 marzo 2025

NINO MICELI RACCONTA LA STORIA DELLA SUA VITTORIOSA RIBELLIONE AL PIZZO MAFIOSO

 

Riporto la mia Prefazione al volume di Nino Miceli, E tu lo sai chi sono io? Storia di una ribellione al pizzo, Di Girolamo, Trapani 2025, che abbiamo presentato ieri a Roma, presso la Sala Extra di “Libera”, con la partecipazione di  Mario Mattifogo (generale dei Carabinieri ris.) e Anna Canepa (Direzione nazionale antimafia antiterrorismo). Non sono mancate le domande da parte di qualcuno del numeroso pubblico presente in sala.

 


       Per aprire questo libro con una chiave adatta

Antonino Miceli è una delle persone che onorano l’Italia e compensano la viltà, la corruzione, la piccineria d’animo di tanti altri concittadini. Nelle pagine che seguono l’autore narra la sua storia di ribellione alle richieste mafiose di pizzo, le sue vicende giudiziarie e personali, la sua attuale condizione di “testimone di giustizia” (cittadino che si oppone  al mondo mafioso e collabora con le autorità giudiziarie per perseguire i criminali) da non confondere con la condizione di “collaboratore di giustizia” (denominazione riservata ai cittadini che, avendo fatto parte di associazioni criminali, se ne sono poi distaccati per motivi talora nobili e più spesso  meno nobili).

Per varie coincidenze, sono venuto a conoscere Nino una ventina di anni fa e ho avuto il privilegio di accompagnarlo in varie sedi (università, scuole, associazioni, sindacati…) dove ha raccontato la sua storia. Indimenticabile la prima volta, nell’Aula Magna della sede storica dell’Università di Palermo, con la partecipazione di un magistrato che avevo avuto tra i miei alunni al liceo e che, proprio all’esordio della carriera, aveva brillantemente sostenuto l’accusa contro i persecutori di Miceli: Antonino Di Matteo.

Intanto Nino Miceli mi ha espresso il desiderio di raccogliere in un testo organico quanto  si trova in pubblicazioni e interviste di difficile reperimento, integrato con vicende e riflessioni – non meno significative -  fino al momento presente.                 

È stato per me un onore prestare una mano a un personaggio pubblico che, intanto, è diventato uno dei miei amici più cari. Il risultato è una narrazione puntellata da disgrazie, muri di gomma e colpi di scena, talmente avvincente da stentare a ritenerla – come in effetti è– veridica sin nei minimi dettagli: sembrerebbe un testo di scrittura collettiva prodotto da Kafka, Pirandello e Camilleri. Se fosse la sceneggiatura di un film rischierebbe di vincere il premio Oscar: ma, come si evince dagli intrecci che l’autore evidenzia con numerosi eventi contemporanei, è tutta la storia d’Italia dal Secondo dopoguerra a oggi ad essere al di sopra di ogni immaginazione letteraria.

Spero che un numero ancora maggiore di lettori potrà trovare in queste pagine non solo memoria di eventi che meritano di non cadere nell’oblio, ma anche e soprattutto  incoraggiamento a lottare senza tregua contro il dominio mafioso che minaccia la democrazia in tutto il Paese e ormai anche in aree geografiche esterne ai confini italiani.



 ***

Qui il link al testo rielaborato e pubblicato anche su :

https://www.zerozeronews.it/un-miracolo-denunciare-la-mafia-e-sopravvivere-ai-boss-e-alla-falsa-antimafia/ 

 Qui la video registrazione (quasi completa) del mio breve intervento introduttivo alla presentazione romana:





martedì 18 marzo 2025

TRE APPUNTAMENTI A ROMA (DA LUN. 24 a MERC. 26/3/2025)

Informo con piacere su tre occasioni d'incontro con le persone amiche che vivono a Roma o che si trovino lì di passaggio.

(Il primo e il terzo incontro sono a ingresso libero. Solo per il secondo incontro, di martedì 25/3, è necessario prenotarsi alla e-mail:   maxsal58@gmail.com   e attendere conferma della disponibilità di posti).








lunedì 17 marzo 2025

IN TOSCANA ( 10 - 12 aprile 2025) PER DOCENTI MA NON SOLO

Percorsi didattici di antimafia sociale

Una proposta formativa multidisciplinare tra processi educativi e impegno sociale

IX Edizione

"Toscana – Sicilia. Reti interculturali in e tra territori diversi"

PRESUPPOSTI CULTURALI

In questo 2025 si è giunti all'ultima tappa del trittico di sessioni formative inaugurato con la VII edizione del Corso svoltosi nel 2021 in Sicilia che prevedeva la sua prosecuzione in una Regione del Sud continentale e in una del Nord.

Tale previsione nasceva dall'esigenza di fare esperienze concrete sulle diverse caratterizzazioni sul Territorio di fenomeni mafiosi e malavitosi in generale, presenti in contesti socio-economici diversi, ma con uguale capacità di devastazione complessiva delle Società interessate. In tal senso, si manifesta l'evidente intento di superare stereotipi e luoghi comuni che raccontano in modo inadeguato fenomeni criminali di tipo mafioso circoscritti in alcune Aree storicamente interessate e lasciando intendere la presenza di altri Territori del tutto avulsi da detti fenomeni criminali.

