domenica 29 dicembre 2024

LA RESURREZIONE DI CRISTO COME CIFRA INTERPRETATIVA DEL MONDO

 Per uno dei tanti paradossi della vita, la lettura dei vangeli cristiani suscita meno problemi in chi li conosce peggio. Se qualcuno - rompendo il tabù anticlericale che vieta ai laici di occuparsi di teologia- prova a studiarli in maniera scientificamente aggiornata, si espone a una serie insospettata di dubbi e di questioni aperte. Da qui la decisione della stragrande maggioranza dei ‘fedeli’ di tenersi abbarbicati alla “fede del carbonaio”, sotto il segno del tradizionalismo. Ma, sempre più spesso, teologi e teologhe di varie confessioni cristiane ritengono che questa politica culturale risulti, nel lungo periodo, suicida: che futuro possono avere delle comunità religiose cui si possa aderire solo a patto di non pensare? E’ come trovarsi, in un locale sotterraneo,  al cospetto di un tunnel oscuro: puoi evitare di imboccarlo e restare dove ti trovi, ma se decidi – con coraggio - di attraversarlo ti conduce all’aperto, alla luce.

Il recentissimo volume a cinque voci Resurrezione. Fisica quantistica, teologia e mistica a confronto (Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano 2024) concentra l’attenzione sul tema decisivo dell’annunzio evangelico: la resurrezione di Gesù, appunto. La biblista Annamaria Corallo ricorda che le Scritture (ebraiche e cristiane) si prestano a tre livelli di lettura: “storico”, “teologico” e “spirituale” (livello, quest’ultimo, che si riferisce “alla possibilità che il testo parli alla vita di chi ascolta per lasciarsene trasformare”, p. 110). I racconti delle “apparizioni” di Cristo dopo la morte, sottoposti a questa griglia interpretativa, risultano oggi molto problematici. Infatti “la critica storica, coi suoi criteri, mette in seria discussione la possibilità che i fatti narrati dai vangeli siano riproposizioni dettagliate e puntuali di eventi storici” (p. 111). Dettagli come la “tomba vuota” hanno dunque il ruolo di “metafore” per veicolare la convinzione teologica che il Maestro è entrato in una “dimensione metastorica” ossia “nell’abbraccio vitale e amante di Dio, inaccessibile ai nostri sensi e al nostro pensiero” (p. 115).  Ma anche questa prospettiva può lasciarci perfettamente indifferenti se la adottiamo solo per acquisire informazioni e non ne accogliamo le implicazioni “spirituali”, cioè esistenziali ed etico-politiche: poiché Gesù “sentiva Dio come Padre, ma non si sentiva figlio unico", ai discepoli “consegnò il volto di un Dio alternativo, schierato dalla parte degli ultimi della storia e scontento delle potenti istituzioni che li opprimono” (p. 116), da annunziare e da testimoniare.

I brevi cenni della Corallo sulle valenze teologica e spirituale dei racconti evangelici riguardanti il Risorto sono approfonditi da tre contributi (più o meno interni alla prospettiva post-teistica o trans-teistica).

Luciano Locatelli ritiene che “la confessione della resurrezione, proposta fin dalle origini, può essere riprodotta con la famosa espressione di Willi Marxsen: <<La causa di Gesù continua>>” o, in altre parole, che “l’evento-resurrezione non è in funzione di una sorta di aldilà consolatorio quanto piuttosto affonda le sue radici nell’humus della storia attuale. L’annuncio della resurrezione non è una pia narrazione per sopportare un’esistenza vissuta in una ipotetica ‘valle di lacrime’, ma è un annuncio che ‘supporta’ la lotta di un’umanità chiamata a vivere e non a sopravvivere” (p. 101).

