Per uno dei tanti paradossi della vita, la lettura dei vangeli cristiani suscita meno problemi in chi li conosce peggio. Se qualcuno - rompendo il tabù anticlericale che vieta ai laici di occuparsi di teologia- prova a studiarli in maniera scientificamente aggiornata, si espone a una serie insospettata di dubbi e di questioni aperte. Da qui la decisione della stragrande maggioranza dei ‘fedeli’ di tenersi abbarbicati alla “fede del carbonaio”, sotto il segno del tradizionalismo. Ma, sempre più spesso, teologi e teologhe di varie confessioni cristiane ritengono che questa politica culturale risulti, nel lungo periodo, suicida: che futuro possono avere delle comunità religiose cui si possa aderire solo a patto di non pensare? E’ come trovarsi, in un locale sotterraneo, al cospetto di un tunnel oscuro: puoi evitare di imboccarlo e restare dove ti trovi, ma se decidi – con coraggio - di attraversarlo ti conduce all’aperto, alla luce.
Il
recentissimo volume a cinque voci Resurrezione. Fisica quantistica, teologia
e mistica a confronto (Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano 2024)
concentra l’attenzione sul tema decisivo dell’annunzio evangelico: la
resurrezione di Gesù, appunto. La biblista Annamaria Corallo ricorda che le
Scritture (ebraiche e cristiane) si prestano a tre livelli di lettura:
“storico”, “teologico” e “spirituale” (livello, quest’ultimo, che si riferisce
“alla possibilità che il testo parli alla vita di chi ascolta per lasciarsene
trasformare”, p. 110). I racconti delle “apparizioni” di Cristo dopo la morte,
sottoposti a questa griglia interpretativa, risultano oggi molto problematici.
Infatti “la critica storica, coi suoi criteri, mette in seria discussione la
possibilità che i fatti narrati dai vangeli siano riproposizioni dettagliate e
puntuali di eventi storici” (p. 111). Dettagli come la “tomba vuota” hanno
dunque il ruolo di “metafore” per veicolare la convinzione teologica che il
Maestro è entrato in una “dimensione metastorica” ossia “nell’abbraccio vitale
e amante di Dio, inaccessibile ai nostri sensi e al nostro pensiero” (p. 115). Ma anche questa prospettiva può lasciarci
perfettamente indifferenti se la adottiamo solo per acquisire informazioni e
non ne accogliamo le implicazioni “spirituali”, cioè esistenziali ed
etico-politiche: poiché Gesù “sentiva Dio come Padre, ma non si sentiva figlio
unico", ai discepoli “consegnò il volto di un Dio alternativo, schierato
dalla parte degli ultimi della storia e scontento delle potenti istituzioni che
li opprimono” (p. 116), da annunziare e da testimoniare.
I
brevi cenni della Corallo sulle valenze teologica e spirituale dei racconti
evangelici riguardanti il Risorto sono approfonditi da tre contributi (più o
meno interni alla prospettiva post-teistica o trans-teistica).
Luciano
Locatelli ritiene che “la confessione della resurrezione, proposta fin dalle
origini, può essere riprodotta con la famosa espressione di Willi Marxsen:
<<La causa di Gesù continua>>” o, in altre parole, che
“l’evento-resurrezione non è in funzione di una sorta di aldilà consolatorio
quanto piuttosto affonda le sue radici nell’humus della storia attuale.
L’annuncio della resurrezione non è una pia narrazione per sopportare
un’esistenza vissuta in una ipotetica ‘valle di lacrime’, ma è un annuncio che
‘supporta’ la lotta di un’umanità chiamata a vivere e non a sopravvivere” (p.
101).
Corallo
e Locatelli interpretano la fede nella
resurrezione come fiducia nel Dio che non abbandona al fallimento i suoi
profeti: ma la giurisdizione di questo Dio sembra limitata all’alveo storico.
Che ne è dei mali che trascendono tale alveo? La “memoria sovversiva” (per
dirla con Metz) del Nazareno può contribuire all’emancipazione dai mali che ci
procuriamo da noi esseri umani stessi: ma ha qualcosa da dire sulle tragedie
ineluttabili di cui non possiamo considerarci responsabili dal momento che sono
conseguenze delle leggi evolutive dell’universo? Il Salvatore ci può salvare
anche, sia pur in prospettiva, dalla marea di sofferenze sperimentate da bimbi
che nascono deformi, da anziani che si spengono a causa di patologie
degenerative, da animali innocenti che vengono divorati vivi da altri animali
altrettanto innocenti? Questa vulnerabilità ontologica mette in discussione il
teismo tradizionale (incentrato su un Dio paterno/materno provvidente) molto
più delle ingiustizie storico-sociali che – almeno in linea di principio – sono
riparabili.
