“ADISTA /Segni nuovi”
12.4.2024
Nel suo recentissimo
La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al
2019 (Rubbettino Editore, Soveria Mannella 2024) il sociologo Luca
Diotallevi rappresenta in numeri ciò che, a naso, tutti abbiamo constatato in
questi anni: una decrescita quantitativa dei frequentatori abituali di
celebrazioni liturgiche in generale e delle messe domenicali in particolare (passati
dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019). Se si
considera che il trend negativo non è stato certo frenato nei tre anni
di covid e che, comunque, gli anziani che non rinunziano alla funzione festiva
sono più dei giovani, tutto fa supporre che le chiese si svuoteranno quasi
completamente nel prossimo decennio (attestandosi a una media europea di
fedeli del 10% circa della popolazione
complessiva).
Le (poche) reazioni a
questi dati statistici sono ovviamente differenziate.
La più miope è
probabilmente da parte delle aree tradizionaliste e conservatrici che, non
senza fallacia logica, attribuiscono questi effetti negativi a eventi solo
cronologicamente antecedenti (ad esempio il passaggio dalla lingua latina alle
lingue nazionali o dal piglio autoritario di Giovanni Paolo II e di Benedetto
XVI allo stile comunicativo più mite e dialogico di un papa Francesco).
Solo apparentemente
opposta la reazione da parte delle aree progressiste del mondo cattolico che
lamentano un’eccessiva cautela nel rinnovamento liturgico e ipotizzano curve
statistiche più incoraggianti nel caso che si fosse stati più audaci nelle
sperimentazioni (ad esempio innovando i generi musicali o introducendo forme di
danza): infatti anche questi settori riformisti sembrano non cogliere il
nocciolo della questione. Che, ad avviso mio ma non soltanto mio, è
individuabile solo se si prende sul serio il nesso (più volte evidenziato nella
storia bimillenaria del cristianesimo) fra lex orandi e lex credendi
: se è possibile risalire dalle modalità
della preghiera liturgica alle convinzioni di fede, perché non sarebbe
altrettanto logico e legittimo risalire dalle difficoltà delle celebrazioni al
traballare delle credenze? Il cuore della crisi è dottrinario, teologico: le
parole, i gesti, i simboli delle liturgie veicolano dogmi, annunzi, professioni
ricevibili a-problematicamente solo da persone che non capiscono che cosa ascoltano e che cosa ripetono
pappagallescamente. Sin dal segno della croce iniziale affermiamo di sapere non
solo che Dio è, ma anche chi è: una comunità trinitaria. Poi, via via, che il
Secondo dei Tre ha assunto nel tempo la natura umana (così che Gesù va adorato
non come una persona umana colmata dalla grazia divina, ma come una Persona
divina che senza cessare di essere tale ha fatto proprie alcune caratteristiche
antropologiche); che questa “incarnazione” è stata funzionale alla morte
redentiva dell’Agnello senza la quale l’umanità sarebbe rimasta per sempre ciò
che l’avrebbe resa un’improbabile coppia di progenitori: una “massa dannata”. E
così via fantasticando, sino ai dogmi mariani, all’angelologia e alla
demonologia. Senza questi presupposti ritenuti indiscutibili perché
inspiegabili, che senso hanno – nella formulazione attuale – i sacramenti e, in
particolare, l’eucarestia? Ma se le scienze bibliche ci mostrano al di là di
ogni ragionevole dubbio che l’intera catechesi cattolica non poggia sui Sacri
Testi e che, anche se qua e là così fosse, tali Testi non sono più “sacri”
della grande letteratura religiosa di tutte le epoche e di tutte le aree del
pianeta, con che leggerezza di cuore si possono celebrare le liturgie
sacramentali ? Solo quattro leghisti di provincia e quattro fascistelli di periferia
urbana possono trovare senso nelle cerimonie tradizionali (che per altro difendono
più di quanto effettivamente le frequentino) nel tentativo di aggrapparsi a
radici identitarie per rinfocolare l’odio (anti-evangelico) contro gli
stranieri.
Se la Chiesa cattolica
rinunziasse alla sessuofobia genetica consentendo ai preti di vivere non più
clandestinamente la propria vita sessuale (etero ed omo-affettiva); se abolisse
le relazioni di potere fra clero e fedeli che stanno alla radice di tanti abusi
psicologici e fisici; se riconoscesse anche istituzionalmente la pari dignità
di maschi e femmine; se avesse meno miliardi nelle banche, meno cardinali
corrotti, meno esenzioni fiscali…tutto questo sposterebbe di molte unità le statistiche
dei fedeli praticanti? Sono certo di no. Non è vero che le masse disertano le
messe perché scandalizzate dal comportamento dei sedicenti credenti e, di
conseguenza, smettono di “credere”; piuttosto smettono di “credere” quando sia
pur minimamente leggono, riflettono, si confrontano fra loro e con gli studiosi
competenti e, di conseguenza, non vanno più a messa. Non è l’eclissi della
preghiera comunitaria a provocare l’abbandono delle professioni di fede, ma
l’abbandono delle professioni di fede a provocare l’eclissi della preghiera
comunitaria.
