Nel 2004 un nutrito gruppo di organizzazioni (fra cui Arci, Acli, Mir, Movimento nonviolento…) hanno costituito la Rete Italiana per il Disarmo. La dicitura si presta ad equivoci: infatti può suggerire solo un rifiuto (no alle armi), mentre in realtà il coordinamento delle associazioni avanza molte proposte in positivo (tra cui l’istituzione di una struttura statale per la Difesa popolare nonviolenta). Dieci anni dopo (nel 2014) alla costellazione precedente si è affiancata la Rete della Pace, anch’essa costituita da un considerevole numero di sigle (fra cui Agesci, Auser, Libera, Un ponte per…). Data l’affinità di intenti, le due reti nel 2020 hanno saggiamente deciso di confluire nella Rete Italiana Pace e Disarmo, nel cui sito web ( https://retepacedisarmo.org/) è possibile attingere tutte le informazioni, le documentazioni e i chiarimenti che si possano desiderare.
La
breve premessa ‘storica’ per precisare che non tutti i cittadini procedono da
emergenza a emergenza, da allarme ad allarme, ma ci sono anche delle minoranze
che si intestano delle cause meritevoli di attenzione (come il contrasto alla
mafia o alla violenza sulle donne o, appunto, alle guerre) e le perseguono
caparbiamente, metodicamente, anche negli intervalli in cui l’opinione pubblica
si occupa di altro.
Ad
esempio l’appello che da pochi giorni è stato lanciato dalla Rete Italiana
Pace e Disarmo, pur legato alla contingenza degli attuali conflitti
bellici, si configura non come un fungo
isolato bensì come una tappa di un percorso che parte da lontano. Nel manifesto
si dà voce a quella che, secondo i sondaggi, sarebbe l’opinione maggioritaria
nel Paese, anche se i partiti presenti in Parlamento (in qualche caso perfino
all’opposizione del Governo) fanno finta di non accorgersene: “Stati e Governi
europei hanno scommesso sul riarmo per mantenere la supremazia ‘occidentale’
sul mondo attraverso il rafforzamento dell’Alleanza Atlantica, anziché
investire sulla diplomazia, sul dialogo, sul diritto internazionale e sulle
Nazioni Unite per affermare un mondo di pace e collaborazione paritaria tra i
popoli, anche di fronte a sfide globali come il riscaldamento climatico. Un
percorso forzato che arriva addirittura a prospettare i bond comuni europei per
l’investimento nelle armi, oppure la proposta di tenere fuori dal patto di
stabilità le spese militari. Sembra proprio che l’Europa abbia smarrito la sua
mission originaria (basti citare il Manifesto di Ventotene): mentre cresce
l'idea di un'Europa come fortezza difensiva da un'umanità inerme che approda ai
nostri confini fuggendo da guerre, fame, miseria e cambiamenti climatici,
assistiamo attoniti al rafforzamento dei nazionalismi attraverso un miope e
pericoloso militarismo, che storicamente nel nostro continente sono stati
detonatori di guerre”.
Un
riferimento specifico non poteva mancare al “grottesco doppio standard di
scelte politiche rispetto alla tragedia che sta avvenendo in Palestina e che ha
assunto da tempo proporzioni sconvolgenti e inaccettabili”: mentre si decidono
“comprensibili sanzioni alla Federazione Russa”, si consente all’attuale
governo israeliano di sterminare un popolo per colpire la banda di terroristi
di cui la stragrande maggioranza di quella popolazione è la prima vittima.
L’appello
del documento è rivolto, al di là degli schieramenti partitici, a quanti
vogliano
“costruire
posizioni condivise, responsabili e coraggiose, a partire da preoccupazioni e
domande condivise” quali, ad esempio: “Come rilanciare in Italia lo spirito e
la lettera dell’art. 11 della Costituzione come barriera insormontabile contro
ogni bellicismo? Come operare nei confronti dell’UE per contrastare le posizioni
belliciste oggi di gran lunga maggioritarie? A cosa ci porterà
la scelta di proseguire il processo di allargamento della NATO, della
deterrenza militare/nucleare? Come costruire un robusto pensiero pacifista e
nonviolento, plurale e unitario, in grado di comprendere tutte le spinte di
diversa matrice ideale, culturale e politica verso la pace, nella prospettiva
di un nuovo pacifismo in grado di rappresentare e coinvolgere la grande maggioranza
delle popolazioni? Siamo pronti a farlo in maniera strutturale, andando a
colpire il cuore di un sistema di interessi militari-industriali-finanziari che
con l'aumento delle spese militari e il rafforzamento del commercio di armi
drena risorse economiche dall'ambito pubblico e sociale per favorire gli
interessi di pochi, legati a doppio filo con i poteri politici globali che
traggono profitto dalle guerre?”
Dopo
il Sessantotto, con le sue ambiguità ma anche con le sue indubbie conquiste,
l’umanità sembra aver spedito in soffitta ogni ideale ‘utopico’: ma se in ogni
generazione, da millenni, non ci fosse stato qualcuno capace di pensare
l’impensato, saremmo molto lontano dalle caverne e dalle clave?
Augusto
Cavadi
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originale pubblicata il 25.9.2024 su:
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