giovedì 20 giugno 2024

EDUCARE ALLA NONVIOLENZA, IN MANIERA NONVIOLENTA: INDICAZIONI DA MARIA D'ASARO

Maria D’Asaro

Scuola e scienza della nonviolenza. Il contributo di questo percorso di studi ed esperienze ad un sistema scolastico socialmente responsabile per un’autentica formazione alla cittadinanza attiva

Negli ultimi vent’anni, il sistema scolastico italiano è stato contrassegnato da precisi orientamenti legislativi: nel 2003 è stata approvata la discussa riforma Moratti che – oltre a introdurre tagli cospicui in quasi tutti gli ordini di scuole, riducendo lo studio di varie discipline – lo aveva caratterizzato con le tre I (Informatica, Impresa, Inglese) a comprova di una virata ‘mercantile’ del sistema istruzione; nel 2015 sono entrate in vigore le norme della cosiddetta ‘Buona Scuola’ (la legge 107/2015), con l’introduzione dei Piani di alternanza Scuola/Lavoro, ri modulati (con nota MIUR del 2019) come Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO). A fine 2022 è addirittura cambiata la denominazione del Ministero deputato al governo della Scuola: da MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) si è trasformato in Ministero dell’Istruzione e del Merito, chiaro segnale di una scuola che tende verso l’individualismo e la competizione, secondo quanto sottolineato dalla psicologa e pedagogista Silvia Vegetti Finzi e dal professore Raffaele Mantegazza, ordinario di Pedagogia all’Università di Milano-Bicocca. In tale contesto legislativo-formativo, non è facile persuadere docenti e dirigenti scolastici della necessità formativa di insegnare e praticare a scuola la nonviolenza. Sì, la nonviolenza scritta come parola unica, senza trattino in mezzo, come suggerito dal filosofo e attivista Aldo Capitini per focalizzare la natura nuova, creativa e pregnante di tale pratica dei rapporti umani che consente una diminuzione della vio lenza complessiva nella società. La nonviolenza dovrebbe perciò per meare le relazioni individuali e via via, allargando il cerchio, quelle di condominio, di quartiere, e le macro-relazioni sociali e politiche. Se, nel rispetto dello spirito e dei valori autentici della Carta costituzionale, si vuole davvero educare cittadini coscienti e responsabili, non si può tenere fuori la nonviolenza dalle aule scolastiche anche se non è facile insegnare la nonviolenza sia perché la scuola italiana è inserita in un contesto sociale in cui spesso predomina la violenza a livello strutturale-istituzionale e simbolico-culturale sia perché gli educatori non hanno una formazione in tal senso e si trovano essi stessi ad equivocare su teoria e pratica nonviolente. Bisognerebbe allora partire dalla formazione dei docenti che, qualsiasi sia la loro disciplina di pertinenza e l’ordine di scuola dove sono inseriti, dovrebbero possedere un’alfabetizzazione di base della teoria e della pratica nonviolenta. Per non confondere la nonviolenza con i pregiudizi di cui spesso è vittima, dovrebbero, innanzitutto, avere chiara la ‘pars destruens’ e sapere che la nonviolenza:

 • Non è assenza di conflitti

 • Non è mancanza di aggressività, se intesa in senso positivo come combattività e assertività

 • Non è equidistanza tra le parti in lotta, in quanto il nonviolento è sempre dalla parte delle vittime e di chi lotta per la giustizia 

 • Non è rispetto assoluto delle leggi, qualora esse siano eticamente ingiuste 

 • Non è una via necessariamente religiosa né una scelta elitaria 

 • Non è un pensiero utopico, ma una risposta praticabile ed efficace alle sfide del presente 

 • Non è mero pacifismo 

 • Non è un comportamento improvvisato legato a paura, debolezza, indifferenza, pigrizia (Nota 1 in calce).