La Chiesa cattolica dal
Concilio di Trento al Modernismo della prima metà del XX secolo ha consumato un
divorzio dalla filosofia, dalle scienze umane e naturali, dai grandi movimenti
di liberazione sociale e politica riducendosi alla caricatura di ciò che era in
origine: una comunità soft, organizzata in maniera ‘leggera’, di quanti
– innamorati della proposta evangelica di rendere l’inferno della storia un
paradiso divino innaffiato di giustizia, solidarietà, libertà, nonviolenza, speranza,
coltivazione della Terra e condivisione gioiosa dei suoi frutti – si volevano
sostenere a vicenda nel perseguimento di questo ideale e nella testimonianza
corale della sua validità al cospetto del “mondo”. Invece si è chiusa a riccio
nella sua arrogante presunzione di aver capito tutto, di non aver nulla da
imparare da nessuno, di aver tutto da insegnare a tutti. Se per ‘fede’
intendiamo un’apertura incondizionata all’essere, al vero, al bene, al bello,
al santo… la comunità dei cristiani ha soffocato la sua “fede” imprigionandola
progressivamente in una matassa ingarbugliata di speculazioni teologiche e di
divieti morali. Ne ha sterilizzato la
tensione rivoluzionaria originaria e l’ha imbalsamata nel format tipico
della “religione” burocratizzata.
E’ ancora in tempo per
rifondarsi, per confessare la fragilità dei propri fondamenti dottrinari e per
affrontare una stagione radicalmente nuova di domande, di dubbi, di
ipotesi…abbarbicandosi all’unica certezza della regola aurea (“fare agli
altri ciò che si volesse che gli altri facessero a noi”), proposta prima e dopo
di Cristo da altri profeti e sapienti, ma dal Maestro palestinese riproposta
con particolare intensità di accenti ed eloquenza d’esemplarità? Francamente
ritengo che sia troppo tardi. Vediamo che neppure i più timidi tentativi di un
papa - pur preceduto nel passato e
sostenuto nel presente da tanti bravi credenti – riescono ad arrivare a
realizzarsi per l’opposizione, esplicita o sorda, degli “ortodossi” (tanto più
pericolosi quanto più sinceramente convinti di stare difendendo la
“rivelazione” di un Dio infallibile).
Se le mie previsioni si
rivelassero veritiere, non per questo l’umanità dovrebbe sprofondare nella
disperazione. La storia umana è un terreno zeppo di semi preziosi da Socrate a
Budda, da Confucio a Gesù, da Francesco d’Assisi a Teresa d’Avila, da
Shakespeare a Leopardi, da Gandhi a Che Guevara, da Martin Luther King a Nelson
Mandela, da Albert Schweitzer a Thich Nhat Hanh, da Rita Levi Montalcini a Liliana
Segre: si tratta di rintracciarli devotamente, di provare a trapiantarli nelle
nostre vite, di lasciare che crescano ed esplodano in forme inedite. Questa è
la Tradizione nel senso più autentico, ricco, promettente: esattamente all’opposto
del tradizionalismo necrofilo, che preserva mummie, porta in grembo l’unico
futuro possibile in alternativa al suicidio collettivo.
Augusto Cavadi
3 commenti:
Davanti alla progressiva diserzione dei credenti dalle attività cultuali, penso a una "sana infedeltà", se posso dire, di persone non più disponibili ad accettare acriticamente qualunque dogma, di gente che osa mettere in dubbio la ragionevolezza delle incomprensibili affermazioni ortodosse. Penso insomma che sia giusta la pretesa di voler capire, di condividere la visione del mondo che la fede della religione istituzionale propone, ma anche di non condividere.E perfino trovare lo spazio per qualche "eresia",anche la libertà di sbagliare nella personale onesta ricerca. La religione, dopo averla frequentata per un tempo variabile, dovrebbe dovere e persino voler lasciare andare oltre, le persone, indicando la religione una verità che nemmeno la religione possiede. Forse la religione "giusta" è quella che ti lascia andare via, e andare via è la migliore possibilità che ti resta per continuare a respirare.
Sebastiano Maiellaro
Analisi lucida e acuta, grazie.
Il problema antropologico ed etico posto dal declino della fede religiosa è come traghettare in un orizzonte laico il tesoro, anche evangelico, della fraternità umana, senza il quale l'umanità rischia di sbandare...
Bella la tua pagina sulla messa è finita.
Ciao, e.
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