ROMANZO PANTESCO DI AMORI E DI VINI
Cucurummà (Aporema Edizioni, 2023), romanzo di esordio di Lucia Boldi, ha tre
protagoniste in carne ed ossa (Leontina, la madre Teodolinda e la nonna Elena)
ed una protagonista in pietra e vento: l’isola di Pantelleria, culla delle tre
donne ma anche rifugio ristoratore della più giovane ogni volta che le vicende
dell’esistenza la spingono a cercare un grembo dove trovare conforto e
ri-motivazione. Il titolo dell’opera – il nome di un cibo tipico dell’isola a
metà strada fra la Sicilia e l’Africa – è una sorta di sineddoche: indica una
parte per il tutto. Forse qualcosa di più: infatti la cucurummà non è
soltanto un pezzo significativo del mosaico Pantelleria, ma, dal momento che
nonna Elena la cucinava “ogni volta che c’era un brutto momento da superare,
una pena da confortare e una decisione importante da prendere”, ne è una sorta
di cifra, di simbolo, di metafora.
Ogni lettore, ovviamente, ipotizzerà una sua chiave
interpretativa. A me, forse per deformazione professionale, è riuscito
spontaneo individuare come centro propulsore del racconto una domanda
filosofica (a cui l’autrice, da letterata, offre una risposta non astrattamente
concettuale, ma concretamente narrativa): che senso ha la nostra vita mortale?
“Faticava a trovare un senso alla propria vita. Si sentiva un’ingrata. Sapeva
di aver avuto abbastanza: un marito, due figli amorevoli e perfino un discreto
benessere economico, ma lei desiderava di più. Forse un senso più profondo che
andasse oltre la sicurezza materiale e la serenità degli affetti” (p. 95). La
pagina mi ha evocato un personaggio de La dolce vita di Federico
Felllini, lo scrittore di successo Enrico Steiner con una moglie molto bella e
dei bambini adorabili, che avverte tuttavia un’inquietudine esistenziale
insopprimibile. Nel film la risposta a tale morso è tragica, in questo racconto
è tecnicamente romantica: Leontina, infatti, intuisce che “non si sentiva amata
e al tempo stesso dubitava di amare suo marito” (ivi) e coglie con coraggio la
possibilità insperata che la vita le offre di sperimentare l’eros in
tutta la sua potenza dirompente (con accenti che richiamano la fenomenologia
dell’innamoramento secondo Saffo, l’autrice scrive che “era pervasa da un
piacere profondo e sconosciuto, che la faceva sentire priva di forze”, p. 114).
Ma l’eros è una delle molte facce dell’amore. Possiamo
fissarci su di esso, bloccarci; oppure attraversarlo come una pista di decollo
per andare oltre. E’ quanto accade a
Leontina: “Era convinta che l’amore fosse la chiave di tutto, non solo quello
per un uomo, ma anche per le piante, gli alberi, gli animali, per l’universo
intero. Attraverso il sentimento profondo e doloroso per Khaled si era aperta e
adesso riusciva a cogliere la meraviglia di ogni cosa” (p. 208). L’approdo è
dunque in linea con sapienze antiche che la letteratura recupera e rilancia,
come il Siddharta di Herman Hesse: “Ed eccoti ora una dottrina della quale
riderai: l’amore, o Govinda, mi sembra di tutte la cosa principale. Penetrare
il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere l’opera dei grandi filosofi. Ma a
me importa solo di poter amare il mondo, non disprezzarlo, non odiare il mondo
e me; ame importa solo di poter considerare il mondo, e me e tutti gli esseri,
con amore, ammirazione e rispetto”.
Augusto Cavadi
Per l’edizione originale illustrata:
https://www.zerozeronews.it/cucurumma-romanzo-pantesco-di-vini-e-amori/
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