I docenti dovrebbero avere chiaro che la nonviolenza è dunque “l’arte di pensare e condurre un buon conflitto in tutti gli ambiti della vita, per la trasformazione della società e di noi stessi” (Nota 2 in calce). Il conflitto è infatti la logica e ‘naturale’ conseguenza della combattività e dell’assertività umana ed ha, in quanto tale, una dimensione dinamica e sistemica del vivere sociale: “È un processo relazionale e, in quanto processo e dinamismo” è un tutt’uno con la realtà e con la vita.”( Nota 3 in calce). Inoltre, la non violenza evita le opposizioni frontali, rigide ed assolute, ed indirizza invece verso la ricerca di più possibilità: ha insomma un atteggiamento creativo. La nonviolenza postula avversari, non nemici: le forme di lotta nonviolente non vogliono colpire – fisicamente, verbalmente, psicologicamente – l’avversario, ma sono dirette a impedire o criticare la sua azione: la nonviolenza combatte l’azione, ma non l’agente. Gandhi sottolinea poi come la nonviolenza preveda un’omogeneità tra mezzi e fini anche perché, afferma sempre il Mahatma, quando facciamo qualcosa non siamo padroni del fine di un’azione, ma solo dei mezzi. Dunque è proprio ai mezzi che dobbiamo fare attenzione. Se il fine è buono, buoni devono essere anche i mezzi per raggiungerlo… E gli studiosi di nonviolenza sono concordi nell’affermare come la violenza non sia la legge della storia ma che “tutti i comportamenti violenti, sia di attacco che di difesa, considerati istintivi, possono essere considerati abitudini culturali acquisite e consolidate (e perciò ormai inconsapevoli e quasi meccaniche) o per via di una esplicita e chiara azione educativa o all’interno di un modo di pensare trasmessoci implicitamente attraverso un modo di vivere”. (Nota 4 in calce). 

Da queste premesse, dovrebbe essere evidente l’importanza e la centralità di un’educazione nonviolenta nella scuola, a partire proprio dalle pratiche dei docenti. Se infatti, come sottolinea il professore Cozzo “nonviolenza è conflittualità e buona comunicazione” (Nota 5 in calce) , essere cioè in grado di affrontare i conflitti e di gestirli in modo costruttivo, cosa comporta tutto questo nell’educazione scolastica? Innanzitutto, purtroppo, “siamo abituati a impostare il nostro incontro verbale con altri come un gioco a somma zero”. (Nota 6 in calce). Cioè se uno vince, l’altro necessariamente perde; se uno ha ragione, l’altro avrà torto. E i docenti non fanno eccezione in tal senso. L’alternativa che la prospettiva nonviolenta propone (ripresa e riformulata nel testo di Andrea Cozzo da cui sono tratte le citazioni) non è, evidentemente, un venire meno alle proprie responsabilità educative o un mero rovesciamento del rapporto. Vuol dire piuttosto, per riprendere una felice formulazione di Pat Patfoort (Costruire la nonvio lenza. Per una pedagogia dei conflitti, La Meridiana, Molfetta 1995), “trattare gli altri sulla base dell’equivalenza specialmente quando è in gioco una diversità di opinioni, punti di vista, valori, ecc. Se non abbiamo mai adottato o tentato di adottare un simile modo con gli altri, non crederemo che sia possibile”. “In realtà” – continua il professore Cozzo - “questa educazione non è né autoritaria né lassista, ma mira a dare potere a tutte le parti, che non sono da supporre a priori in contrapposizione competitiva bensì semplicemente all’interno di una relazione che può essere strutturale in modo cooperativo: si ottiene l’ascolto del bambino dando a propria volta ascolto - ascolto attivo - al bambino”. I docenti dovrebbero essere quindi consapevoli che “il linguaggio non può essere usato in modo nonviolento se non è accompagnato dalla capacità e dal desiderio dell’ascolto, dalla volontà e dalla sapienza del silenzio, perché l’altro possa sentirsi realmente invitato ad esprimere se stesso”. (Nota 7in calce).   In un’ottica davvero maieutica e nonviolenta, a scuola i docenti dovrebbero considerare quelle che Marshall Rosenberg ha definito le quattro componenti essenziali del ‘linguaggio della compassione’ (l’osservazione delle parole o delle azioni altrui che incidono, in positivo o in negativo, sul nostro benessere; la consapevolezza ed espressione dei sentimenti che proviamo in presenza di quelle azioni o parole; l’identificazione dei bisogni a cui quei sentimenti corrispondono; la richiesta all’altro di atti specifici che contribuiscono al nostro benessere) (Nota 8 in calce). E bisognerebbe essere maestri dell’ascolto attivo, secondo le sette regole indicate da Marianella Sclavi (Nota 9 in calce): 

 • Non avere fretta di arrivare alle conclusioni

 • Quello che vedi dipende dal tuo punto di vista 

 • Se vuoi comprendere quello che sta dicendo l’altro, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose dal suo punto di vista 

 • Le tue emozioni ti informano non su ciò che vedi, ma su come guardi 

 • Un buon ascoltare è un esploratore di mondi possibili (…) 

 • Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi, affrontando i conflitti creativamente 

 • Un buon ascoltatore ha il senso dell’umorismo.

