martedì 18 giugno 2024

IL DOCENTE DENTRO E FUORI DALLE AULE SCOLASTICHE, TRA INSEGNAMENTO E IMPEGNO SOCIO-POLITICO

 

LAVORARE IN AULA, FATICA NECESSARIA MA INSUFFICIENTE

Il locus naturalis dell’insegnante è l’aula scolastica. E’ lì che deve mettersi in gioco, sudare, inanellare fallimenti su fallimenti,  imparare a farsi rispettare senza mancare di rispetto, insegnare i principi della democrazia senza adottare modi antidemocratici, testimoniare l’autorevolezza dell’adulto maturo senza scadere nell’autoritarismo del sergente di giornata. Come allo spaccone di Esopo, che si vantava di aver compiuto a Rodi un salto prodigioso, così al docente che si vanta in giro di essere un personaggio brillante, bisogna sussurrare: Hic Rhodus, hic saltus. Quello che affermi di essere, devi dimostrarlo prima di tutto nel tuo ambiente quotidiano.  Il lavoro in aula è così logorante che capisco, per esperienza personale più che quarantennale, la tentazione della fuga: o definitiva (ad esempio diventando Dirigente scolastico o sindacalista a tempo pieno) o temporanea (una volta si accompagna la classe al museo naturalistico, un’altra volta in gita d’istruzione a Berlino, un’altra volta ancora a sorbirsi un convegno noiosissimo sulle avanguardie artistiche del secondo Novecento tedesco…: quasi tutto è preferibile alla faticosa routine della normalità).

 

Non in una campana di vetro

Ciò chiarito senza insopportabili ipocrisie, ci si può legittimamente porre la domanda: essere animali d’aula è necessario, ma è anche sufficiente? Ho conosciuto ottimi professori che si muovevano nel recinto scolastico con la disinvoltura di pesci esotici nell’acquario, ma incapaci di respirare, muoversi, interagire non appena fuori dall’habitat consueto. A Rodi saltavano davvero bene, ma fuori le mura della città erano incapaci di camminare senza impaccio. Negli anni Sessanta del secolo scorso era un punto d’onore non comprare quotidiani; negli anni Settanta non avere il televisore; negli anni Ottanta non frequentare né discoteche (tutte piazze di smercio di sostanze) né centri sociali (tutti covi di terroristi); negli anni Novanta non possedere cellulari; negli anni Duemila non utilizzare computer né tablet; in ciascuna di queste annate non leggere libri differenti dai testi – strettamente attinenti alle proprie competenze disciplinari – ricevuti gratuitamente dai promotori editoriali per eventuali adozioni. So benissimo che le eccezioni si davano e si danno, ma, se devo attenermi all’ esperienza personale, non posso negare che erano di numero esiguo rispetto alla media dei colleghi (che addebitavano l’estraneità alla vita sociale, culturale e politica della città a mancanza o di tempo o di disponibilità economica o di entrambi i fattori).

Gli esempi che mi frullano in mente sono decine: dal collega di greco che mi esternava il suo sconcerto (“Sei arrivato a questo punto: propagandare il terrorismo fra i nostri alunni ?” ) perché, a conclusione di un ciclo di lezioni sulle ideologie politiche del Novecento,  avevo invitato in aula Salvo Vaccaro, mitissimo docente universitario esperto di anarchismo, alla collega di diritto che giustificava la sua totale ignoranza del mondo associativo palermitano perché di antimafia, in famiglia, se ne era sempre occupato - prima di essere assassinato dalla mafia - un congiunto magistrato. Insomma, dopo aver dedicato alla categoria dei Dirigenti scolastici una serie di aneddoti (rigorosamente veri) nel volume Presidi da bocciare (Di Girolamo, Trapani 2010)[1], se avessi tempo, forze e residue pulsioni masochistiche potrei scrivere, senza difficoltà, il sequel Insegnanti da bocciare.

Allora: ci sono i termini per porsi come dilemma se un docente debba limitarsi a essere un (possibilmente preparatissimo) docente all’interno della campana di vetro protettiva dell’aula o se possa (anzi, debba) avere ampie esperienze culturali, sociali, politiche in settori della città, della regione, della nazione in cui vive.

 

Una prima questione: insegnante o educatore?

La questione non è peregrina, è fondata. Ma non irrisolvibile. Bisogna prima di tutto  accordarsi sulla figura professionale del docente: è essenzialmente un insegnante che comunica conoscenze e competenze o un educatore che deve favorire la maturazione complessiva degli alunni (dunque non solo intellettuale, ma anche morale, emotiva, civica)?

Nella prima ipotesi può benissimo essere una persona psicologicamente irrisolta, caratterialmente problematica, socialmente isolata, politicamente indifferente e – nonostante questi limiti – funzionare in maniera tutto sommato accettabile: ovviamente non c’è da stupirsi, però, se di questo genere di insegnanti le nuove generazioni ritengano di poter fare a meno e se, rispetto al lavoro in aula, preferiscano forme di apprendimento al computer con  programmi telematici interattivi, per nulla soggetti a lacune o errori.