Corallo e  Locatelli interpretano la fede nella resurrezione come fiducia nel Dio che non abbandona al fallimento i suoi profeti: ma la giurisdizione di questo Dio sembra limitata all’alveo storico. Che ne è dei mali che trascendono tale alveo? La “memoria sovversiva” (per dirla con Metz) del Nazareno può contribuire all’emancipazione dai mali che ci procuriamo da noi esseri umani stessi: ma ha qualcosa da dire sulle tragedie ineluttabili di cui non possiamo considerarci responsabili dal momento che sono conseguenze delle leggi evolutive dell’universo? Il Salvatore ci può salvare anche, sia pur in prospettiva, dalla marea di sofferenze sperimentate da bimbi che nascono deformi, da anziani che si spengono a causa di patologie degenerative, da animali innocenti che vengono divorati vivi da altri animali altrettanto innocenti? Questa vulnerabilità ontologica mette in discussione il teismo tradizionale (incentrato su un Dio paterno/materno provvidente) molto più delle ingiustizie storico-sociali che – almeno in linea di principio – sono riparabili.

Suppongo che considerazioni del genere abbiano indotto gli altri due autori del libro,  per focalizzare il tema della resurrezione, ad allargare lo sguardo oltre l’orizzonte biblico.  Paolo Gamberini vi vede il caso particolare di una legge generale di portata cosmica: “la resurrezione di Gesù, quindi, non è un evento miracoloso – unico e singolare – accaduto nella storia, ma è la rivelazione di Qualcosa che continuamente e dovunque sta accadendo nella creazione. Resurrezione e trasformazione sono, infatti, il modello e il paradigma universale di ogni cosa” (p. 92). Credere nella resurrezione di Gesù (al di là di ogni rivestimento mitico) sarebbe, essenzialmente, riconoscere  che “la matrice divina, il logos, la logica, la ‘regola’ o la grammatica dell’universo” (p. 92) consiste nell’incessante passaggio dalla morte alla vita. Mi pare chiaro che qui è in gioco una vasta visione-del-mondo di ordine speculativo, ben al di là dell’angolazione biblica concentrata sul piano delle problematiche storico-sociali.

Ma, se ci spostiamo dallo storico-fenomenologico al teoretico-ontologico, è lecito chiedersi se davvero l’intera realtà conosca solo la ‘pasqua’ progressiva o non anche il movimento in direzione opposta, dalla vita alla morte. E se la risposta a questo interrogativo fosse – come ritengo debba essere – affermativa, la resurrezione come simbolo ascensionale rischierebbe di risultare una cifra incompleta della “grammatica dell’universo”.  Forse per questa ragione, più o meno consapevole, Paolo Scquizzato  ha proposto una sua interpretazione mistico-metafisica secondo la quale “esperienza della resurrezione” è “esperienza di salvezza”, ma quest’ultima è “esperire” che “il sé, l’atman che è fondamento dell’essere personale, è uno con il brahman, il fondamento dell’essere universale” (p. 69). 

“La convinzione di tutta la mistica”  - “non siamo mai nati, non moriremo mai. Ciò che cesserà sarà il nostro modo di manifestarci” – che, se interiorizzata, “fa di noi dei risorti” (p. 71), può essere sostenuta anche da argomenti razionali? Qualche filosofo del nostro tempo, come Emanuele Severino, ritiene di sì e anzi sostiene che essa coincida con la conclusione logica del “principio di Parmenide” secondo cui l’Essere è ed esclude qualsiasi negazione per quanto parziale (dunque qualsiasi molteplicità e qualsiasi divenire). Anche la scienza, come la filosofia, può confermare l’intuizione del mistico? Lo scienziato Federico Faggin, anche sulla base di una propria visione interiore, sembra propendere per la risposta affermativa: “Uno non è fatto di parti separabili, Uno è olistico. Dinamico e olistico. Di Uno non si possono trovare ‘parti’ : le parti che crea sono parti/intero di Uno. (…) La fisica quantistica ci dice che la realtà è olistica, non è fatta di ‘parti’ separate/ separabili e quindi siamo tutti connessi” (p. 62).

