Per benemerita iniziativa del Centro Gandhi Edizioni, Rocco Altieri ha curato l’edizione italiana di B. Ligt, Erasmo nonviolento. La voce dell’Umanesimo in un’Europa dilaniata dalle guerra (Pisa 2023). Erasmo (1466 – 1536) visse in un momento storico tra i più bellicosi della storia occidentale e la somiglianza con i nostri tempi risalta evidente. L’autore presenta Erasmo come pioniere della “scienza della pace” e il titolo italiano sarebbe stato, a mio avviso, più preciso se all’originale olandese fosse stato aggiunto “pacifista” piuttosto che “nonviolento” (anche per educare i lettori alla distinzione fra queste due categorie, ben chiarita da Andrea Cozzo nel suo La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da sapere prima di condividerla o rifiutarla, Di Girolamo, Trapani 2022, p. 11).
Nel contesto storico che gli appare
manicomiale, Erasmo prova ad opporre la voce della saggezza più antica che, per
lui , è un intreccio inseparabile di saggezza filosofica greco-romana e di
saggezza teologica evangelica. Nella sua prima opera, Il disprezzo del mondo,
“accanto alle settanta citazioni dai classici – Virgilio, Orazio, Ovidio,
Terenzio, Lucano, in particolare Giovenale – ce ne sono solo cinque dalla
Bibbia. E il tutto fa più appello alla ragione umana che alla fede
ecclesiastica. (…) Difende deliberatamente l’epicureismo (…) e definisce Gesù
il suo «amico più importante», per citarlo allo stesso modo con cui cita
Virgilio o Cicerone” (p.215). Ed è in
questa prospettiva sapienziale che in uno dei suoi primi trattati, Orazione
sulla pace e la discordia contro i faziosi, non si capacita della stoltezza
dei contemporanei: “Oh, irragionevole ragione degli uomini che pur potendo
vivere ininterrottamente felici, a causa della loro ambizione, si mettono in
testa una continua infelicità! E ciò mentre dall’honestas scaturisce la
vera voluptas, che rende già possibile un’esistenza armoniosa sulla
terra” (Ivi).
Diagnosi
Potremmo, un po’ troppo schematicamente,
distinguere le idee di Erasmo riportate, e commentate, in questo volume in due
tempi. Innanzitutto, la diagnosi della manifestazione della follia costituita
dalla guerra. Essa non è un male come gli altri, ma una sorta di
culmine/sigillo che enfatizza sino al parossismo la condizione antropologica di
base: “Quanto fugace, breve e fragile è la vita umana, a quali malanni è
esposta, dal momento che tante malattie ed eventi accidentali le stanno addosso
– rovine, naufragi, terremoti, fulmini? Che bisogno c’è, dunque, di andare in
cerca anche dei malanni della guerra, i quali, per altro, sono i più
disgraziati di tutti?” (p. 65). Davvero Dulce bellum inexpertis (“Dolce
la guerra solo a chi non l’ha mai sperimentata”) !
Come i danni materiali non fossero
abbastanza, la guerra ne provoca di morali: “Le guerre, forse, si potrebbero
sopportare, se ci rendessero solo disgraziati, e non anche malvagi e perfidi, e
se la pace ci facesse solo più felici, e non anche migliori. Empio, perciò, è
chiunque provoca la guerra". Tutti i mali naturali che possono capitarci ci
rendono solo disgraziati, ma non malvagi. La guerra è il male più atroce e
pernicioso, che da solo tutti li comprende e li supera” (E. Peyretti, Erasmo, Umanesimo e
cristianesimo della pace in "Tempi di fraternità'", n. 6,
giugno-luglio 2018).
Preventivare ricavi e perdite potrebbe
portare a sostenere (riprendendo un pensiero di Cicerone) che: “Qualsiasi pace
ingiusta è quasi sempre preferibile alla più giusta di tutte le guerre. Valuta
prima attentamente cosa richiede o comporta una guerra, e vedrai quale
guadagno” (p. 58).
Tutte le considerazioni sinora svolte da
Erasmo hanno un valore universale, ma egli ne aggiunge altre rivolte più
specificamente ai cristiani. Quando “partecipa amareggiato a Bologna al
trionfale ingresso notturno del grande papa-soldato Giulio II: torce accese,
processioni di bambini esultanti, guerrieri, muli, cavalli, trombe, armi,
vescovi e cardinali vestiti pomposamente e infine il papa, come un dio pagano,
su una magnifica portantina, inneggiato da un popolo impazzito a cui vengono
gettate monete d’oro luccicanti dalla lunghissima processione”, non può
frenarsi dallo scrivere: “cosa c’entra tutto questo con la simplicitas et
paupertas nelle quali il vicario di Cristo dovrebbe eccellere? Cristo
stesso fu illuminato da torce solo quando, con un Pietro disarmato, si preparò
a morire in modo non violento per i suoi…” (p. 277).
Terapia
Cosa fare, allora, se si vuol passare
dalla diagnosi alla terapia?
