Testo su cui si è basato Augusto Cavadi per introdurre il seminario del 22.8.224
alla Settimana di filosofia per non...filosofi a Vallombrosa
Kant ‘laicizza’ il discorso di
Erasmo
A cavallo fra il Quattrocento
e il Cinquecento Erasmo da Rotterdam aveva prefigurato la necessità di
organismi internazionali che avessero il compito, e il potere, di dirimere i
conflitti fra gli Stati evitando lo scoppio delle guerre. Ma, ancora
influenzato dalla mentalità medievale, pensa al papa come titolare di questa
mediazione autorevole e, comunque, la invoca in nome di Dio e della fedeltà al
messaggio di pace del vangelo.
L’idea di una soluzione
giuridico-istituzionale è ripresa due secoli dopo da Kant, ma in maniera molto
più articolata e in un orizzonte del tutto laico, razionale, indipendente da
istanze teologiche: per lui la politica dev’essere subordinata alla morale, ma
la morale non alla religione.
Il testo principale di
riferimento - Per
la pace perpetua - è stato scritto da Kant in piena maturità (verso i 70 anni)[1],
ma in queste brevi note lo integreremo con sue considerazioni esposte (prima e
dopo di questo celebre saggio) in altri scritti dedicati alla storia, e
dunque alla politica e al diritto, nel 1795.
La concezione dell’essere umano
Come avviene (esplicitamente o
implicitamente) in tutte le teorie politiche, alla base di ogni progetto vi è
una certa interpretazione dell’essere umano. Nel caso di Kant, l’uomo non è del
tutto malvagio, ma neppure pura razionalità senza passioni anche egoistiche: la
sua condizione è piuttosto di “socievole insocievolezza”, oscilla fra desiderio
di isolamento e necessità di convivenza. Tale condizione lo espone se non alla
guerra continua, al rischio della stessa che è – erasmianamente – la sintesi di
tutte le calamità che l’uomo possa procurare a sé stesso. E che dunque, almeno
come ideale da perseguire, cancellata dalla storia.
Poiché “lo stato di pace tra uomini
assieme conviventi non è affatto uno stato di natura”, “dev’essere istituito”.
Come fare?
I 3 articoli di una Costituzione civile
mondiale
In un certo senso, e sino a un certo
punto, come siamo riusciti a sradicare – o almeno rendere improbabili – le
guerre civili far cittadini all’interno dello stesso Stato: con un patto
costituzionale che ci ha traghettati dallo status naturalis a far parte
di “una qualche costituzione civile” (Pp, 45).
Tale costituzione dovrebbe basarsi su 3 articoli.
·
In
base al primo, “la costituzione civile di ogni Stato dev’essere
repubblicana” . Poiché scrive in Prussia, monarchia autocratica, ma è un
entusiasta ammiratore della Rivoluzione francese ancora in corso, Kant deve
giocare su un filo da equilibrista: da una parte, “ogni vera repubblica, ora,
non è e non può non essere altro che un sistema rappresentativo del popolo,
avente lo scopo di proteggere in nome del popolo (…) i diritti dei cittadini
stessi”; dall’altra, “è provvisoriamente (giacché essa non si realizza in modo
tanto celere) dovere dei monarchi, sebbene comandino autocraticamente,
governare tuttavia repubblicanamente[2].
·
Il
secondo articolo dovrebbe recitare: “Il diritto internazionale deve
fondarsi sopra una federazione di liberi Stati”. Kant esclude esplicitamente la
formazione di un unico Stato mondiale, “uno Stato di popoli”, perché
prematuro rispetto alla coscienza media attuale, ma auspica almeno “una federazione di popoli”:
“Come l’attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, che li spinge
a preferire di azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che sottoporsi a una
coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire una folle libertà a una
libertà ragionevole, noi lo riguardiamo con profondo disprezzo e lo
consideriamo barbarie, rozzezza, degradazione brutale dell’umanità, così si
dovrebbe pensare che popoli civili (di cui ognuno forma uno Stato per sé)
dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così
degradante. Al contrario ogni Stato ripone piuttosto la propria maestà (…) nel
non sottoporsi a coazione legale esterna di sorta, e lo splendore del sovrano
si fa consistere nell’avere al suo comando, senza che egli stesso si esponga al
pericolo, molte migliaia di uomini pronti a sacrificarsi per una causa di cui
ad essi non importa nulla”. “Se per diritto internazionale si intende il
diritto alla guerra (…), esso non significa propriamente nulla. Si dovrebbe
infatti intendere nel senso che uomini che pensano in tal modo hanno la sorte
che si meritano, se si distruggono a vicenda e cercano così la pace eterna
nella vasta fossa che copre coi loro autori tutti gli orrori della violenza”.