Personalmente, alla luce delle vicende ormai più che bimillenarie del pensiero filosofico occidentale e delle teorie scientifiche, sarei più prudente: la storia ci ha insegnato che  sentirsi in comunione con la Totalità è un dato (soggettivo) compatibile con una pluralità di paradigmi interpretativi. Il monismo ontologico e la fisica quantistica sono tra questi, ma senza titoli evidenti di esclusività.

Augusto Cavadi

* Per la versione originale con apparato iconografico:

https://www.zerozeronews.it/la-resurrezione-di-cristo-come-metafora-esistenziale/

sabato 21 dicembre 2024

IL NATALE CRISTIANO E IL CAPODANNO LAICO VERSO UNA SIGNIFICATIVA CONVERGENZA

 

Il pacchetto completo degli auguri dal 25 dicembre al 6 gennaio include due celebrazioni che, in sé, sarebbero ben distinte. Natale – originariamente la festa pagana del dio Sole – e l’Epifania sarebbero due commemorazioni religiose che avrebbero senso solo per quella minoranza dei cittadini del pianeta che (ancora per molto?) si ritiene cristiana; laddove il Capodanno coincide con una data esclusivamente laica e, in quanto tale, condivisibile da un’area molto più ampia di abitanti della Terra. Come mai, allora, questa accoppiata, quasi una fusione, di ricorrenze?

Indubbiamente incide la prossimità delle date che crea un intreccio fra le ricorrenze religiose e la ricorrenza laica dell’inizio di un anno nuovo, con una sorta di effetto grande-ponte-unificante; ma, più irriflessivamente che consapevolmente, forse agiscono dei motivi più profondi.

In termini estremamente sintetici direi che nell’inconscio collettivo le due feste si vanno trasformando quasi a identificarsi in una sorta di metà strada fra i due punti di partenza originari dal momento che il Natale viene interpretato sempre più laicamente e il Capodanno viene caricato sempre più di valenze religiose. Provo a spiegarmi.

In sintonia con gli studi esegetici più aggiornati, la gente intuisce che la figura storica del personaggio Jeshua di Nazareth è rilevante non tanto per una ipotetica e misteriosa identità trascendente quanto per il messaggio di cui si è fatto annunziatore sino all’estremo: che questo mondo corre verso il suicidio finché domineranno i miti del potere (politico, economico, culturale) e non i princìpi della tradizione profetica (giustizia sociale, correttezza etica, ripudio di ogni forma di violenza, compassione verso ogni genere di sofferenza). In linguaggio simbolico proprio del tempo e del luogo: il mondo si condanna alla perdizione sino a quando non sostituirà i “regni” dei potenti della Terra con il “regno dei Cieli”, cioè di Jahvé (Dio, il Padre comune). Se Natale evoca il vangelo (e dunque significa invito a sospendere l’incubo delle guerre, delle discrepanze abissali fra chi ha quasi tutto e chi ha quasi niente, dell’ecocidio…) costituisce uno appiglio di speranza che raggiunge gli animi al di là delle professioni di fede e delle opzioni ideologiche.

Alla ‘laicizzazione’ del Natale corrisponde una ‘sacralizzazione’ del Capodanno. La  speranza di un futuro diverso sembra dare un contenuto più sostanzioso alla ricorrenza del Nuovo Anno che, se restasse mera data cronologica, lascerebbe abbastanza freddi (nonostante l’euforia un po’ forzata di brindisi e giochi di fuoco). In questo senso vediamo che esso si carica di valenze palingenetiche, in un confuso mix ‘religioso’ dove le diverse fedi, anche teologicamente purificate, si intrecciano con credenze superstiziose, profezie di improbabili veggenti, attese miracolistiche.  Per questo ben vengano le esortazioni a non coltivare illusioni e alibi fuorvianti nei riguardi dell’anno imminente, come la preziosa filastrocca di Gianni Rodari che con linguaggio ironicamente infantile esprime una verità indirizzata soprattutto agli adulti:  Indovinami, indovino/tu che leggi nel destino:/l’anno nuovo come sarà?/Bello, brutto, o metà e metà?/“Trovo stampato nei miei libroni/che avrà di certo quattro stagioni,/dodici mesi, ciascuno al suo posto,/un carnevale e un ferragosto,/e il giorno dopo del lunedì/avrà sempre un martedì./Di più per ora scritto non trovo/nel destino dell’anno nuovo:/per il resto anche quest’anno/sarà come gli uomini lo faranno”.

