mercoledì 31 luglio 2024

ERASMO DA ROTTERDAM: UN PIONIERE DEL PACIFISMO LAICO EVANGELICAMENTE INSPIRATO

 Per benemerita iniziativa del Centro Gandhi Edizioni, Rocco Altieri ha curato l’edizione italiana di B. Ligt, Erasmo nonviolento. La voce dell’Umanesimo in un’Europa dilaniata dalle guerra  (Pisa 2023). Erasmo (1466 – 1536) visse in un momento storico tra i più bellicosi della storia occidentale e la somiglianza con i nostri tempi risalta evidente. L’autore presenta Erasmo come pioniere della “scienza della pace” e il titolo italiano sarebbe stato, a mio avviso, più preciso se all’originale olandese fosse stato aggiunto “pacifista” piuttosto che “nonviolento” (anche per educare i lettori alla distinzione fra queste due categorie, ben chiarita da  Andrea Cozzo nel suo La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da sapere prima di condividerla o  rifiutarla, Di Girolamo, Trapani 2022, p. 11).

Nel contesto storico che gli appare manicomiale, Erasmo prova ad opporre la voce della saggezza più antica che, per lui , è un intreccio inseparabile di saggezza filosofica greco-romana e di saggezza teologica evangelica. Nella sua prima opera, Il disprezzo del mondo, “accanto alle settanta citazioni dai classici – Virgilio, Orazio, Ovidio, Terenzio, Lucano, in particolare Giovenale – ce ne sono solo cinque dalla Bibbia. E il tutto fa più appello alla ragione umana che alla fede ecclesiastica. (…) Difende deliberatamente l’epicureismo (…) e definisce Gesù il suo «amico più importante», per citarlo allo stesso modo con cui cita Virgilio o Cicerone” (p.215).  Ed è in questa prospettiva sapienziale che in uno dei suoi primi trattati, Orazione sulla pace e la discordia contro i faziosi, non si capacita della stoltezza dei contemporanei: “Oh, irragionevole ragione degli uomini che pur potendo vivere ininterrottamente felici, a causa della loro ambizione, si mettono in testa una continua infelicità! E ciò mentre dall’honestas scaturisce la vera voluptas, che rende già possibile un’esistenza armoniosa sulla terra” (Ivi).

 

Diagnosi

Potremmo, un po’ troppo schematicamente, distinguere le idee di Erasmo riportate, e commentate, in questo volume in due tempi. Innanzitutto, la diagnosi della manifestazione della follia costituita dalla guerra. Essa non è un male come gli altri, ma una sorta di culmine/sigillo che enfatizza sino al parossismo la condizione antropologica di base: “Quanto fugace, breve e fragile è la vita umana, a quali malanni è esposta, dal momento che tante malattie ed eventi accidentali le stanno addosso – rovine, naufragi, terremoti, fulmini? Che bisogno c’è, dunque, di andare in cerca anche dei malanni della guerra, i quali, per altro, sono i più disgraziati di tutti?” (p. 65). Davvero Dulce bellum inexpertis (“Dolce la guerra solo a chi non l’ha mai sperimentata”) !

Come i danni materiali non fossero abbastanza, la guerra ne provoca di morali: “Le guerre, forse, si potrebbero sopportare, se ci rendessero solo disgraziati, e non anche malvagi e perfidi, e se la pace ci facesse solo più felici, e non anche migliori. Empio, perciò, è chiunque provoca la guerra". Tutti i mali naturali che possono capitarci ci rendono solo disgraziati, ma non malvagi. La guerra è il male più atroce e pernicioso, che da solo tutti li comprende e li supera” (E. Peyretti, Erasmo, Umanesimo e cristianesimo della pace in "Tempi di fraternità'", n. 6, giugno-luglio 2018).

Preventivare ricavi e perdite potrebbe portare a sostenere (riprendendo un pensiero di Cicerone) che: “Qualsiasi pace ingiusta è quasi sempre preferibile alla più giusta di tutte le guerre. Valuta prima attentamente cosa richiede o comporta una guerra, e vedrai quale guadagno” (p. 58).

Tutte le considerazioni sinora svolte da Erasmo hanno un valore universale, ma egli ne aggiunge altre rivolte più specificamente ai cristiani. Quando “partecipa amareggiato a Bologna al trionfale ingresso notturno del grande papa-soldato Giulio II: torce accese, processioni di bambini esultanti, guerrieri, muli, cavalli, trombe, armi, vescovi e cardinali vestiti pomposamente e infine il papa, come un dio pagano, su una magnifica portantina, inneggiato da un popolo impazzito a cui vengono gettate monete d’oro luccicanti dalla lunghissima processione”, non può frenarsi dallo scrivere: “cosa c’entra tutto questo con la simplicitas et paupertas nelle quali il vicario di Cristo dovrebbe eccellere? Cristo stesso fu illuminato da torce solo quando, con un Pietro disarmato, si preparò a morire in modo non violento per i suoi…” (p. 277).

 

Terapia

Cosa fare, allora, se si vuol passare dalla diagnosi alla terapia?

