Il viaggiatore che incontra per la prima volta i siciliani può essere incuriosito da una differenza di eloquio fra le generazioni. I più giovani – perfettamente allineati allo stile degli spot pubblicitari e del rap - sciorinano disinvoltamente, quasi precipitosamente, le parole; gli anziani sembrano centellinarle parsimoniosamente.
Fatte salve
le ovvie particolarità individuali, è più frequente nelle persone in età
avanzata obbedire alla massima che “la parola migliore è quella che non si
dice”. Che i più giovani non mostrino uguale cautela è un segnale positivo:
sono figli di una fase storica in cui, caduta la dittatura fascista, decenni
dopo anche la dittatura mafiosa si è incrinata. Ma è solo sintomo di evoluzione
democratica? O non anche di un’inflazione del diritto (sacrosanto) di parlare?
Annibale C. Raineri ha notato nel suo recente libro autobiografico Ancora:
“Cos’altro era se non questo il mutismo dei siciliani, l’attenzione ossessiva
ad ogni parola e ad ogni gesto, l’obbligo di legare ogni parola all’azione
conseguente, facendo divieto all’inefficace ciarlare?”
Augusto
Cavadi
“IL
GATTOPARDO/EDIZIONE SICILIA”
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