lunedì 12 agosto 2024

Il “Piccolo lessico del fine-vita” e le critiche dalla Destra cattolica

 Il “Piccolo lessico del fine-vita”, curato della Pontificia Accademia per la Vita, sta suscitando commenti di cauto consenso per le – sia pur parziali – aperture al dialogo con la bioetica ‘laica’. In controtendenza si registrano meno numerose le reazioni critiche, come l’intervento a firma di Francesco Farri, sul “Notiziario del Centro Studi Rosario Livatino” del 10.8.2024 che elenca una lunga serie di obiezioni riassunte, dall’autore stesso, all’inizio dell’ampia e articolata trattazione: “l’impostazione del testo appare eccessivamente accondiscendente rispetto alle istanze più lontane dall’antropologia cristiana, nella misura in cui rinuncia a compiere il passaggio conclusivo del ragionamento, ossia – in prospettiva laica – dimostrare che una delle tesi oggetto del dialogo può essere vera in senso oggettivo a discapito delle altre e – in prospettiva religiosa – che l’oggettiva Verità risiede nel messaggio di Gesù Cristo, cui peraltro il libro riconosce valore di «senso etico universale»”.

Chiariamo subito che, secondo me, la critica ai pronunciamenti del Magistero cattolico (a maggior ragione quando, come in questo caso, più che di una dichiarazione ufficiale si tratta di un documento orientativo da parte di un’istituzione vaticana con compiti di studio e di consulenza a servizio del papa e dei vescovi) è legittima da parte non solo (come è ovvio) dei non-cattolici ma anche dei cattolici. Ciò premesso non posso non notare due contraddizioni.

La prima: che gli ambienti cattolici conservatori, per tradizione propensi all’accettazione docile degli insegnamenti più o meno ufficiali, in era bergogliana tendono all’ipercritica (ben sapendo, come in questo caso, che si parla a nuora perché suocera – sul più alto soglio – intenda). Viene dunque spontaneo chiedersi perché non si decidano a una posizione più coerente: o perseverare nella fiducia (sovrannaturale) nell’assistenza perenne dello Spirito Santo sul pontefice e sui suoi più stretti collaboratori o ammettere che nessuna questione è chiusa se Roma parla (e che dunque sono legittime anche le critiche a questo papato dal fronte progressista riformatore).

Una seconda contraddizione la trovo nel nome del giudice a cui è intestato questo Centro studi che, come ho cercato di dimostrare nel mio piccolo volumetto Rosario Livatino un laico a tutto tondo (Di Girolamo, 2021), è stato certamente un cattolico credente e praticante, ma non “un ‘integralista’, un intollerante, un crociato di valori ‘non negoziabili’: visse, parlò, operò  e morì da ‘laico’ ” (p. 26). Non è senza significato che anche persone, a lui vicine in vita, abbiano attestato che egli si riconoscesse nel detto di Pierre l’Eremita  (ricopiato in una sua agenda): “Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”.   Condivideva il giovane Livatino le tesi del Magistero cattolico degli anni Ottanta su fecondazione artificiale, eutanasia etc. ? Certamente. Riterrebbe oggi – come si legge in un orribile libretto a più mani del 2016, Rosario Livatino il giudice santo, a cura di D. Airoma – che “le paventate riforme” legislative su queste tematiche rappresenterebbero “la consacrazione di desideri senza limiti, che costituiscono il frutto di una mentalità da relativismo mafioso aggressivo e totalitario” (pp. 54- 57)? Neppure per sogno (anzi, per incubo).

Comunque, prescindendo dalle contraddizioni ‘interne’ alle posizioni espresse in questo testo ospitato dal Centro studi “Rosario Livatino” di Roma, non posso tacere una domanda radicale: su quali basi esegetiche e teologiche l’autore afferma che “l’oggettiva Verità risiede nel messaggio di Gesù Cristo”? Si badi bene: nel contesto è evidente che non ci si riferisce alla valenza religiosa della “Verità” (e già da questo punto di vista la teologia contemporanea si interroga se il messaggio evangelico sia vero interamente ed esclusivamente), ma alla valenza etica. Dove, di grazia, il Gesù annunziato nel Secondo Testamento si è espresso – e in maniera esplicita, netta, autorevole – in questioni come “suicidio assistito”, “eutanasia”, “nutrizione e idratazione artificiali”, “proporzionalità dei trattamenti” sui malati terminali, “disposizioni anticipate di trattamento” (testamento biologico), rilevanza degli “oneri economici” nella valutazione dell’accanimento terapeutico, “medicina intensiva”, “cure palliative” ?

Ammesso – e per nulla concesso – che nei testi biblici ci fossero indicazioni etiche di questo tenore su queste tematiche, tali indicazioni impedirebbero ai credenti di cercare (come dice il documento criticato da Farri in un passaggio da lui correttamente riportato) “mediazioni sul piano giuridico in una società pluralista e democratica, in cui anche i credenti sono chiamati a partecipare alla ricerca del bene comune che la legge intende promuovere”? Non è forse vero che “contribuire a individuare un punto di mediazione accettabile fra posizioni differenti è un modo per favorire un consolidamento della coesione sociale e una più ampia assunzione di responsabilità verso quei punti comuni che sono stati insieme raggiunti”? O, mentre ci sgoliamo per condannare il fondamentalismo ebraico o islamico, vogliamo contrabbandare sotto banco, in casa nostra (nostra ?), il vecchio fondamentalismo cattolico?

Su un aspetto della questione mi sono trovato in perfetta sintonia con questo dotto intervento in perfetto stile giuridico: lo stupore, tra l’ammirato e il divertito, per  i capitomboli ermeneutici e le acrobazie argomentative con cui ogni pronunciamento ufficiale della Chiesa cattolica si sforza di dimostrare che, nonostante le apparenze, non si sta dicendo il contrario di ciò che si è sostenuto sino a quel momento.

Augusto Cavadi

L’edizione originale qui: https://www.adista.it/articolo/72359

 

 

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