Innanzitutto non perdere la capacità di scandalizzarsi e di indignarsi: “Ci siamo  tal punto abituati alle guerre, al brigantaggio, ai tumulti civili, alle faziosità, ai saccheggi, alle pestilenze, alle carestie, alla fame che quasi non consideriamo più tutte queste cose come dei mali” ( p. 72).

Un primo, basilare, livello d’intervento non può non essere che il pedagogico. Il che presuppone una realistica visione dell’uomo ed un’autocoscienza critica da parte degli educatori.

Una realistica antropologia considera l’ambivalenza costitutiva dell’essere umano: “L’uomo è predisposto ad un’effettiva ragionevolezza, ratio, in forza del suo ingenium o intellectus; tuttavia , tende fin dalla nascita piuttosto alla stultitia , all’immoralità e alla follia, che praticamente si manifesta con ogni genere di ‘barbarie’ – ignoranza, immoralità, superstizione, crudeltà, ingiustizia, oppressione, guerra, ecc. – Il mero sviluppo intellettuale non può quindi essere d’aiuto perché, in caso di cattiva inclinazione, viene utilizzato in modo improprio. L’educazione quindi è un’eruditio orientata a saggezza, sapientia la quale, quando arriva a comprendere se stessa, diventa philosophia” (p. 252).

La consapevolezza dell’ambivalenza dell’essere umano deve indurre genitori e insegnanti, prima di ogni altra mossa, all’autocritica e all’autoformazione: “Ogni educatore deve in primo luogo educare se stesso: tali genitori, tali figli! Ci sono perfino interi popoli che, quando i giovani hanno ancora la bocca sporca di latte, li addestrano alla guerra, insegnano loro ad avere uno sguardo minaccioso, a brandire la spada e infliggere ferite ai loro vicini” (Ivi).

La prima palestra dell’avviamento alla violenza come postura abituale è la violenza contro gli animali, soprattutto se inermi e facilmente prede di caccia. Un secondo gradino è costituito dalla violenza sui minori. E solo degli educatori ri-educatisi possono spezzare la catena di quella che nel XX secolo sarà denominata “pedagogia nera”. Infatti, ai tempi di Erasmus, gli allievi venivano trattati molto aspramente in collegi dove si viveva in condizioni igieniche disastrose, con poco cibo e molte correzioni fisiche: egli per primo l’aveva sperimentato sulla propria pelle. (Un terzo spazio in cui esercitare l’attitudine violenta è costituito dalle relazioni di genere, prevalentemente dei maschi sulle femmine: ma il monaco rinascimentale Erasmo non pare accorgersene).

Per quanto fondamentale, la pedagogia non è sufficiente: va integrata con un’impostazione politica adeguata. Egli sottolinea la necessità di un controllo dei governanti da parte dei governati e  “si chiede apertamente per quanto tempo ancora i popoli si lasceranno maltrattare dai principi; afferma che una guerra dovrebbe al massimo essere condotta con il consenso dell’intera nazione interessata; riconosce che i cittadini abbiano il diritto di rendere impossibili tutte le guerre ingiuste e che possano farlo immediatamente, cosicché la stragrande maggioranza del popolo possa consapevolmente unirsi contro la tirannia di pochi: la decisione unanime di un popolo dovrebbe frenare un principe malvagio nelle sue passioni, poiché il bene comune oltrepassa quello particolare” (pp. 303 – 304). .

In un’epistola a Leone X, in cui dissente dalla volontà di questo papa di muovere guerra ai Turchi, arriva ad estendere il diritto/dovere di disobbedienza civile anche nei confronti delle autorità ecclesiastiche: “deve essere riconosciuto pubblicamente che un papa guerriero non merita nessuna obbedienza” (p. 309).

Il potere dei cittadini di condizionare le scelte dei politici si potrebbe concretizzare, secondo Erasmo, costringendoli ad assumere alcune linee programmatiche. Una prima indicazione è lo smantellamento degli eserciti stabili: “Gli eserciti permanenti non servono a nulla: meno soldati ci sono, meglio è!” (p. 300). Una seconda indicazione è di sostituire, come mezzo di risoluzione dei conflitti, la guerra con una sorta di “arbitrato internazionale”: “Quando sorgono conflitti sottoporre le controversie in questione a dei seri eruditi  ecclesiastici e a uomini, divenuti saggi per esperienza, per farle giudicare da loro, piuttosto che procedere a una guerra così rischiosa” (p. 209).

                                                                 Augusto Cavadi

Qui l'edizione in originale:

Adista News - Erasmo da Rotterdam: un pioniere del pacifismo

5 commenti:

Andrea Cozzo ha detto...

Ottimo. Grazie.

Pietro Spalla ha detto...

Bello e utile, anche in prospettiva delle prossime Vacanze filosofiche a Vallombrosa (19 - 25 agosto 2024).

Anonimo ha detto...

Grazie Augusto, una presentazione efficace e intelligente che suscita il desiderio di leggere il libro! Bella e interessante davvero. Grazie. Luisa

Maria D'Asaro ha detto...

Grazie!

Elio Rindone ha detto...

Ho visto il tuo bell'articolo su Erasmo.