·
Il
terzo articolo recita: “Il diritto cosmopolitico dev’essere limitato
alle condizioni di una universale ospitalità”. “Non si tratta di filantropia” –
precisa Kant – “ma di diritto, e quindi ospitalità significa il diritto di uno
straniero che arriva sul territorio di un altro Stato di non essere da questo
trattato ostilmente”. Il filosofo non tematizza la questione dal punto di vista
odierno dei flussi migratori, ma l’affronta – autocriticamente – dal punto di
vista del colonialismo europeo che abusa del “diritto di visita, spettante
a tutti gli uomini”: “Questo diritto di ospitalità, cioè questa facoltà degli
stranieri sul territorio altrui, non si estende oltre le condizioni richieste
per render possibile un tentativo di traffico cogli antichi abitanti. In questo
modo parti del mondo lontane entrano in pacifici rapporti tra loro, e questi
rapporti diventano col tempo formalmente giuridici e avvicinano sempre più il
genere umano a una costituzione cosmopolitica. Se si paragona con questo la
condotta inospitale degli Stati civili, soprattutto degli Stati
commerciali del nostro continente, si rimane inorriditi a vedere l’ingiustizia
che essi commettono nel visitare terre e popoli stranieri (il che per essi
significa conquistarli). L’America, i paesi abitati dai negri, le Isole
delle spezie, il Capo di Buona Speranza ecc., all’atto della loro scoperta
erano per essi terre di nessuno, non facendo essi calcolo alcuno degli
indigeni. Nell’India orientale (Indostan), col pretesto di stabilire stazioni
commerciali, introdussero truppe straniere e ne venne l’oppressione degli
indigeni, l’incitamento dei diversi Stati del paese a guerre sempre più estese,
carestia, insurrezioni, tradimenti e tutta la lunga serie di mali che possono
affliggere l’umanità”. Kant, che parla sempre da filosofo, non dimentica di
essere personalmente un cristiano e, dunque, non può fare a meno di notare: “E
questo fanno gli Stati che ostentano una grande religiosità; e mentre
commettono ingiustizie con la stessa facilità con cui berrebbero un bicchier
d’acqua, vogliono passare per esempi rari in fatto di osservanza del diritto”.
Qualche osservazione a margine per
chiarire che Kant non è un ingenuo.
Infatti:
* distingue
(non sempre con nettezza) la guerra da altri generi di conflitti (come la
competizione industriale e commerciale): questi ultimi (sia tra individui che
fra popoli) sono sempre benefici ai fini del progresso dell’umanità.
* Quanto alle guerre persino
esse hanno avuto degli effetti positivi
se non altro perché hanno evidenziato la necessità di andare oltre la fase
storica millenaria sinora attraversata. Tuttavia , nel chiudere il bilancio dei
vantaggi e svantaggi della guerra, Kant cita un detto antico: "La guerra
e' un male, perche' fa piu' malvagi di quanti ne toglie di mezzo". Commenta
Enrico Peyretti: “Dunque, chi vince nella guerra? Il male. La pretesa della
vittoria armata e' di sradicare un male. Ma essa e' radice di altro maggiore
male. Oh, se la guerra togliesse di mezzo i malvagi! Ameremmo la guerra come
amiamo il bene! Ma qui e' l'immenso inganno: sempre la guerra si ripresenta
illudendo e ipnotizzando i buoni stolti con la promessa di togliere dal mondo
la malvagita' togliendo chi la incarna. E sempre il risultato e' che chi fa la
guerra diventa malvagio. Se siamo noi a voler togliere di mezzo uno o piu'
malvagi, alla fine i malvagi saranno molti: noi” (Contro la vittoria,
riprodotta anche “Donna, vita, liberta' ”n. 460 del 4.4.2024).
- Non pensa che la confederazione di Stati in grado di
assicurare la pace perpetua sia dietro l’angolo della storia: è un’utopia, ma
va tenuta presente come un ideale verso cui tendere gradualmente passo dopo
passo.
Le obiezioni di Hegel
a Kant
Se per Kant la
guerra (intesa come conflitto bellico armato) è un male e va eliminato dalla
storia, per Hegel non è né possibile né auspicabile che ciò avvenga. Il celebre
frammento di Eraclito “Guerra è la madre di tutte le cose” non esprime solo un
dato di fatto, ma anche un principio di diritto.