Innanzitutto non perdere la capacità di
scandalizzarsi e di indignarsi: “Ci siamo
tal punto abituati alle guerre, al brigantaggio, ai tumulti civili, alle
faziosità, ai saccheggi, alle pestilenze, alle carestie, alla fame che quasi
non consideriamo più tutte queste cose come dei mali” ( p. 72).
Un primo, basilare, livello d’intervento
non può non essere che il pedagogico. Il che presuppone una realistica
visione dell’uomo ed un’autocoscienza critica da parte degli educatori.
Una realistica antropologia considera
l’ambivalenza costitutiva dell’essere umano: “L’uomo è predisposto ad
un’effettiva ragionevolezza, ratio, in forza del suo ingenium o intellectus;
tuttavia , tende fin dalla nascita piuttosto alla stultitia ,
all’immoralità e alla follia, che praticamente si manifesta con ogni genere di
‘barbarie’ – ignoranza, immoralità, superstizione, crudeltà, ingiustizia,
oppressione, guerra, ecc. – Il mero sviluppo intellettuale non può quindi
essere d’aiuto perché, in caso di cattiva inclinazione, viene utilizzato in
modo improprio. L’educazione quindi è un’eruditio orientata a saggezza, sapientia
la quale, quando arriva a comprendere se stessa, diventa philosophia”
(p. 252).
La consapevolezza dell’ambivalenza
dell’essere umano deve indurre genitori e insegnanti, prima di ogni altra
mossa, all’autocritica e all’autoformazione: “Ogni educatore deve in primo
luogo educare se stesso: tali genitori, tali figli! Ci sono perfino interi
popoli che, quando i giovani hanno ancora la bocca sporca di latte, li
addestrano alla guerra, insegnano loro ad avere uno sguardo minaccioso, a brandire
la spada e infliggere ferite ai loro vicini” (Ivi).
La prima palestra dell’avviamento alla
violenza come postura abituale è la violenza contro gli animali, soprattutto se
inermi e facilmente prede di caccia. Un secondo gradino è costituito dalla
violenza sui minori. E solo degli educatori ri-educatisi possono spezzare la
catena di quella che nel XX secolo sarà denominata “pedagogia nera”. Infatti,
ai tempi di Erasmus, gli allievi venivano trattati molto aspramente in collegi
dove si viveva in condizioni igieniche disastrose, con poco cibo e molte
correzioni fisiche: egli per primo l’aveva sperimentato sulla propria pelle.
(Un terzo spazio in cui esercitare l’attitudine violenta è costituito dalle
relazioni di genere, prevalentemente dei maschi sulle femmine: ma il monaco
rinascimentale Erasmo non pare accorgersene).
Per quanto fondamentale, la pedagogia non
è sufficiente: va integrata con un’impostazione politica adeguata. Egli
sottolinea la necessità di un controllo dei governanti da parte dei governati
e “si chiede apertamente per quanto
tempo ancora i popoli si lasceranno maltrattare dai principi; afferma che una
guerra dovrebbe al massimo essere condotta con il consenso dell’intera nazione
interessata; riconosce che i cittadini abbiano il diritto di rendere
impossibili tutte le guerre ingiuste e che possano farlo immediatamente,
cosicché la stragrande maggioranza del popolo possa consapevolmente unirsi
contro la tirannia di pochi: la decisione unanime di un popolo dovrebbe frenare
un principe malvagio nelle sue passioni, poiché il bene comune oltrepassa
quello particolare” (pp. 303 – 304). .
In un’epistola a Leone X, in cui dissente
dalla volontà di questo papa di muovere guerra ai Turchi, arriva ad estendere
il diritto/dovere di disobbedienza civile anche nei confronti delle autorità
ecclesiastiche: “deve essere riconosciuto pubblicamente che un papa guerriero
non merita nessuna obbedienza” (p. 309).
Il potere dei cittadini di condizionare le scelte dei politici si potrebbe concretizzare, secondo Erasmo, costringendoli ad assumere alcune linee programmatiche. Una prima indicazione è lo smantellamento degli eserciti stabili: “Gli eserciti permanenti non servono a nulla: meno soldati ci sono, meglio è!” (p. 300). Una seconda indicazione è di sostituire, come mezzo di risoluzione dei conflitti, la guerra con una sorta di “arbitrato internazionale”: “Quando sorgono conflitti sottoporre le controversie in questione a dei seri eruditi ecclesiastici e a uomini, divenuti saggi per esperienza, per farle giudicare da loro, piuttosto che procedere a una guerra così rischiosa” (p. 209).
Augusto Cavadi
Qui l'edizione in originale:
Adista News - Erasmo da Rotterdam: un pioniere del pacifismo
5 commenti:
Ottimo. Grazie.
Bello e utile, anche in prospettiva delle prossime Vacanze filosofiche a Vallombrosa (19 - 25 agosto 2024).
Grazie Augusto, una presentazione efficace e intelligente che suscita il desiderio di leggere il libro! Bella e interessante davvero. Grazie. Luisa
Grazie!
Ho visto il tuo bell'articolo su Erasmo.
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