giovedì 22 agosto 2024

DIBATTITO FRA KANT ED HEGEL SULLA GUERRA E LA PACE

 Testo su cui si è basato Augusto Cavadi per introdurre il seminario del 22.8.224

alla Settimana di filosofia per non...filosofi a Vallombrosa


Kant ‘laicizza’ il discorso di Erasmo

 

A cavallo fra il Quattrocento e il Cinquecento Erasmo da Rotterdam aveva prefigurato la necessità di organismi internazionali che avessero il compito, e il potere, di dirimere i conflitti fra gli Stati evitando lo scoppio delle guerre. Ma, ancora influenzato dalla mentalità medievale, pensa al papa come titolare di questa mediazione autorevole e, comunque, la invoca in nome di Dio e della fedeltà al messaggio di pace del vangelo.

L’idea di una soluzione giuridico-istituzionale è ripresa due secoli dopo da Kant, ma in maniera molto più articolata e in un orizzonte del tutto laico, razionale, indipendente da istanze teologiche: per lui la politica dev’essere subordinata alla morale, ma la morale non alla religione.

Il testo principale di riferimento - Per la pace perpetua - è stato scritto da Kant in piena maturità (verso i 70 anni)[1], ma in queste brevi note lo integreremo con sue considerazioni esposte (prima e dopo di questo celebre saggio) in altri scritti dedicati alla storia, e dunque alla politica e al diritto, nel 1795.

 

La concezione dell’essere umano

Come avviene (esplicitamente o implicitamente) in tutte le teorie politiche, alla base di ogni progetto vi è una certa interpretazione dell’essere umano. Nel caso di Kant, l’uomo non è del tutto malvagio, ma neppure pura razionalità senza passioni anche egoistiche: la sua condizione è piuttosto di “socievole insocievolezza”, oscilla fra desiderio di isolamento e necessità di convivenza. Tale condizione lo espone se non alla guerra continua, al rischio della stessa che è – erasmianamente – la sintesi di tutte le calamità che l’uomo possa procurare a sé stesso. E che dunque, almeno come ideale da perseguire, cancellata dalla storia.

Poiché “lo stato di pace tra uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura”, “dev’essere istituito”. Come fare?

 

I 3 articoli di una Costituzione civile mondiale

In un certo senso, e sino a un certo punto, come siamo riusciti a sradicare – o almeno rendere improbabili – le guerre civili far cittadini all’interno dello stesso Stato: con un patto costituzionale che ci ha traghettati dallo status naturalis a far parte di “una qualche costituzione civile” (Pp, 45).

Tale costituzione dovrebbe basarsi su 3 articoli.

·      In base al primo, “la costituzione civile di ogni Stato dev’essere repubblicana” . Poiché scrive in Prussia, monarchia autocratica, ma è un entusiasta ammiratore della Rivoluzione francese ancora in corso, Kant deve giocare su un filo da equilibrista: da una parte, “ogni vera repubblica, ora, non è e non può non essere altro che un sistema rappresentativo del popolo, avente lo scopo di proteggere in nome del popolo (…) i diritti dei cittadini stessi”; dall’altra, “è provvisoriamente (giacché essa non si realizza in modo tanto celere) dovere dei monarchi, sebbene comandino autocraticamente, governare tuttavia repubblicanamente[2].

·      Il secondo articolo dovrebbe recitare: “Il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi Stati”. Kant esclude esplicitamente la formazione di un unico Stato mondiale, “uno Stato di popoli”, perché prematuro rispetto alla coscienza media attuale, ma  auspica almeno “una federazione di popoli”: “Come l’attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, che li spinge a preferire di azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che sottoporsi a una coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire una folle libertà a una libertà ragionevole, noi lo riguardiamo con profondo disprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza, degradazione brutale dell’umanità, così si dovrebbe pensare che popoli civili (di cui ognuno forma uno Stato per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così degradante. Al contrario ogni Stato ripone piuttosto la propria maestà (…) nel non sottoporsi a coazione legale esterna di sorta, e lo splendore del sovrano si fa consistere nell’avere al suo comando, senza che egli stesso si esponga al pericolo, molte migliaia di uomini pronti a sacrificarsi per una causa di cui ad essi non importa nulla”. “Se per diritto internazionale si intende il diritto alla guerra (…), esso non significa propriamente nulla. Si dovrebbe infatti intendere nel senso che uomini che pensano in tal modo hanno la sorte che si meritano, se si distruggono a vicenda e cercano così la pace eterna nella vasta fossa che copre coi loro autori tutti gli orrori della violenza”.

