Il corpo gioia di Dio. La materia come spazio di incontro tra divino e umano (Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano 2023) non è tra i libri più originali di Teresa Forcades, la monaca benedettina di origini catalane, medico e teologa femminista. Nel primo capitolo, infatti, l’autrice espone considerazioni critiche ormai abbastanza note sull’antropologia tradizionale (platonica e cristiana) e sull’antropologia contemporanea che, almeno sotto alcuni aspetti, non costituisce il ribaltamento riabilitante che vorrebbe essere: infatti al corpo “seduttore”, “peccatore” e “punito” dell’etica ‘classica’ occidentale si sostituisce troppo spesso, nella cultura odierna, un corpo “oggetto di desiderio”, “discriminato” e “controllato”. Neanche il secondo capitolo – nel quale si tenta di recuperare gli aspetti positivi, apprezzabili, sia della tradizione cristiana (il corpo “pacificato”, “resuscitato” e “mistico”) che della prospettiva contemporanea (il corpo “liberato”, “integrato” ed “ecologico”) – mi pare aggiunga granché a quanto di solito si afferma sul tema.
Il blog di Augusto Cavadi, filosofo-in-pratica di Palermo, con i suoi appuntamenti pubblici in Italia e i suoi articoli.
domenica 5 maggio 2024
LA SIMBIOSI INTRAUTERINA CON IL CORPO DELLA MADRE E LA VIOLENZA DI GENERE
Trovo invece più intrigante il terzo capitolo dedicato
alla “peculiarità del corpo femminile”, soprattutto le pagine in cui - sulla base della letteratura
neurofisiologica e ginecologica recente – la Forcades si sofferma sul legame
originario di ogni essere con il corpo materno: “di fronte a un corpo di donna
si attivano leve molto profonde della psiche umana che hanno a che vedere con
l’esperienza materna e con l’ambivalenza che le è propria. La madre rimanda a
un’unità senza crepe in cui non c’è posto per l’alterità; rimanda a un momento
anteriore alla propria differenziazione soggettiva.
Da qui l’ambivalenza, in quanto tale momento può essere percepito in maniera
molto intensa come pienezza o piacevole riposo di cui si ha nostalgia e che si
desidera sperimentare di nuovo, o come minaccia all’autonomia personale che si
vuole evitare ad ogni costo. L’esperienza materna evocata dal corpo femminile è
fondamento e riferimento della propria relazionalità costitutiva”. Questo
legame primigenio per alcuni versi (flusso sanguigno e ormoni materni) viene
interrotto dal taglio del cordone ombelicale, ma per un fattore almeno “perdura
nel corso di tutta l’infanzia e si prolunga nella vita adulta”. Questo
“qualcosa che accompagna la relazione madre-figlio in maniera permanente” è “la
voce materna” che percepiamo non appena l’ovulo è stato fecondato, prima ancora
della formazione del “primo rudimento dell’orecchio interno (la vescicola
auditiva)”: affinché questo accompagnamento continuo durante tutto lo sviluppo
intrauterino si produca “non è necessario che la madre parli
ininterrottamente”: “il fatto stesso di pensare, di sognare o di leggere anche
solo per sé fa vibrare le corde vocali in maniera sufficiente perché la vibrazione
emessa arrivi allo spazio intrauterino”. Tra le molte conseguenze di questa
simbiosi “precedente a ogni differenziazione soggettiva” ce n’è una che
interessa quanti si occupano di violenza di genere. Infatti se il neonato si
identificherà con “l’essere donna”, l’esperienza originaria del corpo materno
lo indurrà a sentirsi responsabile del “benessere fisico ed emotivo di coloro
che amiamo in un modo che avremo difficoltà a distinguere dalla nostra identità
personale”; se invece si identificherà al maschile, si aspetterà che le donne
amate si prendano cura del suo “benessere fisico ed emotivo in un modo che
avremo difficoltà a distinguere dalla loro identità personale”.
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1 commento:
Spunto interessante, da approfondire ulteriormente. Grazie, caro Augusto, della tua preziosa opera di di divulgazione.
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