Come da metodo consolidato avvertiamo il bisogno di attraversare luoghi e situazioni e di ascoltare Esperti e Testimoni per prendere consapevolezza di un fenomeno comune a Territori molto diversi rispetto al quale tutte le Comunità educative – con la presenza determinante dell'Istituzione scolastica – dovrebbero condividere adeguati strumenti d'intervento sul piano didattico ed esperienziale per costruire nei giovani una coscienza l critica che rimane l'inevitabile obiettivo per sviluppare una cittadinanza più matura, consapevole e responsabile.

Pertanto restano fermi anche in questa edizione i presupposti culturali del percorso formativo che prosegue in continuità teorica e pratica con i temi sviluppati nelle precedenti edizioni. Tali presupposti questa volta saranno attraversati e confrontati in un Territorio come la Toscana che – nonostante la sua straordinaria bellezza artistico-ambientale e la sua fulgida Storia - non è stata risparmiata dal cancro delle mafie – non solo in termini di importazione di fenomeni criminali da Territori di antica tradizione mafiosa, ma anche di creazione di sistemi criminali prettamente locali, almeno in termini di complicità e di connivenze.

Ma è sicuramente motivo di speranza il fatto che – come si è potuto constatare in Campania – un difficile, ma importante percorso di un consolidato movimento di opposizione culturale alla camorra locale - con tutte le relazioni e le cointeressenza con altre mafie - del pari è presente in Toscana un analogo movimento che - sia pure con specificità diverse – ha sviluppato nel tempo – oltre ad una rete di relazioni con movimenti di contrasto e resistenza presenti in Regioni del Sud di antica presenza mafiosa – la consapevolezza – individuale e collettiva – di concreti e diffusi insediamenti di crimine organizzato che nella Loro Regione hanno fatto sistema con realtà politico-istituzionali ed economiche. Di questo movimento - molto attivo e creativo - sarà prezioso partner per tutte le nostre attività in terra toscana – in particolare nei Territori di Siena, Firenze e Prato – la Fondazione Antonino Caponnetto

METODOLOGIA, MODALITÀ E DATE DI SVOLGIMENTO

Il Corso conferma la modalità interattiva basata sui principi della co-formazione con la valorizzazione degli aspetti comunicativi e della relazione personale diretta, oltre che con l'ascolto e il confronto con qualificati Docenti/Esperti, con Soggetti attivi nell'Associazionismo, nel volontariato sociale e in altri Enti e Gruppi informali attivi nel Territorio. L'attuazione di tali principi formativi sarà favorita dalla convivialità nella forma residenziale che prevede il Corso anche in questa edizione, preceduta da una sessione online di 4 incontri in VDC nei giorni 31 marzo, 3/7/8 aprile 2025 dalle ore 16,30 alle ore 18,30 - su argomenti propedeutici e/o di contestualizzazione rispetto ai temi dibattuti in presenza nella successiva sessione residenziale che si terrà presso Suvignano (SI), Firenze e Prato nei giorni 10-11- 12 aprile 2025.

Si precisa infine che la presenza necessaria per ottenere il rilascio dell'Attestato di partecipazione dovrà essere assicurata in entrambi le sessioni – online e in presenza – secondo le disposizioni contenute nel Regolamento.

ORGANIZZAZIONE

Questo Corso si svolgerà in Toscana  e vedrà la partecipazione di un massimo di 30 Docenti in servizio presso le scuole di ogni ordine e grado e di 5 Uditori.

L’organizzazione e la logistica del Corso saranno curate da Solidaria Onlus, mentre la direzione scientifica è affidata all’Università “Kore” di Enna. Ci si avvale, inoltre, della collaborazione – nei Luoghi di svolgimento delle attività – del contributo di un tessuto associativo e istituzionale attivo in Toscana.

SESSIONE ONLINE

Programma attività

Giorno   Orario              Descrizione attività

31 marzo 16,30 – 18,30 * Apertura lavori del Direttore del Corso Prof. Giuseppe Burgio

*  Andrea Meccia – L'uso degli strumenti audiovisivi nella didattica: una proposta metodologica

3 aprile 16,30 – 18,30 * Christian Raimo – Libertà di insegnamento e di espressione: un indicatore fondamentale per misurare la qualità della democrazia in un Paese

7 aprile 16,30 – 18,30 Marcello Ravveduto – Studenti digitali: fascinazione digitale al tempo dei social

8 aprile 16,30 – 18,30 Irene Biemmi – Segregazione formativa e orientamento scolastico. Una prospettiva di genere

 

SESSIONE RESIDENZIALE

presso Tenuta agricola di Suvignano Monteroni d'Arbia (SI) con attività in Firenze e Prato

Programma attività

Giovedì, 10 aprile 2025

Orario Descrizione attività

Entro le ore 10,30 Arrivo dei partecipanti a Siena - stazione ferroviaria centrale o terminal bus e Transfer fino alla Tenuta di Suvignano (SI) a cura  dell'organizzazione. -

11,00 - 13,30 - Inizio delle attività e presentazione del gruppo

- Presentazione dei Lavori e illustrazione delle attività

13,30 Pranzo sociale

16,00 - 19,00 - "La Toscana non è Terra di Mafia ma la Mafia c’è e c’era!"