L’unico
protagonista della storia è lo Spirito assoluto immanente
·
Per
capire questa tesi in sé forse ripugnante (e comunque comprendere non implica
necessariamente condividere) bisogna
inserirla nel sistema complessivo del filosofo tedesco per il quale “la verità
è l’intero”, non il dettaglio particolare.
·
Kant
parla ancora dal punto di vista di noi esseri umani, Hegel ritiene di essere il
portavoce della Totalità (che chiama anche Dio o Spirito o Assoluto o Ragione o
Idea). La storia del nostro pianeta è la storia della graduale
auto-realizzazione (e conseguente auto-manifestazione) di questo Spirito
assoluto che si affaccia con le prime forme di vita biologica, poi diventa
soggettività psicologica, poi coscienza collettiva: è solo a questo stadio –
quando l’io diventa noi – che si può iniziare a parlare propriamente di
Spirito.
·
Prima
di splendere in tutto il suo fulgore nell’arte, nelle mitologie religiose e
nelle costruzioni filosofiche, lo Spirito di rende visibile e tangibile nelle
istituzioni storiche principali: la famiglia, la società civile, lo Stato. Lo
Stato appare cronologicamente dopo le famiglie e le società, ma è il fondamento
che, per così dire retroattivamente, dà
senso a tali aggregati ed evita che la guerra di tutti contro tutti tra gli
individui (all’interno della famiglia) e tra le famiglie (all’interno della
società) distrugga l’umanità. Lo Stato è dunque l’istanza suprema (Stato
“etico”) che Hegel non esita a definire “l’ingresso di Dio nel mondo” (la piena
incarnazione del divino).
La storia è il “tribunale” che, grazie
alle guerre, rivela di volta in volta lo Stato più divino
· Tutto scorrerebbe
liscio se l’umanità fosse radunata e animata da un unico Stato. Di fatto però
ce ne sono molti e ognuno rivendica – legittimamente – la prerogativa di essere
un principio assoluto. Questa concorrenza assume i tratti del conflitto bellico
e ciò viene considerato da Hegel – a differenza di Kant che ne vedeva anche gli
aspetti deleteri – un fenomeno solo positivo: “Come il movimento dei venti
preserva il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia duratura,
così la guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una
pace duratura o addirittura perpetua”. Più precisamente egli pensa a due
effetti della guerra: all’interno di uno Stato,
rafforza l’unità interna fra i cittadini e scoraggia le rivoluzioni. (Va
ricordata però l’annotazione di un
discepolo: “Quindi,
le guerre moderne son fatte umanamente, e la persona non è in atteggiamento di
odio, di fronte alla persona. Tutt’al più, sopravvengono ostilità personali
agli avamposti: ma, nell’esercito come esercito, l’ostilità è qualcosa di
indeterminato, la quale vien meno, di fronte al dovere, che ciascuno rispetta
nell’altro”. Inoltre: “In essa è conservata la possibilità della pace, e,
quindi, per esempio, sono rispettati gli ambasciatori, e, per cui, più in
generale, essa non è fatta contro le istituzioni interne e la vita pacifica di
famiglia privata, né contro le persone private”).
·
Come risolvere dunque i conflitti fra uno
Stato e l’altro? Kant aveva ipotizzato che una confederazione di Stati potesse
svolgere in qualche modo il ruolo di arbitro nelle contese internazionali, ma
per Hegel sopra ogni Stato (che, in quanto divino, è già il massimo di
attuazione possibile di verità e giustizia) non si può ammettere nessuna
autorità. Non resta che un tribunale a poter decidere quale Stato, in una fase
storica, incarni il divino più pienamente di un altro in conflitto: la storia.
Essa emette le sue sentenze: le guerre. Chi vince, per il fatto che vince,
dimostrerà di essere lo strumento privilegiato della Ragione. Esattamente il
contrario di quanto sosteneva quel filone della saggezza ‘classica’ europea a
cui Erasmo da Rotterdam ha prestato voce: “Marte è un dio sciocco e balordo,
non meno cieco di Pluto o di Cupido, sempre o quasi sempre pronto ad
abbracciare la peggiore delle parti in causa”.
[1] In esordio si concede un po’ di ironia: accenna al
significato cimiteriale del titolo e si augura che il potere politico - fedele
alla linea tradizionale di snobbare i discorsi dei filosofi – eviti la briga di
censurare il saggio.
[2] “In sintesi, in questo primo articolo Kant definisce
la repubblica in base a tre fattori qualificanti: il suddito è cittadino (…),
la rappresentanza della sovranità e la divisione dei poteri” (M.Pancaldi, Nota
a Pp, 59 – 60).
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