 La formazione nonviolenta dei docenti dovrebbe scongiurare la negatività sotterranea e nascosta, ma ahimè ancora reale e devastante, delle pratiche della cosiddetta ‘pedagogia nera’ che il compianto Paolo Perticari, docente di Pedagogia generale e di Filosofia della formazione presso l’Università degli Studi di Bergamo, ha il merito di aver riscoperto e riportato al centro del dibattito pedagogico, rispolverando il testo Pedagogia nera di Katharina Rutschky, con una sua introduzione in cui collega e confronta il metodo della pedagogia nera con gli studi di Hannah Arendt su La banalità del male, di Stanley Milgram sulla “obbedienza all’autorità” e di Philip Zimbardo sull’“effetto lucifero”. La Rutschky aveva analizzato i vari stili educativi in 250 anni di fonti storiche e pedagogiche, dal Settecento fino ai primi anni del Novecento in Germania, proponendo brani tratti da manuali, testi di teoria pedagogica e strumenti educativi in cui emerge chiaramente una forma di male e di distruzione psicologica, mascherata da educazione severa e rigorosa, che caratterizza i normali processi di civilizzazione e istruzione. Le conseguenze di questo male invisibile sono molto gravi per la vita dell’individuo e in certi casi possono diventare persino incurabili. Facendo riferimento a questo studio, Perticari ha sottolineato che ancora oggi il bambino/alunno può essere a rischio di un’educazione violenta proprio nella rete parentale e scolastica dove in realtà dovrebbe trovare protezione e sostegno: in tali contesti può infatti essere visto come capro espiatorio della frustrazione, della rabbia e dell’insoddisfazione dell’adulto, che sfocia in una forma di violenza costituita da umiliazioni, maltrattamenti fisici e psicologici, derisioni e punizioni. L’obiettivo principale di questo metodo di condizionamento precoce è reprimere la parte più vitale, creativa e attiva del bambino per renderlo dipendente e sottomesso alla volontà adulta. L’individuo che subisce violenza tende a introiettarla dentro di sé e perpetuarla in diversi contesti della sua vita privata, tramandando una catena transgenerazionale del trauma e del male. Sulla base di queste sollecitazioni pedagogiche, dovrebbe risultare evidente che i metodi educativi e pedagogici risultano funzionali all’idea di umanità e al progetto di società che vogliamo costruire. Se desideriamo la scuola delle pari opportunità, che aiuti a costruire una cittadinanza attiva, cooperativa e responsabile, la scuola sognata da Danilo Dolci e da don Milani, l’educazione nonviolenta è la condizione indispensabile per la sua realizzazione. Utile ricordare – anche come contraltare alle tre I di morattiana memoria – John Dewey (1859-1952), filosofo pragmatista e pedagogista che, dopo aver sottolineato l’intrinseco legame che c’è tra democrazia ed educazione, ha affermato che i cittadini devono essere messi in condizione di dare il loro contributo sviluppando precise competenze culturali e sociali riassumibili nella teoria delle tre “c”: Critical thinking (pensiero critico), Creative thinking (pensiero creativo) e Care thinking (pensiero valoriale, capacità di prendersi cura): “In quest’ottica, la scuola (pubblica) assume un ruolo centrale per la formazione e la salvaguardia di una società realmente democratica: per farsi valore condiviso è nei singoli che lo spirito democratico deve incarnarsi come costume, prassi, attitudine psicologica. Se ai più non è dato maturare, sin dalla più tenera età, la predisposizione a condividere emozioni e contenuti simbolici, a prender parte alla vita della comunità, esprimendo e perfezionando abilità personali e assumendosi responsabilità sociali, ebbene, pur in presenza della migliore legislazione possibile, la democrazia rimarrà di fatto lettera morta” (Nota in calce 10).