Nella seconda ipotesi il docente si deve far carico della formazione (meglio: dell’autoformazione) integrale dei giovani con cui condivide per anni i processi di crescita e, se non vuole ottenere effetti contrari alle proprie intenzioni, deve puntare sulla propria testimonianza di persona equilibrata, saggia, informata di ciò che avviene nel contesto sociale, auto-ironica, pronta ad apprezzare la bellezza e a soffrire per i dolori dei viventi, a lui vicini o da lui lontani. Neanche questa seconda versione del ruolo docente è esente da rischi: la tendenza a dare in aula più spazio alle prediche e ai comizi che alle lezioni curriculari; a favorire la creazione di fazioni vicine o avverse alle posizioni ideologiche dell’insegnante; ad entrare nel privato degli alunni diventandone il confidente abituale, il confessore, lo psicoterapeuta, il consulente sentimentale. “Negli anni di liceo non ho imparato molto rispetto ai coetanei delle classi parallele: nell’ora di italiano stavamo in silenzio per praticare yoga e nell’ora di matematica leggevamo e commentavamo il quotidiano di un piccolo partito politico di estrema sinistra” -  mi raccontava una ragazza anni fa per motivare la sua richiesta di trasferimento nella nostra sezione.

 

Una seconda questione: l’equilibrio fra professione ed esperienze formative

E’ dunque una questione di proporzioni, di tentare (per approssimazioni successive, mai prive di scompensi unilaterali) il difficile equilibrio fra le varie finalità dell’unica figura docente. Il quale può bilanciare con buon senso i vari aspetti della sua mission se, contestualmente, persegue un non meno difficile equilibrio - all’interno della sua esistenza - fra i suoi compiti di insegnante e i suoi compiti di cittadino. Tocco qui una problematica sfuggente, fluida, sulla quale non mi sembra che esista una vasta letteratura (per cui spero che mi si perdoni l’andamento un po’ incerto dell’argomentazione).

Per chi vive con passione, le giornate sono sempre troppo corte e non bastano mai né le ore che si dedicano all’aggiornamento tecnico-professionale né le ore che si investono nella propria formazione umana complessiva[2]. Come gestire, dunque, i propri tempi ? Anche qui bisogna essere, per quanto possibile, chiari (almeno a livello di criteri: poi la vita, nella sua imprevedibile e mutevole concretezza, imporrà compromessi non sempre felici).

La priorità di un insegnante dev’essere l’adempimento dei doveri istituzionali corrispondenti alle ore di lezione per cui è pagato: può optare per il full-time o il part-time, ma quali che siano le ore di servizio concordate con lo Stato (24, 18, 12 o solo 6), a quelle ore deve dedicare il tempo e le energie necessarie nel suo studio di casa per  preparare lezioni (con eventuali sussidi audiovisivi), correggere compiti, aggiornarsi nel proprio campo disciplinare e più in generale nelle strategie pedagogico-didattiche, vedere film o leggere riviste da poter consigliare agli alunni per appassionarsi alla ricerca. In nessun caso si dovrebbe consentire, come di fatto avviene, che un docente (per negligenza o perché impegnato in altri ambiti d’interessi extra-scolastici) si esoneri dal minimo ‘sindacale’ della propria professione, per esempio svolgendo attività (come lezioni private) senza previo consenso scritto del Dirigente scolastico.  Solo se assicura quanto prevede il contratto che decide di firmare, ha il diritto di ampliare i propri spazi operativi. Alcuni saranno finalizzati ad arrotondare lo stipendio, altri a titolo gratuito. Che un insegnante di tecnologia collabori con uno studio di progettazione ingegneristica, o un insegnante di ragioneria collabori con uno studio di consulenza tributaria, non mi scandalizza: purché ciò avvenga alla luce del sole –  dunque evitando che la “seconda” attività professionale diventi la “prima”, anche se ha scelto il tempo pieno a scuola e riceve lo stipendio intero – il docente può portare in aula aria fresca dalla vita reale, autentica, che si respira fuori. Ma, ai fini del proprio ruolo educativo, è più proficuo se il tempo che resta, dopo essersi dedicato alla sfera tecnicamente professionale, viene investito nella frequenza di centri culturali, associazioni professionali, organizzazioni di volontariato, sedi di sindacati o di partito…insomma in attività gratuite che coltivino la dimensione intellettuale ed etico-civile.