Maurizio Pascucci Responsabile Nazionale Beni Confiscati alla Mafia Fondazione Antonino Caponnetto

- "L’impegno dei Comuni per prevenire l’infiltrazione mafiosa"

Gabriele Berni, Sindaco e coordinatore ANCI legalità

- "Percorsi di cittadinanza attiva nelle scuole"

Domenico Bilotta, Responsabile Scuola della Fondazione A. Caponnetto /Vice Presidente dell’Associazione Nonno Nino

20,00 Cena sociale

Venerdì, 11 aprile 2025

Orario Descrizione attività

08,30 Trasferimento in Pullman a Firenze -

09,00 - 13,00 - Visita in Via dei Georgofili e di beni confiscati nel centro storico di Firenze

(Piazza Signoria-Piazza Pitti-Porta a Prato-Piazza d’Azeglio)

- incontro con Assessore del Comune di Firenze, con Salvatore Calleri, Presidente Fondazione Antonino Caponnetto e con familiari e testimoni

13,00 Pranzo sociale alla Casa del Popolo ARCI Galluzzo (dove si fa attività di Doposcuola e attività varie di prevenzione babygang) -

16,00 - 19,00 - Incontro con sindacalisti di strada Sudd Cobas su Mafia cinese - Produzione di contraffazione con il coinvolgimento del lavoro minorile

- Visita della zona commerciale e artigiana dell’Osmannoro (Area tra Firenze e Prato)

- Visita alla Comunità di base delle Piagge - incontri ed esperienze di comunità alternative per l'integrazione e il superamento di varie forme di disagio sociale

20,00 Cena sociale -

Sabato, 12 aprile 2025

09,00 - 13,00 - Valdo Spini - La politica può parlare ancora ai giovani?

- Fernando Prodomo - Problemi inerenti alla devianza minorile

13,00 Pranzo e chiusura corso.


PER OGNI ULTERIORE INFORMAZIONE: www.solidariaweb.org


lunedì 10 marzo 2025

DUE QUESTIONI SOLLEVATE DALLA PROPOSTA DI M. SERRA DI MANIFESTARE A ROMA iL 15 MARZO


In questi giorni la proposta di Michele Serra di convocare una grande manifestazione di piazza a Roma, per urlare la necessità che l’Europa abbia un sussulto di dignità e si ponga come soggetto autonomo rispetto alle grandi potenze mondiali, sta dividendo l’Italia trasversalmente all’interno degli schieramenti partitici, delle organizzazioni sindacali, dei movimenti pacifisti.

Se non vedo male, sono in gioco due questioni distinte che vanno affrontate separatamente.

La prima nasce da una (suppongo intenzionale, data l’abilità comunicativa di Serra) ambiguità del suo appello: scendere in piazza per questa Europa (dalla fondazione dell’Unione Europea a oggi) o per un’Europa radicalmente rifondata secondo i suoi primi ideatori a Ventotene (dunque sui princìpi dell’Ottantanove – libertà, uguaglianza, fraternità - , sulla partecipazione democratica, sul perseguimento della giustizia sociale, sul ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti etc. etc.) ? La moltiplicazione delle esegesi del testo mi pare inutile: nessuno può stabilire a quale delle due Europe si riferisca Serra perché egli per primo si è voluto rivolgere indistintamente ai sostenitori di entrambe. Infatti, se avesse voluto dirimere l’equivoco, avrebbe potuto spendere una parola o di approvazione esplicita o di critica esplicita alla strategia adottata dalla Commissione europea in questi anni di guerra in Ucraina, di stragi a Gaza, di conflitti armati nel mondo. Ha preferito parlare a tutti in modo da convincere la maggior parte: e in effetti stanno aderendo realtà di ogni colore ideologico e di ogni schieramento politico.

Una seconda questione, ben distinta dalla prima, riguarda le ragioni degli uni (pro questa Europa) e degli altri (pro un’Europa altra) cittadini: ed è la questione decisiva che resterà aperta anche dopo il 15 marzo, data in cui la manifestazione romana (quali che siano le idee diversificate o addirittura opposte dei partecipanti) non modificherà (a mio avviso) di tanto né la politica del nostro Governo né ancor meno della Commissione europea.

Da una parte c’è la grande maggioranza dei partiti, della stampa, degli intellettuali: Putin è il nuovo Hitler; va fermato in Ucraina se non gli si vuole permettere di arrivare in Portogallo a Occidente e ai confini della Cina in Oriente; questo fine nobile, anzi sacro, giustifica ogni mezzo (perfino la deterrenza nucleare) e legittima ogni costo (fossero pure altre centinaia di migliaia di morti in aggiunta ai caduti degli eserciti russo e ucraino). E’ ingeneroso definire guerrafondai i sostenitori di questa tesi: non vogliono certo la guerra per la guerra ma, come ha ribadito in un intervento del 7 marzo 2025 Paolo Flores D’Arcais, si tratta di riscoprire la saggezza antica del “Se vuoi la pace, prepara la guerra”.

Dall’altra parte c’è una piccola minoranza di politici, di opinion leader, di studiosi che ritengono mistificante la narrazione della maggioranza per almeno due motivi principali: Putin si è comportato come Hitler con la Polonia (dunque in maniera criminale), ma  - a differenza di Hitler - dopo essere stato per anni provocato dalla progressiva estensione della NATO che ha circondato la Russia di Paesi ostili. Inoltre, ammesso e non concesso che Putin sia il nuovo Hitler e voglia invertire la storia degli ultimi tre secoli (in cui sono stati Paesi europei a tentare di invadere la Russia, mai il contrario), innescare un’escalation bellica (sino a non escludere il ricorso a ordigni atomici) è il modo peggiore (perché autolesionistico, suicida) di bloccarlo. Prima dell’occhio per occhio, dente per dente (che, secondo l’osservazione di Gandhi, rende il mondo cieco), ci sono mille strategie diplomatiche, economiche, tecnologiche per opporsi a Putin.

