Ernesto Buonaiuti (1881 – 1946) è stato due volte perseguitato: come prete cattolico dalla sua Chiesa (in quanto “modernista”) e come docente universitario dallo Stato fascista (cui negò, insieme a soli undici colleghi in tutta Italia, il giuramento di fedeltà ideologica). Uno dei suoi testi più significativi, La Chiesa romana, edito originariamente nel 1932, è adesso ripubblicato da Gabrielli Editori (San Pietro in Cariano, 2023) a cura di V. Bellavite e P. Urciuoli, nell’ottica di una possibile riabilitazione di quanti in passato hanno avuto la lucidità e il coraggio di dire ciò che oggi risulta ovvio; almeno agli occhi di coloro che – credenti o meno – sono emersi dall’analfabetismo teologico in cui versa la maggioranza della popolazione nei Paesi di tradizione cattolica.
Come spiega
brillantemente Gilberto Squizzato nella Prefazione, a risultare
intollerabile alle gerarchie vaticane fu, prima che singole tesi, la
metodologia dello studioso scomunicato expresse vitandus (“fortemente da
isolare”, in vita e perfino da cadavere). Metodologia i cui nuclei essenziali
furono tre: “l’uso del metodo storico” per verificare se davvero c’è una
continuità sostanziale fra l’insegnamento del Magistero ecclesiastico e
“l’ossatura primordiale del messaggio evangelico” (p. XIII); la critica del
pessimismo antropologico (il peccato come tendenza originaria dell’umanità) e
della conseguente necessità dell’opera del clero, casta “tutta maschile e
maschilista” “insignita di poteri soprannaturali” (p. XVI); la denunzia del
“peccato storicamente più grave e imperdonabile” della Istituzione cattolica,
vale a dire il “pavido calcolo opportunistico” che la rende quasi sempre, come
ai tempi delle due Guerre mondiali del XX secolo, “rassegnata spettatrice davanti alle guerre fratricide dei cristiani
d’Europa”, soprattutto perché ha rinunziato ad annunziare vitalmente (come Gesù
di Nazareth) un Regno di pace e di
giustizia in questo mondo, preferendo promettere “un cielo evanescente e
smaterializzato post mortem” (pp. XVII – XVIII).
Come
sintetizza Pietro Urciuoli nel saggio introduttivo, Il libro più
significativo del Buonaiuti (p. XXXI), “La Chiesa romana si articola in cinque
capitoli che danno già un’idea del taglio che l’Autore ha voluto imprimere
all’opera: Quel che pretende di essere, Quel che è stata, Quello
che è, Quel che potrebbe essere, Quel che sarà. Un bilancio,
quindi, dello sviluppo storico e teologico della Chiesa romana nel corso di due
millenni e una prospettiva sul suo prossimo futuro in rapporto a un mondo in
rapida evoluzione” (p. XXXIV).
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