mercoledì 30 ottobre 2024

PERCHE' AI CORTEI PER LA PACE NON SIAMO MAI ABBASTANZA ?

 Sabato 26 ottobre in 7 grandi città italiane si sono snodati altrettanti cortei per la pace. Secondo le stime su cui si registra maggiore convergenza si sono lasciate coinvolgere circa 80.000 persone: poco più di una ogni mille. Perché 998 e mezza sono rimaste a casa?

Le domande impegnative non ammettono risposte facili. Si possono sono cucire ipotesi parziali per tentare di avvicinarsi alla spiegazione più vera.

Parzialità per parzialità, cominciamo dal dato locale della nostra città: a Palermo, contando anche chi è arrivato dopo l’inizio e chi è andato via prima della fine, saremo stati tra 2000 e 2500 partecipanti. Dunque, in rapporto al numero degli abitanti,  al di sotto della media delle altre città. Come mai?

a)     Una prima considerazione riguarda l’overdose di cortei nel giro di tre giorni: il 25 contro il disegno di legge sull’ordine pubblico, il 26 appunto contro le guerre, il 27 contro la legge che sanziona la gravidanza per altri. A meno che uno non sia un manifestante di professione, sceglie per uno o due cortei al massimo; non certo per l’en plein.

b)     Una seconda considerazione riguarda l’opportunismo di cui siamo affetti a ogni età sin da giovani: per gli studenti delle scuole medie superiori, aderire al corteo di venerdì 25 significava risparmiarsi 5/6 ore di lezioni, mentre sabato 26 si sarebbe dovuto sfilare gratis et amore pacis. Per carità, niente moralismi: ma, per lo meno, evitiamo l’illusione della retorica giovanilistica. Gli adolescenti non sono né peggiori né migliori degli adulti e vedere in loro “la speranza del mondo di domani” significa condannarsi alla delusione.

c)      Giovani o adulti, siamo abbastanza svegli da sapere che un corteo in più non modifica le decisioni del Parlamento e del Governo (tanto meno quando queste istituzioni sono state consegnate dalla maggioranza degli elettori a politici non particolarmente inclini alle dinamiche della democrazia). Personalmente sono andato, come vado altre volte, senza molta convinzione: più per evitare il fallimento della manifestazione che in previsione di effetti concreti. Ma se si vuole evitare l’effetto boomerang (chi è d’accordo con l’andazzo attuale della Nato e della Commissione Europea in giù potrà gongolare puntando sulla stragrande maggioranza della popolazione rimasta in poltrona) bisogna centellinare strategicamente l’indizione di manifestazioni di questo genere: poche, pochissime all’anno – e solo quando si riesce a trovare un accordo preventivo fra la quasi totalità delle grandi organizzazioni popolari (non accontentandosi del pur preziosissimo apporto di un sindacato su tre). Mille cortei da mille persone non equivalgono a un corteo di un milione di persone, ma costituiscono  mille assist per chi tifa sugli spalti opposti.

d)     Questi conteggi aritmetici vanno fatti, ma a patto di non monopolizzare l’attenzione sull’aspetto quantitativo: prioritariamente – anche in funzione di eventuali espansioni numeriche future – c’è una questione qualitativa. Detto schematicamente: quale livello di consapevolezza culturale, etica e politica sul tema della guerra, della pace, della nonviolenza si può ragionevolmente supporre nella media dei partecipanti a questo genere di cortei ? “Vogliamo la pace” è uno slogan insidioso: può essere gridato da punti di vista non solo diversi (che sarebbe un bene), ma addirittura opposti. Se poi si aggiungesse la richiesta di proporre alcuni mezzi per raggiungere il fine comune, si registrerebbe la babele delle lingue. Ma senza questo minimo di chiarezza teorica e di conseguente convergenza operativa (a cominciare dal proprio ambito di vita: la relazione con il proprio partner o con i membri della propria organizzazione) non si può prevedere il rivolgimento radicale di cui c’è assoluta esigenza. Per ciò che risulta a quanti di noi si impegnano, tra una manifestazione e l’altra, nella informazione e nella formazione delle coscienze – anche in nome delle associazioni pacifiste e nonviolente nazionali e internazionali di cui facciamo parte – la domanda di consapevolezza, di conoscenza, di approfondimento critico da parte delle scuole, dei sindacati, dell’associazionismo laico e cattolico è quasi inesistente. Ma le case si costruiscono dalle fondamenta, non dalle tegole e dai caminetti: se dirigenti di partiti e di sindacati, animatori di associazioni e di movimenti, giornalisti e artisti, insegnanti e preti… non avvertono l’urgenza dell’auto-formazione e della formazione delle persone che gravitano intorno a loro, c’è poco da sperare in un incremento della partecipazione popolare.

 

Augusto Cavadi

Co-direttore, con Adriana Saieva, della “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo

 

Versione originale qui:

https://www.girodivite.it/Perche-ai-cortei-per-la-pace-non.html

30.10.2024

4 commenti:

Andrea Cozzo ha detto...

Bellissimo articolo. condivido in toto: a mio parere, hai detto TUTTE le parole essenziali (in particolare, quelle su NATO, su impegno nelle relazioni della vita quotidiana e su formazione). Grazie, grazie, grazie.😍

Maria D'Asaro ha detto...

Condivido precedente commento di Andrea. Grazie!

Raffaella Brignola ha detto...

Perfettamente condivisibile, Augusto. Lo sto girando alla mia  comunità.

Antonella Ninci ha detto...

Condivido tutta l'analisi. In particolare vorrei focalizzare l'attenzione sulla "babele di lingue" che verrebbe fuori se si cercasse di capire cosa vuole dire per ognuno di noi "volere la pace". Forse è importante partire proprio da questo in ogni contesto locale