Una minoranza della minoranza pensa che se gli Stati istituissero, in parallelo se non ancora in sostituzione delle Forze armate, delle Forze di difesa popolare nonviolenta, le strategie di difesa nei confronti di possibili invasori sarebbero molto più numerose: scioperi, non-collaborazione, boicottaggi…(il mio amico Andrea Cozzo ne illustra diverse nel suo recente libretto La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da  sapere prima di condividerla o rifiutarla). La storia, dai Greci alla Danimarca contro Hitler, è zeppa di episodi di opposizione dura, efficace, vincente, ma senza armi, a eserciti invasori: ma i manuali scolastici o li ignorano o (come nel caso di Gandhi contro la Gran Bretagna) li liquidano con poche righe.

Chi, come me, è arrivato – dopo un lungo e tortuoso percorso di ricerca – alle posizioni di questa minoranza (di nonviolenti) della minoranza (pacifista), dev’essere disposto ad accettare l’epiteto di “utopista”. Infatti non si tratta di frequentare i ‘luoghi’ (topoi) abituali, ma di lavorare affinché l’umanità compia un salto evolutivo verso un ‘luogo’ (topos) ancora inesistente in cui uccidere – sia pure per motivi che si ritengono sacri – sia considerato un tabù (come l’umanità odierna ritiene impensabile il cannibalismo o l’incesto). Come ho letto da qualche parte, le persone di buon senso si comportano come ci si è comportato per lo più sino alla loro epoca; ma, se ogni tanto non ci fossero degli spostati (come Socrate, Buddha, Gesù, Francesco d’Assisi, Giordano Bruno, Martin Luther King…), la storia non segnerebbe nessun passo in avanti.

Augusto Cavadi

* Per la versione originaria corredata da foto cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/pacifismo-e-non-violenza-secondo-augusto-cavadi/

domenica 9 marzo 2025

IL SESSANTOTTO RACCONTATO A GIOVANI DI OGGI

Gli inviti, da parte di classi di studenti a incontrare qualche reduce del Sessantotto, si fanno più frequenti via via che restiamo sempre in meno a sopravvivere,. Quando tocca a me, mi riesce difficile proporre una narrazione sintetica e soprattutto imparziale. In questi giorni ho provato a partire dall’equazione Sessantotto = contestazione globale: globale in senso geografico (ha toccato quasi tutto il pianeta) e in senso intensivo (ha riguardato quasi tutti gli aspetti della vita personale e collettiva).

Ma chi sono stati i soggetti principali di questo movimento contestatario che si proponeva, attraverso lotte settoriali, di cambiare l’intero “sistema”?

Innanzitutto gli studenti che hanno contestato contenuti e metodi pedagogici delle agenzie educative più diffuse (scuole/università e chiese); la morale sessuale dominante (ossessionata dal rischio delle gravidanze indesiderate) e le politiche militariste (la cui espressione parossistica era costituita dalla guerra del Vietnam).

In contemporanea con le rivolte studentesche – e non di rado ad esse intrecciato – si è registrato il movimento di liberazione delle donne:  il femminismo, da teoria e pratica di piccoli gruppi pionieristici, è diventato un fenomeno sociale molto più ampio e ramificato.

Anche gli operai si sono mobilitati per il miglioramento decisivo delle condizioni di lavoro e, più radicalmente, per introdurre nella fabbrica spazi e tempi di partecipazione democratica.

A più di mezzo secolo da quegli anni il bilancio è ambiguo.

Certamente è stato ottenuto il riconoscimento legislativo di molti diritti civili anche in Paesi dove sembravano impossibili (vada per tutti il caso del divorzio in Italia), ma non si può negare che le istanze progressiste hanno esasperato l’individualismo tipico della concezione antropologica borghese: il “noi” ha ceduto quasi completamente il posto all’ “io” nell’accezione più riduttiva ed egocentrica.

Certamente sono stati ottenuti per i lavoratori e i cittadini meno abbienti notevoli progressi salariali e, più in generale, legislativi. Ma proprio queste conquiste in direzione dello Stato assistenziale prefigurato nella Costituzione repubblicana hanno scatenato nelle minoranze imprenditoriali, militari e politiche di stampo reazionario una vera e propria strategia terroristica (sia attraverso Servizi segreti statali sia manovrando, in forme non ancora del tutto chiarite, gruppi estremisti di destra e di sinistra nonché associazioni criminali mafiose). Perciò, se la mobilitazione partitica e sindacale ha prodotto risultati tangibili e motivanti, la degenerazione terroristica ha smorzato gli entusiasmi dei cittadini inducendoli a ripiegare, per paura e/o delusione, nel disimpegno politico dalla fine degli anni Ottanta a oggi.

Sul piano internazionale il vento del Sessantotto ha soffiato anche all’interno dei grandi Partiti Comunisti Occidentali ed è penetrato al di là della “cortina di ferro”, contribuendo non poco al progressivo indebolimento, ideologico e istituzionale,  dell’Unione Sovietica: di uno dei due antagonisti della Guerra “fredda” che aveva mantenuto il mondo sotto la spada di Damocle di un conflitto nucleare definitivamente devastante. Ma con l’implosione dell’URSS il bi-polarismo planetario ha lasciato campo libero ad uno solo dei due imperialismi in conflitto: gli Stati Uniti d’America e i Paesi occidentali alleati (NATO). Una supremazia che sembra indiscussa dal punto di vista culturale (l’anglo-americano come lingua universale e il capitalismo come teoria economica unica, adottata da regimi politici di segno diverso), ma che  lo è sempre meno dal punto di vista politico-militare dal momento che Cina, Russia, India, Brasile e altri Paesi emergenti non intendono rinunziare ad arginare lo strapotere statunitense sulla scena internazionale.