 In un’ottica educativa autenticamente nonviolenta, infine, è urgente e ineludibile una revisione critica dei manuali di Storia presenti in tutti gli ordini di scuola. Questo il senso della lettera aperta stilata nel luglio 2022 da 30 docenti della Scuola e dell’Università e inviata ai Ministri dell’Istruzione e dell’Università e della Ricerca, lettera di cui si riportano i seguenti passi: “È soprattutto e in primo luogo nella manualistica della Storia che avvertiamo la necessità di modifiche urgenti e sostanziali. La Storia, infatti, concorre forse più di altre discipline a creare la cornice metacognitiva generale di chi studia: facendo vedere gli avvenimenti trascorsi attraverso lenti che focalizzano certi aspetti piuttosto che altri, presentando come fattori di cambiamento alcuni tipi di azione e non altri, essa educa a pensare ben precisi orizzonti di possibilità e ad agire all’interno di questi, e in tal modo si costituisce non solo come analisi del passato ma anche come profezia del futuro. Ora, la narrazione manualistica della Storia (…), continua a essere dominata da un’ottica politico-militare e dal filo rosso delle guerre e del ruolo maschile. Gli orizzonti geografici e temporali si sono allargati ma il racconto – la trama, il contenuto, ciò che risulta in primo piano come motore del processo storico – è ancora fondato su categorie di pensiero proprie del patriarcato e di una mentalità competitiva e violenta. Tale racconto resta talmente affollato di forza militare e di genere maschile che non lascia immaginare altre forme di sviluppo della temporalità che non siano violente e/o maschili, e finisce per far credere che la violenza appartenga addirittura alla natura umana e sia normale, ineluttabile, o contenibile solo attraverso istituzioni, nazionali o internazionali, di carattere giuridico. Noi crediamo che, per cacciare davvero la guerra e il patriarcato fuori dalla storia, sia indispensabile cambiare il paradigma culturale, promuovere un sapere diverso da quello appena presentato e dare spazio al racconto della costruzione della pace con mezzi pacifici, mettere in luce il ruolo delle donne e dei popoli che hanno contribuito alle trasformazioni storiche senza ricorrere alle armi; meglio ancora, di panare per mezzo di queste categorie il filo della Storia intera. (…).  Noi Vi chiediamo pertanto di adoperarvi (…) per l’elaborazione e l’attuazione di organici e strutturati progetti di redazione di manuali, scolastici e universitari, che espressamente valorizzino il ruolo delle dinamiche nonviolente e la parte attiva svolta dalle donne nel corso della storia – manuali che abbiano il coraggio di profetizzare un futuro in netta cesura con quello attualmente all’orizzonte ed esercitino a pensare la pace e a vedere che le concrete possibilità di costruirla attivamente senza fare ricorso alla violenza sono state più numerose di quelle che siamo abituati a credere” (Nota in calce 11). Oggi più che mai l’istituzione scolastica ha bisogno di volare alto e di darsi orizzonti educativi ‘umani’ e formativi: “Trasformare i sudditi in cittadini è un miracolo che solo la scuola può compiere” affermava Piero Calamandrei; mentre il maestro Mario Lodi diceva ai colleghi: “Cari insegnanti, non dimenticate che davanti al docente passa sempre il futuro: non solo quello della scuola, ma quello di un intero Paese”.

  Maria D’Asaro. 

NOTE IN CALCE:

Nota 1: Con riferimento ai seguenti testi del professore Andrea Cozzo: La nonviolenza oltre i pregiudizi, Di Girolamo editore, Trapani, 2022 e Conflittualità nonviolenta, Mimesis Edizioni, Milano, 2004 .

Nota 2: Andrea Cozzo, La nonviolenza oltre i pregiudizi, cit. p.14 .

Nota 3: Ibidem.

Nota 4: Ibidem, p. 17.

Nota 5: Ibidem, p. 161.

Nota 6: Ibidem, p. 163.

Nota 7: Ibidem, p. 168.

Nota 8:  Ibidem, pp.169-170.

Nota 9:  Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Le Vespe, Milano, 2000.

Nota 10:  Francesco Dipalo (a cura di), Democrazia, Diogene Multimedia, Bologna, 2016.

Nota 11: 11 Andrea Cozzo, La nonviolenza oltre i pregiudizi, cit. pp.62-64.

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