·      Il terzo articolo recita: “Il diritto cosmopolitico dev’essere limitato alle condizioni di una universale ospitalità”. “Non si tratta di filantropia” – precisa Kant – “ma di diritto, e quindi ospitalità significa il diritto di uno straniero che arriva sul territorio di un altro Stato di non essere da questo trattato ostilmente”. Il filosofo non tematizza la questione dal punto di vista odierno dei flussi migratori, ma l’affronta – autocriticamente – dal punto di vista del colonialismo europeo che abusa del “diritto di visita, spettante a tutti gli uomini”: “Questo diritto di ospitalità, cioè questa facoltà degli stranieri sul territorio altrui, non si estende oltre le condizioni richieste per render possibile un tentativo di traffico cogli antichi abitanti. In questo modo parti del mondo lontane entrano in pacifici rapporti tra loro, e questi rapporti diventano col tempo formalmente giuridici e avvicinano sempre più il genere umano a una costituzione cosmopolitica. Se si paragona con questo la condotta inospitale degli Stati civili, soprattutto degli Stati commerciali del nostro continente, si rimane inorriditi a vedere l’ingiustizia che essi commettono nel visitare terre e popoli stranieri (il che per essi significa conquistarli). L’America, i paesi abitati dai negri, le Isole delle spezie, il Capo di Buona Speranza ecc., all’atto della loro scoperta erano per essi terre di nessuno, non facendo essi calcolo alcuno degli indigeni. Nell’India orientale (Indostan), col pretesto di stabilire stazioni commerciali, introdussero truppe straniere e ne venne l’oppressione degli indigeni, l’incitamento dei diversi Stati del paese a guerre sempre più estese, carestia, insurrezioni, tradimenti e tutta la lunga serie di mali che possono affliggere l’umanità”. Kant, che parla sempre da filosofo, non dimentica di essere personalmente un cristiano e, dunque, non può fare a meno di notare: “E questo fanno gli Stati che ostentano una grande religiosità; e mentre commettono ingiustizie con la stessa facilità con cui berrebbero un bicchier d’acqua, vogliono passare per esempi rari in fatto di osservanza del diritto”.

 

Qualche osservazione a margine per chiarire che Kant non è un ingenuo.

 

 Infatti:

 

* distingue (non sempre con nettezza) la guerra da altri generi di conflitti (come la competizione industriale e commerciale): questi ultimi (sia tra individui che fra popoli) sono sempre benefici ai fini del progresso dell’umanità.

* Quanto alle guerre persino esse  hanno avuto degli effetti positivi se non altro perché hanno evidenziato la necessità di andare oltre la fase storica millenaria sinora attraversata. Tuttavia , nel chiudere il bilancio dei vantaggi e svantaggi della guerra, Kant cita un detto antico: "La guerra e' un male, perche' fa piu' malvagi di quanti ne toglie di mezzo". Commenta Enrico Peyretti: “Dunque, chi vince nella guerra? Il male. La pretesa della vittoria armata e' di sradicare un male. Ma essa e' radice di altro maggiore male. Oh, se la guerra togliesse di mezzo i malvagi! Ameremmo la guerra come amiamo il bene! Ma qui e' l'immenso inganno: sempre la guerra si ripresenta illudendo e ipnotizzando i buoni stolti con la promessa di togliere dal mondo la malvagita' togliendo chi la incarna. E sempre il risultato e' che chi fa la guerra diventa malvagio. Se siamo noi a voler togliere di mezzo uno o piu' malvagi, alla fine i malvagi saranno molti: noi” (Contro la vittoria, riprodotta anche “Donna, vita, liberta' ”n. 460 del 4.4.2024).

- Non pensa che la confederazione di Stati in grado di assicurare la pace perpetua sia dietro l’angolo della storia: è un’utopia, ma va tenuta presente come un ideale verso cui tendere gradualmente passo dopo passo.

 

 

 

Le obiezioni di Hegel a Kant

 

Se per Kant la guerra (intesa come conflitto bellico armato) è un male e va eliminato dalla storia, per Hegel non è né possibile né auspicabile che ciò avvenga. Il celebre frammento di Eraclito “Guerra è la madre di tutte le cose” non esprime solo un dato di fatto, ma anche un principio di diritto.