Il quadro è (per fortuna) in continuo cambiamento e molto di ciò che è mutato dal 1968 al 2025 – soprattutto con l’avvento del Web e dei suoi padroni sovranazionali - muterà certamente nei prossimi anni, anzi nei prossimi mesi. Come dal Sessantotto (e,  in parte,  grazie ad esso) in poi, saranno cambiamenti in meglio e in peggio: la storia sembra preferire lo zig-zag alla linea dritta. Individui e gruppi possono condizionarne il corso? Mezzo secolo fa sembrava che si fosse un po’ tutti convinti di sì. Oggi siamo in pochi a perseverare in quella generosa, ma ingenua, convinzione di poter “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si è trovato” (Robert Baden Powell). Cerchiamo nuove motivazioni ideali, nuovi miti propulsivi; ma nessuna improbabile rinascita di passioni sopite avrà effetti storici incisivi se non sostenuta dalla fatica condivisa dell’indagine razionale, della riflessione critica, della progettazione meditata. Cuore e ragione, si potrebbe sintetizzare con uno slogan. Ma già Hegel aveva coniato il modello antropologico affascinante del “cuore pensante”.

Augusto Cavadi

* Per la versione originaria, corredata da foto, cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/dall-8-marzo-alla-coscienza-civile-quel-che-resta-dei-sogni-del-68/


domenica 2 marzo 2025

PREGARE PER LA SALUTE DI PAPA FRANCESCO?

 PREGARE PER LA SALUTE DI PAPA FRANCESCO ?

Anche se ho in mente le troppe decisioni che papa Francesco non ha preso – non ha voluto o non ha potuto prendere – per la sua Chiesa, mi è umanamente simpatico. Sono dunque sinceramente dispiaciuto per le sue traversie sanitarie e spero che si rimetta in forma il più presto possibile. Non può dunque che colpirmi favorevolmente la notizia che piccole folle di fedeli si radunino ora sotto l’ospedale ora in piazza san Pietro ora in altri luoghi del pianeta per pregare per lui.

Dal punto di vista sentimentale trovo incoraggiante constatare che esistono ancora dei personaggi pubblici che attraggono stima, solidarietà, affetto dalle donne e dagli uomini di strada. Ma poiché non siamo solo una fucina di sentimenti, mi viene spontaneo chiedere che messaggio questi cattolici stiano trasmettendo al mondo (oggettivamente, senza neppure averne consapevolezza).

Le loro preghiere per la guarigione del papa implicano una serie di convinzioni che non è facile giustificare teologicamente.

La prima è che da Dio dipendano direttamente tutti i fenomeni naturali dell’universo: ma davvero, come mi si ripeteva da bambino, non cade foglia che Dio non voglia? O Egli/Ella/Esso/X va pensato come il Fondamento della totalità che (per riprendere le suggestioni di Teilhard de Chardin  e di don Carlo Molari) non “fa” ma “fa fare” a ciascun essere secondo le sue peculiarità? Non va pensato, forse,  come la Causa “prima” che rende possibile l’operatività autonoma delle cause “seconde”?

Se non adottiamo questa concezione di Dio più evoluta e restiamo alla visione medievale della “onnipotenza” divina, dovremmo ammettere che Egli/Ella/Esso/X possa guarire “miracolosamente” Bergoglio, ma non lo fa spontaneamente. Per attivarsi aspetta che un congruo numero di esseri umani glielo chieda. A quanto ammonterebbe il numero minimo legale? Cento, mille, centomila, un milione di oranti?

Ammesso – e non concesso – che Dio possa e voglia intervenire specificamente in un caso come questo (e lo facesse davvero per venire incontro alla pressione dell’opinione pubblica religiosamente accreditata), che cosa penserebbero i genitori che pregano invano per la guarigione dei loro piccoli o i piccoli che pregano invano per i loro genitori? Come si potrebbe giudicare un Dio che risparmia la morte a un vecchio ottantottenne ma rimane inerte davanti all’agonia di milioni di persone di ogni età (senza contare le inenarrabili sofferenze di animali di ogni altra specie vivente)?

Sono – o almeno tendo ad essere – un soggetto ragionevole, ma non sono un razionalista. Forse ognuno di noi è connesso con tutta l’umanità, anzi con tutto il cosmo, non solo a livello fisico, ma anche mentale e psicologico. Forse l’entanglement di cui parlano i fisici quantistici non vale solo a livello di microfisica. Dunque pregare Dio per un nostro simile può essere un modo – per così dire indiretto – di trasmettergli  energie positive, sanatrici, liberatrici. In questa ipotesi  (che per me è una speranza)  anche la preghiera collettiva per un pontefice malato può avere un senso. Purché si sappia e si dica chiaramente che la visione antropomorfica di Dio, come Arbitro indiscutibile che dà e toglie la vita secondo criteri a noi ignoti, è ormai alle spalle della teologia più evoluta.

Augusto Cavadi

* Versione originaria con apparato iconografico 8e un commento del direttore del sito) qui:

https://www.zerozeronews.it/pregare-per-la-salute-di-papa-francesco/


giovedì 27 febbraio 2025

POESIA COME VOCE DELL'IMPEGNO CIVILE: "APPUNTI DI VERSI" DI UMBERTO SANTINO


Umberto Santino ha scandito – e in qualche misura, forse, supportato – la sua instancabile attività scientifica e sociale con una riflessione più interiore. Dopo vari altri frutti di questa spiritualità laica - i suoi scritti di carattere letterario, sia narrativi che lirici – viene alla luce in questi giorni una raccolta di poesie composte dal 1964 a oggi: Appunti per un libro di versi (Di Girolamo, Trapani 2025, pp. 426, euro 20,00).

