CHIESA NOSTRA
Nei quarant’anni in cui cerco di decifrare i rapporti fra le Chiese
cristiane (in particolare la cattolica in cui mi sono formato) e le mafie (in
modo particolare Cosa Nostra) sono stato oggetto di obiezioni di segno opposto
perché l’onestà intellettuale mi ha vietato di aderire alla logica del tutto-bianco
o tutto-nero. Fuor di metafora: non ho condiviso né il trionfalismo clericale
(“la Chiesa è un baluardo contro la mafia”) né lo scandalismo laicista (“la
Chiesa è l’alleata più stretta dei mafiosi”). Infatti mi sono convinto che
preti e fedeli praticanti non fanno eccezione rispetto alla tipologia dei
concittadini siciliani (meridionali): agli estremi dell’arco statistico, da una
parte una minoranza di mafiosi o para-mafiosi; dalla parte opposta, una minoranza
di attivamente anti-mafiosi; nel mezzo una grande maggioranza che vegeta
oscillando fra i due fronti nell’illusione di un’impossibile neutralità.
Secondo Giovanni Falcone è questa maggioranza di incerti, di ignavi,
che nel lungo periodo può decidere la partita. Quali strategie si potrebbero
attivare per favorire l’esodo di un numero quanto più grande possibile di
cattolici da questa area grigia intermedia costituita da equilibristi inetti?
a)
Innanzitutto
verso una conoscenza della mafia di ieri e, soprattutto, di oggi che
vada al di là degli stereotipi. Una sociologa, Graziella Priulla, quarant’anni
fa denunziava in proposito il passaggio dal silenzio al rumore. Da allora sono
stati editi per fortuna dei volumi scientificamente rigorosi, ma su registri
comunicativi inaccessibili agli uomini e alle donne di strada. Andrebbero
dunque individuati e valorizzati i testi che si propongono di occupare lo
spazio intermedio fra la ricerca degli specialisti e le risorse della gente
comune. Negli ambienti cattolici circolano
questi libri che ‘traducono’ via via i risultati delle indagini accademiche e
giudiziarie? Mi pare che il livello d’informazione sulla tematica sia pari a
ogni altro settore della società: poco sopra lo zero. Né i seminaristi, le suore, gli insegnanti di
religione, i catechisti e le catechiste costituiscono un’eccezione. I giovani
preti, anche se animati da buone intenzioni, non hanno gli attrezzi culturali
per leggere il territorio, ma per la mafia è proprio come per l’Aids: solo se la
conosci, la eviti.
b)
Considerata
nella sua struttura complessiva la mafia appare un soggetto non solo criminale,
ma anche politico. Senza il rapporto organico con la politica
istituzionale la mafia non è mafia, ma delinquenza o banditismo. Da qui la
necessità, su cui ritornava Paolo Borsellino, di usare l’arma della matita
nelle urne elettorali. Ecco un altro ambito in cui il mondo cattolico si
dimostra o troppo ingenuo o, in altri casi, troppo cinico. Se un candidato in
campagna elettorale sbandiera la propria appartenenza ecclesiale come strumento
di propaganda e si prodiga in iniziative assistenziali, va per questo sostenuto
con i voti dei cattolici? In questi mesi assistiamo allo spettacolo desolante di
politici che – dopo aver scontato la pena detentiva per favoreggiamento personale
verso persone appartenenti a Cosa Nostra e rivelazione di segreti d’ufficio - invece
di dedicarsi al volontariato, come promesso, sono nuovamente attivi nelle
competizioni elettorali, forti di una rete di relazioni clientelari radicata
nel giro delle parrocchie e dell’associazionismo cattolico.
c)
Il
sistema di dominio mafioso ha anche una dimensione economica.
Contrastarlo significa dunque, da una parte, rifiutarsi di finanziarlo (per
esempio pagando il pizzo) e, dall’altra, rifiutarsi di essere finanziati (per
esempio accettando contributi pubblici preferenziali e donazioni private di
origine oscura). Il teologo don Giuseppe
Ruggeri insiste da decenni su questo aspetto: solo una Chiesa povera
smetterà di essere oggetto privilegiato di corteggiamento da parte dei mafiosi e, libera da debiti di
gratitudine, potrà alzare la voce credibilmente nella denunzia della corruzione.
d)
Non
pagare il pizzo, rifiutare privilegi economici: impossibile senza un’energia etica.
E’ questa la dimensione in cui le Chiese cristiane (ma direi tutte le comunità
confessionali presenti in Italia) dovrebbero essere, per così dire,
specialiste. Ma è così? Davvero l’etica predicata e praticata nella Chiesa
cattolica è radicalmente alternativa
all’ethos mafioso (intriso di sete di potere e di denaro, paternalismo,
maschilismo, familismo, campanilismo, specismo, spregio delle bellezze
naturali)? Nelle omelie domenicali, nelle confessioni individuali e comunitarie,
nella preparazione alla cresima e così via, quanto si insiste sulla necessità
di testimoniare, inseparabilmente dal messaggio religioso, i valori
antropologici della verità, della giustizia, della libertà?
e) La mafia – soggetto criminale, economico, politico – non è solo caratterizzato da una propria etica, ma tende a trasmetterla pedagogicamente. Le comunità cristiane sono consapevoli di questa sfida pedagogica e attrezzate a contrastarla per tentare, come ama dire il mio amico don Cosimo Scordato, di “strappare una generazione alla mafia”? Non si tratta di degradare l’educazione al mero contrasto (“anti”), ma di puntare “oltre” la tavola dei valori mafiosi: testimoniando modalità di convivenza comunitaria caratterizzate dal culto del senso critico, dal rispetto della legalità democratica, dall’intolleranza nonviolenta delle sperequazioni socio-economiche, dalla solidarietà soprattutto con i marginali, dalla parificazione dei diritti delle donne, dalla cura per il creato e in particolare per i nostri fratellini animali…
Augusto Cavadi
www.augustocavdi.com
Per la versione originaria illustrata cliccare qui:
https://www.zerozeronews.it/chiesa-e-mafia-lampi-di-verita-fra-ignavia-collusioni-e-ipocrisie/
Nessun commento:
Posta un commento