“Il Gattopardo/Sicilia”
Aprile 2024
I proverbi siciliani sono spesso decantati come distillati di
saggezza. Ma è davvero così come piace ai nostalgici tradizionalisti? O sono
impregnati di idee egocentriche, utilitaristiche e maschiliste?
Esaminiamo un tema a caso: il matrimonio. Le ragioni del
cuore possono prevalere sui calcoli del portafoglio? Parrebbe di no: Cu’ si marita e nun pigghia
la dota,/ prova li fitti a la prima nuttata (“Chi si sposa senza dote,
prova le fitte già alla prima notte”). Tuttavia la disponibilità economica
della fidanzata non deve accecare sul suo aspetto fisico dal momento che Du’
cosi nun si ponnu suppurtari: / scarpi stritti e fimmini lari (“Due cose
non si possono sopportare: scarpe strette e donne brutte). Purché non si
esageri nelle pretese estetiche se è vero (ecco un altro triste stereotipo!)
che Cu’ di bedda s’innamura,/ beddi corna s’assicura (“Chi s’innamora di
una bella donna, si assicura belle corna”). Con l’aggravante che l’urtimu
chi lu sapi è lu curnutu (“l’ultimo ad apprenderlo è proprio il cornuto”).
Quale che ne sia la genesi, il matrimonio – fosse anche per
amore – è destinato a durare a lungo? Come in tutte le tradizioni popolari, pure
in Sicilia i proverbi affermano tutto e il contrario di tutto. Da una parte,
infatti, Amuri, biddizza e furtuna picca
dura (“Amore, bellezza e fortuna durano poco”); ma, dall’altra, l’amuri
veru un ‘nvecchia mai (“l’amore vero
non invecchia mai”) e, anche in assenza di un amore autentico, supplisce
la consuetudine: lu lettu fa
l’affettu (“il letto alimenta l’affetto”).
Poiché in ogni ipotesi il matrimonio comporta per il maschio
fatica (se dura) e dolori (se fallisce), il consiglio migliore è radicale: Si
vò campari cent’anni e cchiossai,/ sta ‘schettu e nun circàriti guai (“Se
vuoi campare cent’anni e più, resta celibe e non cercarti guai”). Alla faccia
della retorica sui sani principi morali che la tradizione avrebbe trasmesso per
secoli da una generazione all’altra…
Augusto Cavadi
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