Papa Francesco mi è simpatico, anche quando va un po’ fuori di testa. Anzi, soprattutto quando comincia a sproloquiare. Per esempio mercoledì 25 settembre, all’incontro con alcuni giovani del convegno “Economy of Francesco”, ha detto: “«Coraggio, cari amici! Coraggio! Se sarete fedeli alla vostra vocazione, la vostra vita fiorirà, avrete storie meravigliose da raccontare ai figli e ai nipoti. Vedo che ci sono alcuni bambini lì: è bello questo, in una cultura dove si privilegia avere cagnolini o gatti e non bambini. Dobbiamo bastonare un po’ l’Italia!». Questa storia dell’amore per gli (altri) animali dev’essere un cruccio per il papa perché pochi giorni dopo ha ribadito la sua opinione in proposito durante il viaggio in Lussemburgo e Belgio.
Se
per un caso del tutto improbabile dovessimo chiacchierare una decina di minuti
al bar, restando sul registro ‘leggero’ in cui egli srotola le sue battute
sull’argomento, gli obietterei innanzitutto che la sua enfatizzazione della
paternità biologica mi fa sorridere perché mi evoca alla mente l’invito di un
ipotetico presidente del club degli Astemi a non far mancare mai una bottiglia
di buon vino sulla tavola di ogni famiglia.
Poi,
trasferendomi su un piano meno divertente, gli chiederei se davvero l’umanità,
con i miliardi di abitanti attuali, ha bisogno di incrementare le
nascite o, piuttosto, di distribuire in maniera più equa le generazioni che si
succedono anno dopo anno. Con mia moglie, ad esempio, abbiamo potuto accogliere
nel nostro stato di famiglia una ragazzina africana arrivata in Sicilia su un
barcone senza nessun parente: da anni vive con noi – che chiama ‘papi’ e ‘mami’
- nell’unica stanzetta disponibile in casa
(le altre due sono il soggiorno e la camera da letto) in quanto non
occupata da prole. Questa esperienza – che abbiamo accettato di vivere senza averla cercata intenzionalmente – ci
consente di constatare in prima persona ciò che come insegnanti sapevamo de
relato: quanto sia davvero difficile il mestiere di genitori. Allora,
forse, piuttosto che a fare più figli bisognerebbe esortare a fare
meglio i genitori dei figli che ci sono: se non altro per evitare o
di ucciderli in momenti di esasperazione e di venirne uccisi in momenti di
noia.
Non
è la prima esperienza di ‘adozione’ morale del genere, con varie modalità di
convivenza: qualche volta è andata bene, qualche altra è stato un disastro (ma,
per fortuna, non al punto da scoraggiarci e desistere). Ma c’è un genere di cuccioli che non ci hanno
mai deluso, mai tradito: i vari gattini che si sono succeduti nelle nostre vite
e i vari cagnolini che vi fanno, periodicamente, capolino. Non so se il buon
Bergoglio ha mai avuto animali in casa, io posso testimoniare che non solo mi
danno molto affetto ma che mi hanno educato ad esercitarlo verso di loro e
verso i miei simili. Alla loro pacatezza, alla loro pazienza, alla loro
sconfinata fiducia verso noi umani, alla loro serenità sulla soglia della morte
devo moltissimo. Al catechismo le suore, settant’anni fa, mi insegnavano che
Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: solo da pochi anni ho capito che,
conseguentemente, è anche in ogni essere vivente e senziente. E che è stata una
cecità intellettuale e morale proibire, in una mostra di presepi di alcuni anni
fa in una cittadina siciliana, un delizioso presepe in cui Giuseppe, Maria e il
bambinello erano – come tutti gli altri protagonisti – dei cagnolini. Il divino
è inimmaginabile, anzi inconcepibile: per questo noi mortali siamo autorizzati –
anzi obbligati – a moltiplicare le nostre rappresentazioni, a patto di non
dimenticare neppure per un momento che sono sempre e solo ‘nostre’. Dunque
parziali, imperfette e non di rado fuorvianti, come quando abbiamo descritto
l’Invisibile come Condottiero di eserciti, Giudice implacabile, Re irato (che
solo il sangue del Figlio ha potuto rabbonire). Questo papa, meritoriamente,
esorta senza posa a deporre la violenza e a stabilire relazioni di pace nel
micro e nel macro. Vorrei suggerirgli, in tutta umiltà, di esaminare come
ipotesi ciò che sempre più persone
sparse nel mondo andiamo faticosamente comprendendo: la madre di tutte le
violenze – la palestra e la pista di decollo – è la violenza sistemica contro i
fratellini più piccoli e più indifesi che alleviamo in condizioni disumane per
poi ucciderli in maniera crudelissima. La cultura cristiana – in questo
tremendamente identica all’ebraica e all’islamica – è spietata verso miliardi
di creature che trattiamo come merce senza sentimenti. Che il papa, i vescovi,
i preti, i teologi, i fedeli laici spendano qualche volta una parola di
misericordia per le vittime dello specismo: sperimenteranno che la tenerezza
verso gli animali inermi ci induce ad aprire gli occhi sulla nostra violenza
sistemica verso la natura in genere, i nostri bambini, le nostre donne, quei
nostri simili che solo per ignoranza possiamo bollare come “diversi” e
inferiori.
Certo, anche la convivenza con gli animali domestici può dare adito ad esagerazioni tra il patetico e il ridicolo (ho visto acquistare ciotole in argento per i croccantini e vietare di fotografare il proprio felino per salvaguardarne la privacy); ma non è certo l’unico campo in cui diamo sfogo alle nostre nevrosi. Anche verso i figli biologici si può sbagliare per eccesso di consumismo e di permissivismo e – in perfetta buona fede – allevare egoisti capricciosi. Ma se qualcuno usa il fuoco per incendiare boschi o villaggi non è un motivo sufficiente per farne a meno sempre e comunque.
Augusto
Cavadi
Versione
originale su “Adista/Segni Nuovi”, n. 36 del 19.10.2024
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