lunedì 25 marzo 2024

ERNESTO BUONAIUTI, PRETE SCOMUNICATO DALLA CHIESA CATTOLICA E DOCENTE LICENZIATO DAL GOVERNO FASCISTA

 Ernesto Buonaiuti (1881 – 1946) è stato due volte perseguitato: come prete cattolico dalla sua Chiesa (in quanto “modernista”) e come docente universitario dallo Stato fascista (cui negò, insieme a soli undici colleghi in tutta Italia, il giuramento di fedeltà ideologica). Uno dei suoi testi più significativi, La Chiesa romana, edito originariamente nel 1932, è adesso ripubblicato da Gabrielli Editori (San Pietro in Cariano, 2023) a cura di V. Bellavite e P. Urciuoli, nell’ottica di una possibile  riabilitazione di quanti in passato hanno avuto la lucidità e il coraggio di dire ciò che oggi risulta ovvio; almeno agli occhi di coloro che  – credenti o meno – sono emersi dall’analfabetismo teologico in cui versa la maggioranza della popolazione nei Paesi di tradizione cattolica.

Come spiega brillantemente Gilberto Squizzato nella Prefazione, a risultare intollerabile alle gerarchie vaticane fu, prima che singole tesi, la metodologia dello studioso scomunicato expresse vitandus (“fortemente da isolare”, in vita e perfino da cadavere). Metodologia i cui nuclei essenziali furono tre: “l’uso del metodo storico” per verificare se davvero c’è una continuità sostanziale fra l’insegnamento del Magistero ecclesiastico e “l’ossatura primordiale del messaggio evangelico” (p. XIII); la critica del pessimismo antropologico (il peccato come tendenza originaria dell’umanità) e della conseguente necessità dell’opera del clero, casta “tutta maschile e maschilista” “insignita di poteri soprannaturali” (p. XVI); la denunzia del “peccato storicamente più grave e imperdonabile” della Istituzione cattolica, vale a dire il “pavido calcolo opportunistico” che la rende quasi sempre, come ai tempi delle due Guerre mondiali del XX secolo, “rassegnata spettatrice  davanti alle guerre fratricide dei cristiani d’Europa”, soprattutto perché ha rinunziato ad annunziare vitalmente (come Gesù di Nazareth)  un Regno di pace e di giustizia in questo mondo, preferendo promettere “un cielo evanescente e smaterializzato post mortem” (pp. XVII – XVIII).

Come sintetizza Pietro Urciuoli nel saggio introduttivo, Il libro più significativo del Buonaiuti (p. XXXI),  “La Chiesa romana si articola in cinque capitoli che danno già un’idea del taglio che l’Autore ha voluto imprimere all’opera: Quel che pretende di essere, Quel che è stata, Quello che è, Quel che potrebbe essere, Quel che sarà. Un bilancio, quindi, dello sviluppo storico e teologico della Chiesa romana nel corso di due millenni e una prospettiva sul suo prossimo futuro in rapporto a un mondo in rapida evoluzione” (p. XXXIV).

Ottant’anni dopo il suo decesso, Buonaiuti non ha vinto: come nota amaramente nel suo contributo Vittorio Bellavite, neppure papa Francesco ha ritenuto opportuno cancellare “lo stigma dei provvedimenti canonici presi nei suoi confronti” (p. XXIV), nonostante un appello in questo senso del 2014 (riportato integralmente alle pp. XXVI – XXX) . Ma se la persona non ha vinto, le sue idee sono ormai diffuse nella società colta e nello stesso mondo cattolico. Riprese, approfondite, rilanciate nel Concilio ecumenico Vaticano II e soprattutto nei dibattiti contemporanei, oggi più di ieri si stagliano come una lama divisoria. Sino al punto che provocheranno un ennesimo strappo all’interno della Chiesa cattolica? Forse.

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