 

A che condizioni accompagnare gli alunni fuori dall’aula

Anche in questo caso il docente importa dall’esterno aria fresca dalla vita reale, ma intrisa di  interrogativi critici rispetto alla mentalità produttivistica onnipervasiva. Potrà portare la voce degli sfruttati del sistema capitalistico, dei senza-casa, degli immigrati senza protezione, delle ragazze prostituite, dei tossicodipendenti ghettizzati in angoli bui della città; potrà attestare che il senso della vita non è solo, o principalmente, nel primeggiare a scuola, ma anche, e soprattutto, nel dare una mano ai movimenti pacifisti, nonviolenti, ecologisti, antimafiosi. Potrà testimoniare che leggere, studiare, informarsi, riflettere, pensare avrebbero – come fine ultimo solitamente ignorato – la trasformazione dell’inferno, nel quale ci dibattiamo, in uno spazio storico-sociale vivibile. Se egli viene arricchito come persona dalle sue esperienze extra moenia, ciò, di conseguenza, lo renderà più vivo e più attrattivo come educatore.

Solo chi sperimenta tutto questo nella sua esistenza personale ha il diritto di accompagnare qualche volta gli alunni a conoscere esperienze sociali fuori dai cancelli scolastici: la sua iniziativa non sarà patetica strategia per evadere dalla noia scolastica, bensì significativa indicazione per quei giovani che vorranno giocarsi la vita a un livello più alto della banalità dominante.  La riprova? Quando un docente, nei decenni, non ha provato a fare della propria esistenza un ponte fra la scuola e la vita sociale, le eventuali attività para-scolastiche da lui progettate e realizzate riusciranno deludenti o addirittura fallimentari: i suoi ragazzi percepiranno un che di inautentico, di artificioso. Non sei un appassionato di pittura? Evita di intestarti la visita in pinacoteca. Non ti interessa la tragedia greca? Evita di guidare gli alunni a Siracusa. Se non ti interessano  la questione mafiosa o la violenza di genere, non organizzare la partecipazione delle tue classi a convegni su questi temi solo perché – in un determinato momento – sono di moda, anche se non li ha mai né approfonditi personalmente né tanto meno affrontati in aula. La visita ad un istituto penitenziario o a una comunità di recupero per tossicodipendenti presuppone - già in chi accompagna i giovani -  una postura mentale, psicologica ed etica diversa rispetto alla visita a uno zoo (visita dalla quale, per altro, farebbe bene ad astenersi chi non si sia mai posto interrogativi sulla sensibilità degli animali e sulla loro immensa capacità di soffrire). Insomma, maldestramente ma convintamente, vorrei asserire che solo chi vive da essere umano prima che da insegnante può tentare sia di aprire le porte della scuola alla vita sociale sia di riversare nella società gli interrogativi critici e le intuizioni creative elaborati nella scuola. Infatti si insiste molto (e giustamente) su quanto la scuola abbia necessità di essere recettiva rispetto alla società, ma ogni tanto dovremmo ricordarci che vale anche il reciproco: se la società non vuole affondare nella melma delle ingiustizie sistemiche, del degrado ambientale, del conformismo più stagnante, del tradizionalismo più fondamentalista, della risoluzione bellica di ogni conflitto…ha bisogno, a sua volta,  di accogliere dalla scuola i tesori della saggezza e della scienza, la memoria delle scoperte e degli errori, l’educazione alla bellezza e alla nonviolenza. In attesa di una fase così evoluta che la scuola (ovviamente intesa come sistema complessivo della ricerca e dell’istruzione) sia il cuore pulsante di una società, rendendola tutta intera un’unica grande agenzia educativa.

 

Augusto Cavadi



[1] Mancano in quel testo vari episodi più attinenti al tema di questo mio scritto. Ad esempio non vi riportai la reazione scandalizzata del DS del liceo “Meli” , a metà degli anni Novanta, alla mia proposta di far leggere, all’interno di un progetto di scambi fra studenti dell’Unione Europea, il libro Dietro la droga pubblicato, in tre o quattro lingue, dal Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”: “Ma sei fuori di senno? Che penserebbero al Ministero se venissero a sapere che utilizziamo materiali didattici pubblicati da un centro-studi intestato a un terrorista?” (Peppino Impastato era stato assassinato dai mafiosi quasi vent’anni prima!).

[2] Superfluo precisare che mi esprimo approssimativamente, ben consapevole che anche le ore dedicate a qualificarsi come docente possono comportare ricadute positive sulla propria formazione umana e che anche le ore spese per attività formative extra-professionali possono arricchirci anche come insegnanti.


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QUESTO INTERVENTO COSTITUISCE UN CAPITOLO DEL VOLUME DI AUTORI VARI, A CURA DELA COOPERATIVA ONLUS "SOLADARIA", PERCORSI DIDATTICI DI ANTIMAFIA SOCIALE. UNA PROPOSTA FORMATIVA MULTIDISCIPLINARE TRA PROCESSI EDUCATIVI E IMPEGNO SOCIALE, PALERMO 2024. 

Il volume è scaricabile gratuitamente qui:

https://solidariaweb.org/index.php/blog/2-uncategorised/85-percorsi-didattici-di-antimafia-sociale-idee-e-racconti-tra-scuola-e-territorio

L'ebook è stato realizzato nel nuovo formato a "layout fisso", non leggibile da tutte le app.

Chi avesse difficoltà tecniche può richiedermi il pdf via e-mail: a.cavadi@libero.it

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