Augusto Cavadi

www.augustoavadi.com

Per la versione originaria illustrata cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/la-convergenza-fra-il-natale-cristiano-e-il-capodanno-laico/



mercoledì 18 dicembre 2024

LE PAROLE E IL SILENZIO DEI SICILIANI

 Il viaggiatore che incontra per la prima volta i siciliani può essere incuriosito da una differenza di eloquio fra le generazioni. I più giovani – perfettamente allineati  allo stile degli spot pubblicitari e del rap - sciorinano disinvoltamente, quasi precipitosamente, le parole; gli anziani sembrano centellinarle parsimoniosamente.

Fatte salve le ovvie particolarità individuali, è più frequente nelle persone in età avanzata obbedire alla massima che “la parola migliore è quella che non si dice”. Che i più giovani non mostrino uguale cautela è un segnale positivo: sono figli di una fase storica in cui, caduta la dittatura fascista, decenni dopo anche la dittatura mafiosa si è incrinata. Ma è solo sintomo di evoluzione democratica? O non anche di un’inflazione del diritto (sacrosanto) di parlare? Annibale C. Raineri ha notato nel suo recente libro autobiografico Ancora: “Cos’altro era se non questo il mutismo dei siciliani, l’attenzione ossessiva ad ogni parola e ad ogni gesto, l’obbligo di legare ogni parola all’azione conseguente, facendo divieto all’inefficace ciarlare?”

Augusto Cavadi

“IL GATTOPARDO/EDIZIONE SICILIA”

domenica 15 dicembre 2024

L'AGONIA DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA SECONDO ELIO RINDONE: PRIMA FASE (2012 - 2015)

Chi desideri riflettere sulle condizioni reali della democrazia nel nostro Paese e sulla politica dell’Occidente, spesso in contrasto con i valori che dice di difendere, può leggere il primo di una serie di volumetti scaricabili gratuitamente al seguente link 

https://app.bookcreator.com/l/-Nis45cap9Lv2WiFznmj?c=R6GF6F2

In La democrazia e l'Italia di oggi sono contenuti degli articoli (pubblicati da Elio Rindone su varie testate) che, in sequenza, mettono a fuoco alcuni passaggi critici della politica italiana dal 2012  al 2015 (dunque durante i governi Monti, Letta e Renzi).

I temi trattati sono seri e non di rado tragici, ma l'autore cerca di mantenere il punto di vista di un osservatore disincantato che volentieri alleggerisce i toni ricorrendo anche al registro ironico. 

Nota tecnica:

Basta cliccare sul link e poi, sulla schermata che si apre, su G e usare un indirizzo gmail, per entrare come studenti nel sito di Book Creator.

giovedì 12 dicembre 2024

BASTA CON LE VIOLENZE SUI CITTADINI DETENUTI NELLE CARCERI ITALIANE !

La condizione dei detenuti non è mai stata invidiabile. Non è un caso che, da secoli, la Chiesa cattolica inserisce nel novero delle sette opere di misericordia corporale “Visitare i carcerati”. Sul piano legislativo-istituzionale, con la Costituzione italiana in vigore dal 1948, sono stati compiuti rilevanti passi in avanti, a cominciare dal terzo comma dell’articolo 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Tuttavia, se ci spostiamo dal piano teorico-programmatico all’esperienza quotidiana, la situazione è ben diversa. Quanti di noi sono impegnati in associazione di volontariato penitenziario toccano con mano ogni giorno una contraddizione clamorosa: proprio là dove lo Stato democratico reclude i contravventori delle leggi, esso per primo non le rispetta. I diritti dei detenuti sono disattesi da tanti punti di vista (a causa del sovraffollamento, del malfunzionamento dei servizi igienici, dei ritardi nell’assistenza sanitaria, delle carenze di riscaldamento, delle difficoltà a imparare e svolgere un mestiere o a studiare e conseguire un titolo di studio e così via). In non pochi casi si tratta di soggetti abbandonati dalle famiglie d’origine e impossibilitati a procurarsi il vestiario essenziale e altri piccoli strumenti per la sopravvivenza e la pulizia.

