Che
significa per un essere umano “vivere”?
Le risposte - ogni volta unica per ciascuno di noi - si lasciano distribuire su
due versanti principali. Per alcuni, infatti, la vita è uno scherzo del Destino
(o del Caso o di Dio) da accettare con paziente rassegnazione per
ridurne al minimo gli inevitabili danni. Per altri, invece, di per sé la vita sarebbe
un gioco da praticare con creatività: quasi una costruzione da
mettere su, mattone dopo mattone.
Chi si
riconosce in questo secondo scenario deve accertarsi che i mattoni necessari ci
siano tutti: infatti si sostengono a vicenda e, se ne togliamo uno, l’intera
costruzione crolla giù. Ma quali sono questi elementi indispensabili? Non è
agevole identificarli esaurientemente. Un’elencazione, per quanto incompleta,
non può non includere il desiderio di conoscere: che vita è la vita di
chi non ha curiosità intellettuali, non ama ascoltare le storie raccontate
dagli anziani del villaggio, non legge libri (se ne è in grado), non viaggia
nello spazio e nel tempo? Altrettanto importante la cura della propria
dimensione corporea : la sobrietà nell’uso dei cibi e delle bevande, la
frequenza di spazi salubri, gli esami periodici preventivi. Quante vite sono
sfigurate dal pregiudizio cataro, gnostico, che “abbiamo” un corpo, non che lo
“siamo”? Ancora: è essenziale una serenità economica equidistante dalla
miseria come dall’accumulo di ricchezza al di sopra delle necessità personali e
della propria cerchia familiare. La povertà rende indegna la vita quanto la
“maledetta fame dell’oro” (Virgilio). Normalmente questa serenità economica è
frutto del lavoro quotidiano che, se corrispondente alle proprie
attitudini e inclinazioni, è irrinunziabile modalità di auto-realizzazione:
davvero privilegiato chi, secondo il motto di Merleau-Ponty, è riuscito a fare
della propria passione il proprio lavoro!
Una vita
riuscita, almeno nei suoi tratti costitutivi, è la somma di tendenze
apparentemente contrastanti: a gustare, nel silenzio, le ore di solitudine
e a relazionarsi per il resto, a cerchi centrifughi, con il contesto sociale
(le persone di cui ci si innamora, le altre con cui ci si lega di amicizia
fedele, le altre ancora con cui si stabiliscono patti sapendo di poter
contare abitualmente sulla reciproca affidabilità). Solitudine e
relazione (non artificiosa, convenzionale) sono come la sistole e la diastole
del cuore di ogni vita: quanti invalidi, a causa del blocco di questo movimento
su uno dei due poli, si aggirano per le
strade del nostro mondo!
Quando un
soggetto ha costruito l’esistenza con le tessere di questo mosaico e, tuttavia,
mastica un retrogusto di amarezza, di insoddisfazione generale, farebbe bene ad
ampliare l’orizzonte alla ricerca di tasselli mancanti. Forse non ha mai
sperimentato la gioia del dono gratuito, senza previsione di ricambio da
parte del donatario; ancor meno la serietà del per/dono nei confronti di
chi lo ha offeso o tradito (e se ne è reso, con rammarico, conto). Forse è
insensibile alla bellezza che incontra (naturale e artistica) né prova
compassione per l’enorme sofferenza dei senzienti (umani inclusi),
mentre al contrario prende troppo sul serio se stesso e i propri guai
rivelandosi incapace di senso dell’umorismo, di distacco ironico. Troppo
spesso ci si ferma a metà costruzione illudendosi che i mattoni assembrati
possano risultare sufficienti ed esonerarci dal completare l’opera.
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