Piero Gobetti è stato una delle figure più significative della cultura italiana del secolo scorso: ha scritto saggi, fondato riviste, avviato una casa editrice. Torinese, ha amato la Sicilia al punto da recarvisi in viaggio di nozze nel 1923 e da tornarvi l’anno successivo per coltivare i rapporti con i suoi estimatori. In questa seconda occasione, Mussolini invia un telegramma al prefetto di Torino: “Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia in Sicilia stop. Prego informarmi e vigilare per render nuovamente difficile vita questo insulso oppositore governo e fascismo”.
Il rapporto
di Gobetti con il mondo culturale siciliano è a doppio senso: da una parte collabora
attivamente, con una ventina di articoli, con il giornale “L’Ora” sino al 1925
(anno che si apre con il famigerato discorso del 3 gennaio in cui Mussolini
annunzia l’instaurazione della dittatura); ma, dall’altra parte, ospita nelle
proprie riviste firme prestigiose come Giovanni Gentile, Giuseppe Lombardo
Radice, Giuseppe Antonio Borgese, Pietro Mignosi, Gaetano Mosca e don Luigi
Sturzo. Soprattutto sulla celebre testata “Rivoluzione liberale” si “attaccava
con coraggio il sistema capitalistico che aveva separato con spregiudicatezza
il Nord industrializzato e benestante da un Sud agricolo e pervaso dalla
miseria” (G. Finocchiaro Chimirri).
Questo
giovane alto, magro e un po’ allampanato, con “un sorriso quasi perenne di
fanciullone ingenuo” (come lo descrive Giuseppe Sciortino), ha un carattere di
ferro. “Che ho a che fare io con gli schiavi?” si chiede quando gli viene
impedita ogni manifestazione di pensiero. E la risposta è l’auto-esilio a
Parigi. Ma gli arresti, le percosse, le amarezze lo stroncano, dopo pochi mesi,
nel 1926. Non gli hanno consentito di raggiungere neppure il venticinquesimo
compleanno.
Augusto
Cavadi
www.augustocavadi.com
* Dal bimestrale cartaceo “Il Gattopardo/Sicilia” (Giugno 2024)
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