“Nonmollare”. Quindicinale post azionista
| 146 | 18 marzo 2024
Su
donne cattive e patriarcato: qualche osservazione critica
di Augusto Cavadi
Il numero del 24 novembre 2023 dell’interessante
rivista on line “Non mollare” ospita l’intervento Donne cattive e
patriarcato a firma di Giovanni Perazzoli. L’autore denuncia la «solita
sarabanda di generalizzazioni e strumentalizzazioni» cui siamo costretti ad
assistere ogni volta che una donna viene massacrata da un uomo. È un fenomeno
tristemente noto anche in tante altre questioni: di mafia, di
tossicodipendenze, di incidenti sul lavoro, di commercio di armi…si parla da
un’emergenza all’altra. Nel mezzo, inerzia e silenzio. Esistono movimenti come
“Maschile plurale” che, ormai da decenni, si occupano di maschilità tossica e di
violenza di genere 365 giorni l’anno, ma sono le eccezioni a conferma della
regola. Tanto rare che neppure Perazzoli sembra averne notizia.
Per
suffragare tale (a mio avviso corretta) osservazione generale, egli offre
alcune esemplificazioni. Ogni femminicidio «per l’intellettuale di destra è
l’occasione per recuperare, ancora una volta, il ritornello sulla perdita dei
Valori Veri nella società occidentale, decadente e tristemente individualista.
Fino al grottesco: “c’è troppa cattiveria nelle donne, al giorno d’oggi”». Per
quanto riguarda «l’intellettuale di sinistra» («per lui è l’occasione per
passare a un nuovo linguaggio roboante fatto, adesso, di patriarcato, violenza
di genere, maschilità tossica e cercare così di accreditarsi con un movimento
che sembra che tiri. Naturalmente, il privato è politico e non si parli di
disagio psicologico: servono la rivoluzione e la vera democrazia») forse
Perazzoli pecca di sottovalutazione (i commentatori ‘progressisti’ non tacciono
sulle matrici psicologiche degli atti di violenza maschile, anzi talvolta
cedono alla tentazione di spiegare tutto con la psicopatologia) e di
sopravvalutazione (magari ci fossero davvero commentatori ‘progressisti’ che
osassero parlare ancora di “rivoluzione”!). In entrambi i versanti
politico-culturali, comunque, l’errore consisterebbe nel «prendere un fatto di
cronaca e inquadrarlo dentro una cornice già pronta»: «un sistema di concetti e
parole (e.g., il patriarcato) o di narrative (e.g., la crisi dei valori) che ci
danno l’impressione di spiegare di colpo il mondo».
Da qui la terapia: «per capire il problema del
femminicidio occorrerebbe tanta ricerca empirica. Di più non è onesto dire, o
meglio non è onesto farlo con la sicumera di chi ha solo lo scopo di affermare
una propria metafisica».
Se sino a
qua Perazzoli risulta sostanzialmente convincente, lo diventa molto meno quando
– per facilitarsi l’argomentazione – offre un ritratto caricaturale degli
uomini che si esprimono contro il sistema androcentrico-maschilista: «uomini
che hanno scoperto, di colpo, la luce della verità che li rivelava a loro
stessi: siamo degli assassini potenziali». Ora: può darsi che simili
“autoaccuse” («inquietanti, se non facessero parte della farsa») l’autore
dell’articolo in esame le abbia lette da qualche parte, ma allora farebbe bene
a indicare dove. Perché nessuno dei commentatori (di destra, di sinistra o di
centro) che ho sinora letto ha negato mai che «la responsabilità è sempre
individuale» né che «le responsabilità collettive o di genere non esistono». Quando
alcuni di noi, che ci riconosciamo nel movimento nazionale “Maschile plurale”,
denunciamo la “violenza di genere” non intendiamo certo criminalizzare il
genere maschile (cui per altro apparteniamo totalmente) mettendo, nello stesso
calderone, i maschi arroganti e cialtroni ed i maschi rispettosi e solidali.
Intendiamo gettare luce su un dato di fatto storico, sociologico,
istituzionale:
* che,
nonostante tanti progressi (in Occidente!), i nostri sistemi
culturali-giuridici-economici non garantiscono la pari dignità né le pari
opportunità fra i cittadini e le cittadine.
* Che in
questo contesto ogni tentativo di emancipazione di una donna viene percepito
come insubordinazione, ribellione, anomalia da reprimere con ogni mezzo.
* E che di
questi squilibri sono responsabili tutti gli uomini e tutte le donne che non
fanno nulla per contrastarli, ma non gli uomini né le donne che fanno di tutto
per sanarli.
È questo il
vero nocciolo della discussione: non se sia scientifica o meno «un’idea della
società patriarcale mistica e ineffabile, che è dovunque e in ogni luogo», ma
se sia vero che in tutti i Paesi del mondo, a parità di altri parametri, la
condizione maschile (anche per complicità femminile!) sia privilegiata rispetto
alla condizione femminile. Se questa sperequazione ingiusta fosse
‘scientificamente’ dimostrabile (come sono convinto), si potrebbe condividere
un’ipotesi che invece «non convince sino in fondo» Perazzoli: che si registra
un più alto numero di femminicidi in Paesi (come Lituania, Germania, Francia,
Olanda) dove le donne si ribellano di più al sistema maschilista rispetto a
Paesi (come l’Italia e la Grecia) dove il patriarcato è più resistente e ha
dunque meno motivi per punire le contestatrici. In questa prospettiva,
Perazzoli si rassicuri: «la violenza di genere nel senso del genitivo
soggettivo» non «suona illiberale», non «suona come un processo alle
intenzioni», non «suona come la pretesa che un’autorità pubblica sancisca
l’esistenza di un “peccato originale” del foro interno». Solo degli scemi (o
delle sceme: l’idiozia è distribuita democraticamente in pari misura fra i
sessi) possono pensare/dire che la biologia rende ogni maschio aggressivo e che
dall’aggressività alla violenza il passo sia breve. Perciò egli affermi pure –
se gli sembra utile – che «non tutti i maschi uccidono» (e che avesse ragione
Konrad Lorenz quando scrisse: «se potete passare con la stessa disinvoltura dal
tagliare una lattuga, a uccidere una mosca e poi uccidere un gatto, siete
pregati di suicidarvi»). Ma sappia che nessuno – a meno di prove in contrario
di cui prenderei volentieri conoscenza – ha mai sostenuto il contrario.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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