E’ possibile confrontarsi con la propria mortalità senza disperarsi? Monica Cornali, nel suo Vivere la morte come sorella (Effatà Editrice, Cantalupa 2022), risponde affermativamente e articola la sua risposta tentando “una sinergia tra la conoscenza della psiche umana, dei meccanismi e delle dinamiche che vi sono implicati, e la sfera spirituale” (p. 7). Ma va subito precisato che la spiritualità che l’autrice intende intrecciare con la psicologia non è sinonimo di religiosità né, ancor meno, di fede in senso confessionale: si riferisce a quella “ <<spiritualità>> che accomuna tutti gli esseri umani, che è preverbale e transculturale e che non necessariamente confluisce in un’adesione religiosa. Nel tentativo di non escludere, ma anzi accomunare tutti nella domanda di senso, nel desiderio del bene, nella volontà di significato e nella libertà della speranza, rispettando le proprie mappe concettuali, la propria storia di vita e i propri valori” (pp. 5 – 6).
Il registro
della ricerca di una spiritualità laica, basica, potenzialmente universale è
adottato come alternativa ad altri approcci al tema della morte che hanno ormai
mostrato la propria insufficienza. E’ il caso dell’approccio
scientifico-sperimentale che può descrivere sempre meglio la morte, non
certo interpretarla; è il caso delle grandi “narrazioni” ideologiche in
auge sino alla metà del XX secolo; ed è il caso della “prospettiva
giudaico-cristiana, così come è stata fino ad oggi interpretata”, ormai
“inadeguata a fornire orizzonti di senso all’uomo contemporaneo” (p. 29).
Dall’angolo
visuale di una sapienza antropologica la morte appare con due volti opposti tra
i quali ognuno è chiamato a scegliere: “ultima nemica” (cui soccombere senza
scampo o da sperare di vincere in virtù di qualche disegno divino) o “sorella”
(da abbracciare come parte della vita, anzi come suo compimento e sigillo).
L’autrice, come recita già il titolo del suo saggio, non ha dubbi nel preferire
la seconda prospettiva e prova a raccogliere argomenti, o per lo meno indizi e
allusioni, a suo favore. Per molti versi la sua trama rievoca la scommessa
pascaliana: l’ars moriendi tiene socchiusa
la porta di una qualche “sorpresa” (p. 38), ma se ad attenderci fosse il nulla
eterno avremmo comunque ottenuto il prezioso guadagno di aver vissuto con
intensità l’esistenza in ogni caso limitata a nostra disposizione. Infatti il memento
mori non mira ad avvelenarci le piccole e rare gioie dell’esistenza, quanto
“a relativizzare tante paure, progetti illusori, ridicole presunzioni,
esaltazioni comiche del proprio io, riconsegnando l’interiorità a quiete e
fiducia” (p. 75). La meditatio mortis non risponde alla legittima
domanda se ci sia vita dopo il decesso, ma ci aiuta a viverne una,
degna, prima.
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https://www.zerozeronews.it/confrontarsi-con-la-propria-mortalita-senza-disperarsi/
3 commenti:
Carissimo Augusto, ti sono molto grata per la bella recensione del mio libro sul tuo blog.
Mi auguro un giorno di poter fare qualcosa insieme.
Un abbraccio,
Monica Cornali
Bello l’articolo sulla mortalità: la meditatio mortis ... ci aiuta a viverne una, degna, prima.
Ciao, e.
La recensione sull'ars moriendi è, al solito, magistrale.
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