 

L’unico protagonista della storia è lo Spirito assoluto immanente

·      Per capire questa tesi in sé forse ripugnante (e comunque comprendere non implica necessariamente condividere)  bisogna inserirla nel sistema complessivo del filosofo tedesco per il quale “la verità è l’intero”, non il dettaglio particolare.

·      Kant parla ancora dal punto di vista di noi esseri umani, Hegel ritiene di essere il portavoce della Totalità (che chiama anche Dio o Spirito o Assoluto o Ragione o Idea). La storia del nostro pianeta è la storia della graduale auto-realizzazione (e conseguente auto-manifestazione) di questo Spirito assoluto che si affaccia con le prime forme di vita biologica, poi diventa soggettività psicologica, poi coscienza collettiva: è solo a questo stadio – quando l’io diventa noi – che si può iniziare a parlare propriamente di Spirito.

·      Prima di splendere in tutto il suo fulgore nell’arte, nelle mitologie religiose e nelle costruzioni filosofiche, lo Spirito di rende visibile e tangibile nelle istituzioni storiche principali: la famiglia, la società civile, lo Stato. Lo Stato appare cronologicamente dopo le famiglie e le società, ma è il fondamento che, per così dire retroattivamente,  dà senso a tali aggregati ed evita che la guerra di tutti contro tutti tra gli individui (all’interno della famiglia) e tra le famiglie (all’interno della società) distrugga l’umanità. Lo Stato è dunque l’istanza suprema (Stato “etico”) che Hegel non esita a definire “l’ingresso di Dio nel mondo” (la piena incarnazione del divino).

 

La storia è il “tribunale” che, grazie alle guerre, rivela di volta in volta lo Stato più divino

 

·      Tutto scorrerebbe liscio se l’umanità fosse radunata e animata da un unico Stato. Di fatto però ce ne sono molti e ognuno rivendica – legittimamente – la prerogativa di essere un principio assoluto. Questa concorrenza assume i tratti del conflitto bellico e ciò viene considerato da Hegel – a differenza di Kant che ne vedeva anche gli aspetti deleteri – un fenomeno solo positivo: “Come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia duratura, così la guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua”. Più precisamente egli pensa a due effetti della guerra: all’interno di uno Stato,  rafforza l’unità interna fra i cittadini e scoraggia le rivoluzioni. (Va ricordata però l’annotazione di un discepolo: “Quindi, le guerre moderne son fatte umanamente, e la persona non è in atteggiamento di odio, di fronte alla persona. Tutt’al più, sopravvengono ostilità personali agli avamposti: ma, nell’esercito come esercito, l’ostilità è qualcosa di indeterminato, la quale vien meno, di fronte al dovere, che ciascuno rispetta nell’altro”. Inoltre: “In essa è conservata la possibilità della pace, e, quindi, per esempio, sono rispettati gli ambasciatori, e, per cui, più in generale, essa non è fatta contro le istituzioni interne e la vita pacifica di famiglia privata, né contro le persone private”).

·       Come risolvere dunque i conflitti fra uno Stato e l’altro? Kant aveva ipotizzato che una confederazione di Stati potesse svolgere in qualche modo il ruolo di arbitro nelle contese internazionali, ma per Hegel sopra ogni Stato (che, in quanto divino, è già il massimo di attuazione possibile di verità e giustizia) non si può ammettere nessuna autorità. Non resta che un tribunale a poter decidere quale Stato, in una fase storica, incarni il divino più pienamente di un altro in conflitto: la storia. Essa emette le sue sentenze: le guerre. Chi vince, per il fatto che vince, dimostrerà di essere lo strumento privilegiato della Ragione. Esattamente il contrario di quanto sosteneva quel filone della saggezza ‘classica’ europea a cui Erasmo da Rotterdam ha prestato voce: “Marte è un dio sciocco e balordo, non meno cieco di Pluto o di Cupido, sempre o quasi sempre pronto ad abbracciare la peggiore delle parti in causa”.



[1] In esordio si concede un po’ di ironia: accenna al significato cimiteriale del titolo e si augura che il potere politico - fedele alla linea tradizionale di snobbare i discorsi dei filosofi – eviti la briga di censurare il saggio.

 

[2] “In sintesi, in questo primo articolo Kant definisce la repubblica in base a tre fattori qualificanti: il suddito è cittadino (…), la rappresentanza della sovranità e la divisione dei poteri” (M.Pancaldi, Nota a Pp, 59 – 60).

 

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