Suppongo
che considerazioni del genere abbiano indotto gli altri due autori del libro, per focalizzare il tema della resurrezione, ad
allargare lo sguardo oltre l’orizzonte biblico.
Paolo Gamberini vi vede il caso particolare di una legge generale di
portata cosmica: “la resurrezione di Gesù, quindi, non è un evento miracoloso –
unico e singolare – accaduto nella storia, ma è la rivelazione di Qualcosa che
continuamente e dovunque sta accadendo nella creazione. Resurrezione e
trasformazione sono, infatti, il modello e il paradigma universale di ogni cosa”
(p. 92). Credere nella resurrezione di Gesù (al di là di ogni rivestimento
mitico) sarebbe, essenzialmente, riconoscere che “la matrice divina, il logos, la
logica, la ‘regola’ o la grammatica dell’universo” (p. 92) consiste
nell’incessante passaggio dalla morte alla vita. Mi pare chiaro che qui è in
gioco una vasta visione-del-mondo di ordine speculativo, ben al di là
dell’angolazione biblica concentrata sul piano delle problematiche
storico-sociali.
Ma,
se ci spostiamo dallo storico-fenomenologico al teoretico-ontologico, è lecito
chiedersi se davvero l’intera realtà conosca solo la ‘pasqua’ progressiva o non
anche il movimento in direzione opposta, dalla vita alla morte. E se la
risposta a questo interrogativo fosse – come ritengo debba essere –
affermativa, la resurrezione come simbolo ascensionale rischierebbe di
risultare una cifra incompleta della “grammatica dell’universo”. Forse per questa ragione, più o meno
consapevole, Paolo Scquizzato ha proposto
una sua interpretazione mistico-metafisica secondo la quale “esperienza della
resurrezione” è “esperienza di salvezza”, ma quest’ultima è “esperire” che “il
sé, l’atman che è fondamento dell’essere personale, è uno con il brahman,
il fondamento dell’essere universale” (p. 69).
“La
convinzione di tutta la mistica” - “non
siamo mai nati, non moriremo mai. Ciò che cesserà sarà il nostro modo di
manifestarci” – che, se interiorizzata, “fa di noi dei risorti” (p. 71), può
essere sostenuta anche da argomenti razionali? Qualche filosofo del nostro
tempo, come Emanuele Severino, ritiene di sì e anzi sostiene che essa coincida
con la conclusione logica del “principio di Parmenide” secondo cui l’Essere
è ed esclude qualsiasi negazione per quanto parziale (dunque qualsiasi
molteplicità e qualsiasi divenire). Anche la scienza, come la filosofia, può
confermare l’intuizione del mistico? Lo scienziato Federico Faggin, anche sulla
base di una propria visione interiore, sembra propendere per la risposta
affermativa: “Uno non è fatto di parti separabili, Uno è olistico. Dinamico
e olistico. Di Uno non si possono trovare ‘parti’ : le parti che
crea sono parti/intero di Uno. (…) La fisica quantistica ci
dice che la realtà è olistica, non è fatta di ‘parti’ separate/ separabili
e quindi siamo tutti connessi” (p. 62).
Personalmente, alla luce delle vicende ormai più che bimillenarie del pensiero filosofico occidentale e delle teorie scientifiche, sarei più prudente: la storia ci ha insegnato che sentirsi in comunione con la Totalità è un dato (soggettivo) compatibile con una pluralità di paradigmi interpretativi. Il monismo ontologico e la fisica quantistica sono tra questi, ma senza titoli evidenti di esclusività.
Augusto
Cavadi
* Per la versione originale con apparato iconografico:
https://www.zerozeronews.it/la-resurrezione-di-cristo-come-metafora-esistenziale/
2 commenti:
Ciao Augusto sono Piero di Bolzano. Apprezzo molto l’equilibrio ,e la saggezza con cui tratti questo argomento, così decisivo
Mi unisco convintamente all'apprezzamento del sig. Piero. Grazie.
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