Come è facile ipotizzare, queste pagine riflettono varie stagioni della sua esistenza e varie sfaccettature della sua personalità.

Alcune rivelano l’impegno del co-fondatore (con la moglie Anna Puglisi) del “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato”: “Questo non è mio figlio./ Queste non sono le sue mani/ questo non è il suo volto./ Questi brandelli di carne/ non li ho fatti io./ Mio figlio era la voce/ che gridava nella piazza/ era il rasoio affilato/delle sue parole/era la rabbia/era l’amore/che voleva nascere/che voleva crescere./ Questo era mio figlio/quand’era vivo,/quando lottava con tutti:/mafiosi, fascisti,/uomini di panza/ che non valgono neppure un soldo/ padri senza figli/ lupi senza pietà” .

In altre pagine l’eco di tante campagne anti-militariste: “I mercanti vendono armi/e le armi sono fatte per combattere./ I più furbi erano loro/ e vincere o perdere/non aveva senso per chi cadeva/guardando per l’ultima volta/il cielo che avremmo potuto goderci/ stando seduti nelle caffetterie”.

Versi del natale 2000 non hanno perduto – purtroppo – neppure un grammo di tragica attualità: “Neppure questa notte/ci sarà tregua/ tra i ragazzi dell’Intifada/ e i soldati del popolo eletto./Qui si attende ancora/la nascita di un messia/ e si scambiano le parti/ Davide e Golia”. Come non l’hanno perduto altri “appunti” della prima decina del secolo in corso dedicati al Mediterraneo: “Non arrivano più guerrieri/spinti dalla voglia/ di conquistare il mondo/ o corsari allenati/agli stupri e ai saccheggi/ e le acque non assistono più/ alle battaglie tra romani e cartaginesi/bevendo il loro sangue./Ora sul mare si avventurano/i figli della disperazione/e li spinge la ricerca/di improbabili terre promesse./E le onde cullano i corpi/dei morti alla speranza”.

Ancora più tremenda della crudeltà fra esseri umani all’autore appare la ferocia degli umani verso gli altri animali: “Lezione di morte/ per chi rimane a vivere/io canto la tua bocca spalancata/canto il tuo sangue sparso/la tua nudità innocente/nel sudario della sera/toro senza nome/ucciso da uomini senza pietà/ nero cristo di Spagna”.

A tanti orrori Santino non può reagire più né con la fede cristiana della giovinezza né con la speranza marxista della prima maturità: come agli apostoli di Cristo e ai profeti della rivoluzione comunista, anche a noi resta solo da tornare “alle nostre case/per continuare a sognare/ un sogno che non si avvera…”.  A giudizio dell’autore l’estrema dignità è reggere, con coraggio esistenziale, la lezione che la natura impartisce ancor più della storia: “lunga o breve/ la strada è senza meta,/ e non ha senso/ né l’andata/né il ritorno”.

Se la consapevolezza delle brutture della storia conferisce alla raccolta una tonalità predominantemente malinconica, non mancano pagine in cui la bellezza della natura e soprattutto dell’arte (fruita nei numerosi viaggi in giro per l’Europa e l’Africa settentrionale) sembra aprire qualche spiraglio luminoso. Come ad esempio grazie alla contemplazione estetica di un quadro del caravaggesco Stomer ospitato nel museo di Messina: “Ci scaldiamo a questa fiamma/ che brucia la luce/e dirada l’ombra/che ci giunge/ dal buio del mondo”. Addirittura non mancano, qua e là, tracce della vena umoristica dell’autore, come quando – inspirato dall’autore di Alice nel paese delle meraviglie – si diverte a comporre un limerick: “Due turisti affamati/andarono a Limerick per essere sfamati,/ ma trovarono solo un’acciuga/che si asciugava nel bagnasciuga./Poveri turisti che rimasero affamati”.

Augusto Cavadi

* Sabato 1 marzo 2025 alle ore 18.30 il volume sarà presentato a Palermo, da Mario Valentini,  presso la "Casa dell'equità e della bellezza" (via N. Garzilli 43/a).

Per la versione originale di questa recensione, con corredo iconografico, cliccare qui: https://www.zerozeronews.it/poesia-come-voce-dellimpegno-civile/



 

domenica 23 febbraio 2025

IL PRIMO VOLUME DEI RACCONTI FANTA-STORICI DI MASSIMO PATERNI

 Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo la Prefazione di Augusto Cavadi al volume di Massimo Paterni, Come se Dio ci fosse. “La grande Città su te crollerà e l’Imperatore per sé ti vorrà…”, Diogene Multimedia, Bologna 2025, vol. 1 di 3.

                                                                            ***

Sin da ragazzo ho sognato di scrivere un romanzo, convinto che la narrativa veicoli le  idee filosofiche in maniera più efficace della saggistica. Poiché ho abbondantemente superato la soglia dei sette decenni, mi sono rassegnato all’inattuabilità del mio sogno. Unico conforto: constatare che altri riescano dove a me non è stato concesso. Ecco perché, quando mi sono passate per le mani le pagine di questo volume, ho avvertito un senso di gioioso sollievo: il mio amico Massimo Paterni aveva preparato per noi lettori un banchetto intellettuale, estetico e direi anche spirituale davvero prezioso. (Uso ‘spirituale’ nell’accezione più laica dell’aggettivo: talmente ‘laica’ - priva di pregiudizi – da potersi permettere la trattazione anche di tematiche teologiche).