Con i limiti fisici, economici, professionali noi volontari cerchiamo di rimediare ai disagi, ma non intendiamo supplire alle deficienze delle istituzioni pubbliche se non in misura provvisoria: la supplenza si trasformerebbe in oggettiva complicità se non fosse, contemporaneamente, denunzia e pressione affinché lo Stato faccia la sua parte. Non intendiamo costituire un alibi per nessun ente e per nessun responsabile a capo degli enti preposti a questo delicatissimo settore della vita sociale.

In questa logica non possiamo tacere la nostra amarezza  e la nostra indignazione per tutte le volte che – perforando l’abituale cortina di silenzio – arrivano alla luce della cronaca abusi fisici e psichici ai danni di nostri concittadini reclusi. Poiché operiamo a Palermo abbiamo appreso con particolare dolore dei maltrattamenti inferti da alcuni agenti della polizia penitenziaria di Trapani e, pur da associazione aconfessionale per statuto, condividiamo e rilanciamo l’appello di don Raffaele Grimaldi, Ispettore dei Cappellani della Carceri: «Questi episodi rappresentano una ferita profonda non solo per le vittime, ma anche per la missione di giustizia e recupero che ogni istituto penitenziario è chiamato a svolgere. Nessun reato, per quanto grave, può giustificare la negazione della dignità umana. Come ci ricorda la Bibbia: “Nessuno tocchi Caino”.  Quanto accaduto non solo viola i principi fondamentali di rispetto della dignità umana, ma tradisce la missione stessa degli operatori penitenziari, chiamati a custodire e rieducare. Questi atti deplorevoli gettano un’ombra sulla professionalità della maggior parte degli agenti, che quotidianamente svolgono il loro difficile compito con dedizione e rispetto”.

Ovviamente, nella terra in cui magistrati come Falcone e Borsellino hanno dato luminoso esempio di tatto nel relazionarsi con gli inquisiti al punto da meritarne spesso gratitudine e fiducia, attendiamo che la magistratura svolga con equanimità e rigore il suo compito. Anche per bilanciare, nell’opinione pubblica, alcune pericolose tendenze forcaiole, alimentate perfino da personalità politiche, evidentemente legate a culture del passato che speravamo ormai alle nostre spalle. E’ giusto che si sappia: se un Sottosegretario alla Giustizia può esprimere “intima gioia” all’idea che, in alcune situazioni, ai detenuti possa “mancare l’aria”, ci siamo in Italia centinaia di cittadini e di cittadine che provano “intima gioia” quando possono constatare che una persona in stato di detenzione intraprende, anche grazie al supporto di professionisti e volontari,  percorsi riparativi per tornare a respirare l’aria della libertà e della civiltà.

Bruno Di Stefano

· * L’autore è presidente dell’ASVOPE (Associazione di volontariato penitenziario) di Palermo

 = Per la versione originaria basta un click qui:

 https://www.zerozeronews.it/violenze-e-mancato-rispetto-della-dignita-dei-detenuti-lincivilta-delle-carceri/

venerdì 6 dicembre 2024

VIDEO INTERVISTA A GERMANO FEDERICI

Ho già parlato altre volte di questo amico che un brutto male ha strappato prematuramente ai suoi cari e a noi tutti. Adesso è in rete una bella intervista in cui egli ha modo di raccontarsi con la sobria efficacia delle persone davvero degne di ammirazione:

 https://youtu.be/JpJFtnKdw60?si=iXM5XT9EFyZ1HDK4