Ieri, 15 settembre, c’è stata la ricorrenza del trentunesimo anniversario dell’uccisione per mano mafiosa di don Pino Puglisi. Come ogni anno, pensiamo che la Chiesa italiana sia invitata a riscoprire e a ripercorrere il martirio del presbitero siciliano per alimentare una pastorale in grado di annunciare la netta incompatibilità tra la mafia e l’annuncio cristiano.
Il recente libro di Augusto Cavadi e Cosimo Scordato (Padre Pino Puglisi. Un leone che ruggisce di disperazione, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2023, 18 euro) consente – oltre a tratteggiare il profilo teologico, culturale e pastorale del sacerdote palermitano – una riflessione su alcuni temi che riguardano la società e la Chiesa del recente passato e della stringente attualità. Per via di simile caratteristica diverse sono le sollecitazioni che provengono dal testo. Uno degli stimoli riguarda l’espressione “società cristiana” usata di solito dagli storici, dai sociologi e dai teologi.
La società cristiana era quel regime – presente in Italia grossomodo sino alla fine del secondo conflitto mondiale – nel quale il cattolicesimo si configurava non solo come la confessione cristiana a cui aderiva, in un modo o in un altro, quasi l’intera popolazione ma anche rappresentava l’asse portante sul quale era amalgamata l’intera infarinatura culturale del Paese. Nel corso dei secoli la società cristiana ha generato alcune positività alle quali, però, si associano una serie di devianze che in parte possiamo ancora rilevare nella nostra cultura e nella vicenda di Puglisi.
Il tema della società cristiana emerge indirettamente dalle parole degli autori che riflettono su come sia stato possibile che in una terra ricca di cattolici, di sacerdoti, di parrocchie e di vescovi sia stato ucciso un prete. Ciò è avvenuto poiché fra gli effetti degenerati di quel tipo di società vi era – e talvolta ancora vi è – una modalità d’intendere il ministero presbiterale, e in genere il vissuto cristiano, come dedito in modo esclusivo alle preghiere, ai riti, alle liturgie e alle processioni. Difatti tutto ciò che riguardava la politica, la vita della città e le ragioni delle ingiustizie non poteva configurare fra gli interessi dei credenti – o meglio della religione – e, a maggior ragione, dei presbiteri. Inoltre, in simile ambientazione culturale, la mafia assumeva dalla religione il linguaggio, le movenze e i rituali per costruirsi una sorta di teologia e di liturgia che rimandavano ad una soggettività divina distante dal Dio luce, amore e tenerezza rivelato da Gesù Cristo. Il Dio dei mafiosi, infatti, è tenebroso, inarrivabile e pone al centro la pratica sacrificale.
In una contestualizzazione di questo tipo la mafia ha inteso la Chiesa come uno spazio neutro, non oppositivo alla sua azione e talvolta addirittura fiancheggiatore. Quando, nel caso storico-concreto narrato dai due autori, don Pino Puglisi giunge a Brancaccio e avvia una pastorale sistematica di annuncio del Vangelo e perciò di promozione umana e di lotta all’illegalità organizzata, crolla tutto il costrutto culturale partorito dalla degenerazione di taluni aspetti della società cristiana. Da questo punto di vista la vicenda di padre Puglisi si delinea come quella di un novatore cioè di un facitore di storia in grado di trasformare le vicende di una piccola comunità periferica e, quindi, di cambiare rispetto al passato. Così il parroco siciliano ha esplicitato in modo netto l’incompatibilità tra la mafia, portatrice di morte, e il messaggio cristiano promotore di una cultura della vita. In quest’opera – un po’ come accade a tutti i novatori – padre Pino restò solo o quasi. A tal proposito gli autori scrivono del «silenzio degli onesti» e di «mandanti inconsapevoli» per registrare fra le altre cose che il mondo cattolico – ieri come oggi – non si rivela né migliore né peggiore del resto della comunità civile, ma semplicemente uguale a questa. In tale visione il Vangelo resta distante dalla quotidianità e pertanto il cristianesimo non permette quello scatto morale e civile che sembra richiesto chiaramente dalle istanze evangeliche e del magistero ecclesiale.
Come emerge bene dal volume, la vicenda di Puglisi manifesta uno stile di sequela evangelica capace di generare rilevanza sociale. Difatti don Pino non si limitava alle liturgie, alle preghiere, alle benedizioni e alle processioni ma si occupava di evasione scolastica, di disoccupazione, dei servizi sociali, dei diritti dei cittadini di Brancaccio. In tal modo mostrò come la Chiesa non possa restare neutra dinanzi alla mafia ma sia, invece, chiamata a optare per un impegno di formazione, di denuncia, di conversione e di responsabilità civica. Acutamente gli autori sottolineano che per interpretare al meglio simile opera non possiamo usare soltanto le categorie della sociologia, della pedagogia, della politologia e dell’antropologia perché Puglisi non fu un operatore del terzo settore o un educatore di comunità ma un cristiano che annunciava il Regno dei cieli. Allora la testimonianza del sacerdote siciliano va interpretata nell’orizzonte teologico, e specificatamente cristologico, per comprendere la radice e la finalità della sua attività. Così il messaggio cristiano non è destinato in modo prioritario al dominio e all’organizzazione della dimensione politica. Tuttavia dagli effetti dell’annuncio evangelico affiora una rilevanza sociale in grado di mutare i destini delle comunità umane. In questo orizzonte, l’impegno del parroco di Brancaccio teso verso una società più giusta non è un’aggiunta opzionale al suo ministero bensì una parte integrante dello stesso poiché tra Vangelo e promozione umana esiste una connessione inscindibile. Da ciò si evince che la mafia è un’organizzazione che impedisce lo sviluppo dell’uomo e delle comunità pertanto i credenti sono chiamati a lottare contro la sua presenza nei territori.
Sulla scia della testimonianza di Puglisi, a parere degli autori possiamo affermare che l’opzione connessa allo schierarsi contro la mafia deve condurre ad un progetto pedagogico-politico fondato sui valori costituzionali i quali sono un punto di riferimento per credenti e non. In questo percorso, i diversi approcci etici e religiosi presenti nelle nostre comunità possono realizzare insieme una lunga parte del cammino progettuale. Invece, al suo interno, la Chiesa è invitata a ripensare l’orizzonte formativo dei suoi gruppi e delle sue associazioni per offrire un servizio educativo e di cittadinanza attiva all’intera società. La rilettura del martirio di don Pino proposta dal volume di Augusto Cavadi e Cosimo Scordato invita la Chiesa a riflettere affinché siano generati nuovi spazi e stili di ministerialità liberante a servizio della promozione umana. Questo significa cominciare a interpretare l’impegno nella società e nella politica come mezzo ordinario per accogliere e vivere, nel nostro tempo, il dono della santità offerto dal Signore.
Rocco Gumina
Link all'originale:
https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/don-puglisi-e-la-chiesa-che-verra/
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