Almeno a prima vista non si tratta di un romanzo comunemente inteso, ma di una serie di racconti. Solo che, quando si entra nelle storie, ci si accorge che, in realtà, narrano tutte la medesima vicenda che ritorna quasi ossessivamente: c’è sempre qualcuno alla ricerca del senso del sacro nella vita, ma Dio continua a tacere.

Da uno sguardo all’indice di questo primo volume si intravede il filo conduttore delle vicende del monoteismo mediterraneo che lentamente, gradualmente, ma inesorabilmente, scalza e schiaccia i paganesimi precedenti: una traiettoria apparentemente trionfale di cui noi abitanti del XXI secolo possiamo misurare – nella stagione della secolarizzazione occidentale in tensione dialettica con fondamentalismi sempre più feroci -  l’intrinseca ambiguità e, in ultima analisi, il fallimento. Siamo o no entrati nell’era del post-teismo? L’autore non dà una risposta. Forse, da osservatore oggettivo, lo teme, ma, da credente di inspirazione protestante, spera contro ogni speranza.

Intanto regala al lettore un godimento insolito: adotta, ogni volta, uno stile letterario consonante con i contenuti (teorici e più spesso storici) veicolati.  Così il Prologo, di stampo nichilista è redatto come fosse un apocrifo di Borges. Nascita evoca gli elementi comuni a tutte le rinascite del Sole nel solstizio di inverno (da Horus, a Mitra, a Cristo) e, dunque, si snoda su un registro comunicativo arcaico. Segue una serie di tre racconti chiamata Espansione in cui si inanellano vicende cruciali dal declino dell’Impero Romano d’Occidente all’ascesa dell’Impero Bizantino sino all’esplosione dell’Impero islamico e alla rifondazione in Europa del Sacro Romano Impero. Queste tre storie si possono leggere come una sola in tre tempi, ma, poiché fra la prima e l’ultima passano più di otto secoli, Paterni modula la lingua in maniere differenti: asciutta nel primo episodio con protagonista un soldato romano; morbida e orientaleggiante nel secondo che sembra tratto da  Mille e una notte; shakespeariana nel terzo e ultimo incentrato sulle stragi e ingiustizie consumate da Carlo Magno per riunire quasi tutto l’Impero d’Occidente sotto l’egida di ciò che egli ritiene essere la fede cristiana.

Alla fine, come accade nelle opere riuscite, si ha la benefica sensazione che l’immersione nel passato (per quanto gradevole) non sia stata una fuga dal presente, piuttosto una presa di distanza provvisoria per ritornarvi con più lucida consapevolezza: Homo sapiens non è stato mai privo d’insipienza, ma nei recessi più oscuri dell’anima dei singoli e dei popoli non si è spenta l’utopia di una convivenza meno crudele e addirittura fraterna.

 Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

* Per la versione originaria illustrata cliccare qui: 

https://www.zerozeronews.it/la-storia-romanzata-per-divulgare-la-filosofia/

martedì 18 febbraio 2025

SEX WORKER, GPA, IDENTITA' DI GENERE: UN CONTRIBUTO AL DIBATTITO INTERNO AL FEMMINISMO

 

Su alcune questioni etiche (in particolare il lavoro sessuale, la gravidanza per altri, l’identità di genere) il mondo femminista contemporaneo è attraversato da una spaccatura per molti versi imprevedibile. Da una parte (il movimento LGBT+, Non Una Di Meno, esponenti del transfemminismo)  chi sostiene posizioni più possibiliste, quando non apertamente favorevoli al capovolgimento dell’etica sinora maggioritaria; dall’altra (molte esponenti del femminismo storico) chi è molto critico verso le ‘nuove’ tendenze permissive e ne denuncia i risvolti decisamente negativi. Questa contrapposizione trasversale non sarebbe particolarmente interessante se non venisse a dividere personalità, gruppi, movimenti ritenuti tradizionalmente ‘progressisti’, di ‘sinistra’. Infatti una cerchia di femministe storiche ha pubblicato il volume Vietato a sinistra. Dieci interventi femministi su temi scomodi (Castelvecchi, Roma 2024) per denunziare ciò che ritiene una scorretta strategia dialettica: a parere delle co-autrici, chi è in disaccordo con le loro tesi, invece di entrare nel merito delle questioni, preferisce sfruttare polemicamente la convergenza oggettiva di tali posizioni con convinzioni espresse nel dibattito pubblico da ambienti consistenti della Destra politica e religiosa. Come si esprime Daniela Dioguardi (che è anche la curatrice del volume), “chi osa manifestare un pensiero divergente, esprimere una critica, un dissenso viene bollato come di destra, reazionario, bigotto, conservatore, perfino fascista e si tenta in vari modi di metterlo a tacere” (p. 40).

