Il “Piccolo lessico del fine-vita”, curato della Pontificia Accademia per la Vita, sta suscitando commenti di cauto consenso per le – sia pur parziali – aperture al dialogo con la bioetica ‘laica’. In controtendenza si registrano meno numerose le reazioni critiche, come l’intervento a firma di Francesco Farri, sul “Notiziario del Centro Studi Rosario Livatino” del 10.8.2024 che elenca una lunga serie di obiezioni riassunte, dall’autore stesso, all’inizio dell’ampia e articolata trattazione: “l’impostazione del testo appare eccessivamente accondiscendente rispetto alle istanze più lontane dall’antropologia cristiana, nella misura in cui rinuncia a compiere il passaggio conclusivo del ragionamento, ossia – in prospettiva laica – dimostrare che una delle tesi oggetto del dialogo può essere vera in senso oggettivo a discapito delle altre e – in prospettiva religiosa – che l’oggettiva Verità risiede nel messaggio di Gesù Cristo, cui peraltro il libro riconosce valore di «senso etico universale»”.
Chiariamo
subito che, secondo me, la critica ai pronunciamenti del Magistero cattolico (a
maggior ragione quando, come in questo caso, più che di una dichiarazione
ufficiale si tratta di un documento orientativo da parte di un’istituzione
vaticana con compiti di studio e di consulenza a servizio del papa e dei
vescovi) è legittima da parte non solo (come è ovvio) dei non-cattolici ma
anche dei cattolici. Ciò premesso non posso non notare due contraddizioni.
La
prima: che gli ambienti cattolici conservatori, per tradizione propensi
all’accettazione docile degli insegnamenti più o meno ufficiali, in era
bergogliana tendono all’ipercritica (ben sapendo, come in questo caso, che si
parla a nuora perché suocera – sul più alto soglio – intenda). Viene dunque
spontaneo chiedersi perché non si decidano a una posizione più coerente: o
perseverare nella fiducia (sovrannaturale) nell’assistenza perenne dello
Spirito Santo sul pontefice e sui suoi più stretti collaboratori o ammettere
che nessuna questione è chiusa se Roma parla (e che dunque sono legittime anche
le critiche a questo papato dal fronte progressista riformatore).
Una
seconda contraddizione la trovo nel nome del giudice a cui è intestato questo
Centro studi che, come ho cercato di dimostrare nel mio piccolo volumetto Rosario
Livatino un laico a tutto tondo (Di Girolamo, 2021), è stato certamente un
cattolico credente e praticante, ma non “un ‘integralista’, un intollerante, un
crociato di valori ‘non negoziabili’: visse, parlò, operò e morì da ‘laico’ ” (p. 26). Non è senza
significato che anche persone, a lui vicine in vita, abbiano attestato che egli
si riconoscesse nel detto di Pierre l’Eremita (ricopiato in una sua agenda): “Alla fine
della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”. Condivideva il giovane Livatino le tesi del
Magistero cattolico degli anni Ottanta su fecondazione artificiale, eutanasia
etc. ? Certamente. Riterrebbe oggi – come si legge in un orribile libretto a
più mani del 2016, Rosario Livatino il giudice santo, a cura di D.
Airoma – che “le paventate riforme” legislative su queste tematiche
rappresenterebbero “la consacrazione di desideri senza limiti, che
costituiscono il frutto di una mentalità da relativismo mafioso aggressivo e
totalitario” (pp. 54- 57)? Neppure per sogno (anzi, per incubo).
Comunque,
prescindendo dalle contraddizioni ‘interne’ alle posizioni espresse in questo
testo ospitato dal Centro studi “Rosario Livatino” di Roma, non posso tacere
una domanda radicale: su quali basi esegetiche e teologiche l’autore afferma
che “l’oggettiva Verità risiede nel messaggio di Gesù Cristo”? Si badi bene:
nel contesto è evidente che non ci si riferisce alla valenza religiosa della
“Verità” (e già da questo punto di vista la teologia contemporanea si interroga
se il messaggio evangelico sia vero interamente ed esclusivamente), ma alla
valenza etica. Dove, di grazia, il Gesù annunziato nel Secondo Testamento si è
espresso – e in maniera esplicita, netta, autorevole – in questioni come
“suicidio assistito”, “eutanasia”, “nutrizione e idratazione artificiali”, “proporzionalità
dei trattamenti” sui malati terminali, “disposizioni anticipate di trattamento”
(testamento biologico), rilevanza degli “oneri economici” nella valutazione
dell’accanimento terapeutico, “medicina intensiva”, “cure palliative” ?
Ammesso
– e per nulla concesso – che nei testi biblici ci fossero indicazioni etiche di
questo tenore su queste tematiche, tali indicazioni impedirebbero ai credenti
di cercare (come dice il documento criticato da Farri in un passaggio da lui
correttamente riportato) “mediazioni sul piano giuridico in una società
pluralista e democratica, in cui anche i credenti sono chiamati a partecipare
alla ricerca del bene comune che la legge intende promuovere”? Non è forse vero
che “contribuire a individuare un punto di mediazione accettabile fra posizioni
differenti è un modo per favorire un consolidamento della coesione sociale e
una più ampia assunzione di responsabilità verso quei punti comuni che sono
stati insieme raggiunti”? O, mentre ci sgoliamo per condannare il
fondamentalismo ebraico o islamico, vogliamo contrabbandare sotto banco, in
casa nostra (nostra ?), il vecchio fondamentalismo cattolico?
Su un aspetto della questione mi sono trovato in perfetta sintonia con questo dotto intervento in perfetto stile giuridico: lo stupore, tra l’ammirato e il divertito, per i capitomboli ermeneutici e le acrobazie argomentative con cui ogni pronunciamento ufficiale della Chiesa cattolica si sforza di dimostrare che, nonostante le apparenze, non si sta dicendo il contrario di ciò che si è sostenuto sino a quel momento.
Augusto Cavadi
L’edizione originale qui: https://www.adista.it/articolo/72359
1 commento:
Il testo è stato riprodotto anche nella versione cartacea di "Adista/Notizie", 33, del 28.9.2024
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