Quali sono, in estrema sintesi, le ragioni per cui a Sinistra non dovrebbe essere ovvio abbracciare con entusiasmo le teorie oggi di moda? Perché la prostituzione non è un un sexual work ma uno sfruttamento maschilista del corpo della donna; l’affitto dell’utero per nove mesi non è un gesto di solidarietà tra donne ma l’ennesima strumentalizzazione di chi ha soldi a danno di chi è fortemente deprivato; la possibilità di scegliere la propria identità di genere non è espressione di autodeterminazione ma miope cancellazione dei dati biologici e della differenza irriducibile fra maschile e femminile. Alla radice di queste trasformazioni – apparentemente rivoluzionarie in senso progressista – si troverebbe, invece, l’idea di  “una libertà individuale incondizionata” (p. 39) che scambia per “diritti” i propri “desideri” e riduce “il corpo” a “un oggetto in nostro possesso di cui possiamo fare ciò che vogliamo” (p.40). Lo scardinamento dell’etica occidentale non avviene, dunque, in nome della scienza, dell’evoluzione culturale, della civiltà, bensì della “nuova frontiera del neoliberismo” (ivi).

A un complesso di tesi così stimolanti mi sono sorte delle considerazioni che, forse, meriterebbero a loro volta di essere esaminate.

Non ho difficoltà ad ammettere che molte rivendicazioni settoriali delle nuove generazioni si basino – come scrive Francesca Izzo nella Introduzione – sul “paradigma individualistico, diventato dominante nell’economia come nella politica o nell’etica” (p. 10), che appartiene alla tradizione liberal-borghese-capitalistica più che a culture alternative che (non di rado con unilateralismo altrettanto “fuorviante”) hanno sottolineato la dimensione comunitaria, sociale, collettiva. Ma su quale di queste due prospettive ideologiche i femminismi storici hanno fondato le loro (legittime) rivendicazioni? A me pare – per limitarmi all’esempio più eclatante – che slogan come “l’utero è mio e lo gestisco io” siano espressione di un’antropologia individualistica, sbilanciata sul versante dell’autonomia e dei diritti piuttosto che della corresponsabilità e dei doveri. Se così fosse bisognerebbe riconoscere che il transfemminismo, più che tradire i presupposti teorici del femminismo storico, ne sta traendo le conseguenze logiche estreme.

Se capisco bene, anche la Izzo riconosce la necessità di rifondare su presupposti diversi normative come “la legge 194”, in cui “la libertà di scelta” non viene più “declinata” “in termini di diritto” ma chiamata “autodeterminazione” (p. 9). Ma – chiederei – cosa legittima questa possibilità di autodeterminarsi da parte della donna gravida, se ci lasciamo alle spalle l’ottica atomistica, monadica, del liberalismo illuministico? Sul criterio del male minore.  Sino a quando la cultura sessuofobica dominante ostacolerà la diffusione capillare delle informazioni sulle tecniche contraccettive, donne di ogni età e condizione sociale continueranno a rimanere involontariamente incinte: a quel punto la soluzione meno ingiusta è che la decisione ultima (se non esclusiva) sull’interruzione della gravidanza spetti non al partner o alla famiglia d’origine, ma a chi dovrà pagare il prezzo più alto in termini di sofferenza psico-fisica. Che lo Stato assicuri assistenza sanitaria alla donna che ritiene inevitabile affrontare il trauma dell’aborto procurato può essere giustificato nell’ottica della riduzione del danno: qualsiasi altra soluzione (dal ricorso a interventi selvaggi in condizioni igieniche proibitive al privilegio delle donne più danarose di ricorrere a cliniche straniere specializzate) risulterebbe eticamente peggiore.

Però – passo a una seconda considerazione – se, scartata la logica dell’individualismo proprietario, la legislazione può regolamentare pratiche in sé immeritevoli di tutela ma realisticamente impossibile da impedire, solo allo scopo di limitarne al massimo gli inconvenienti, perché escludere che nell’elenco di queste pratiche rientrino la prostituzione sessuale o la gravidanza per altri? A mio avviso una donna che, senza nessuna costrizione fisica, accetti d’essere ingravidata in conseguenza di un rapporto sessuale completo con un maschio irresponsabile (dunque sto escludendo aborti terapeutici, eugenetici o di feti conseguenti a stupri) non ha “diritto” di essere soccorsa dallo Stato a rimediare alla propria imprudenza più che un motociclista che, privo di casco,  voli dalla sua moto durante una corsa a 170 km orari in autostrada: ma, nell’uno come nell’altro caso, qualsiasi altra soluzione apparirebbe disumana. Similmente si può affermare che una donna che decida – anche se per ragioni economiche oggettive – di prestare servizi sessuali a pagamento o addirittura il proprio stesso apparato riproduttivo non stia esercitando un “diritto”; e tuttavia uno Stato, al fine di  evitare danni più pesanti, può intervenire legislativamente per regolamentare delle prassi che (in assoluto o comunque in relazione alla coscienza etica media di una certa società) non sarebbero accettabili.  Chiunque di noi, se avesse a cuore il destino di una donna che ritenesse lecito (o illecito ma, nella data situazione concreta, inevitabile) esercitare la prostituzione o prestare il proprio utero per la formazione di un bimbo non suo, se non riuscisse a modificare la decisione della figlia o della sorella o della compagna, preferirebbe che essa fosse almeno protetta normativamente dai rischi più gravi della sua scelta.

Dioguardi, giustamente, condanna le posizioni drastiche e “su una maniera così complessa” ritine che si debba “aprire un dibattito che faciliti la diffusione di corrette e complete informazioni e il confronto tra opinioni diverse” (p. 44). Poiché all’interno di questo volume le voci sono tutte convergenti, ci si deve augurare che – nelle varie sedi in cui sarà presentato e discusso – si possano ascoltare punti di vista differenti o addirittura opposti.


Augusto Cavadi 

“Adista/ Segni nuovi”, 7, 22.2.2025