Il natale di Gesù segna l’anno zero dei calendari più diffusi sul pianeta:
merito delle qualità eccezionali del Personaggio – unica incarnazione di Dio in
terra - o dell’imperialismo culturale-economico dei suoi fedeli? La
globalizzazione ci costringe a relativizzare vecchie certezze, ad apprendere
nuovi sguardi sulla storia dell’umanità. Che si trova nell’anno 2023 d. C., ma
anche nel 1444 per gli islamici, nel 5783-5784 per gli ebrei, nel 4720 per i
cinesi…
Per i fondamentalisti di tutte le chiese cristiane (purtroppo non certo
assenti nella Chiesa cattolica romana) il ridimensionamento teologico e
storiografico di Gesù sarebbe una deminutio intollerabile, offensiva: o
egli è una Persona divina che, a un certo momento della storia universale, ha
assunto anche dei caratteri propri della natura umana oppure il suo profilo e
il suo messaggio sprofondano nell’insignificanza. Ma è così? L’alternativa è
davvero così secca, netta?
Proprio la rilettura dei brani
biblici proposti dalla Liturgia odierna ci aiuta a capire che per i primi cristiani l’ammirazione,
la fiducia, la gratitudine verso il Maestro non comportavano alcuna esaltazione
esclusivista della sua persona. Quando nel Secondo Testamento troviamo toccanti
proclamazioni di devozione verso di Lui, dobbiamo interpretarle sul registro di
tutte le grandi dichiarazioni d’amore,
non come attestati di superiorità
in comparazione con altre figure spirituali dell’umanità (per altro
sconosciute agli autori dei testi biblici).
Proviamo a leggere il brano evangelico odierno (Lc 2, 1-14) senza gli occhiali della elaborazione dogmatica dei venti secoli successivi: i genitori vengono presentati come comuni coniugi in attesa del primogenito; come comuni sudditi obbedienti agli editti di Cesare Augusto; come comuni viaggiatori in trasferta la cui modesta disponibilità economica impedisce di trovare ospitalità alberghiera in occasione di mobilitazioni generali. Ma c’è di più: i primi ad essere informati e ad accorrere alla culla del neonato sono pastori. Nulla di poetico, di bucolico: i pastori sono i paria della società del tempo, i reietti di cui si diffida perché trascorrono più tempo in intimità con bestie che con propri simili. E’ molto probabile che qui il redattore del vangelo secondo Luca stia non riferendo vicende cronachistiche effettivamente avvenute, bensì proiettando retrospettivamente la sorte paradossale del Messia, la cui “corte” regale è stata costituita prevalentemente da marginali e la cui stessa morte è stata tipica dei peggiori “scarti” della società.
Il profilo che – retrospettivamente – il redattore del terzo vangelo restituisce del Messia è dunque fortemente demitizzante: non è l’avatar di nessun dio né un semidio. E’ la storia di un uomo che appartiene al popolo, al laòs; di un ‘laico’ nel senso più radicale del termine. Di un predicatore nomade che non aspira né a troni né a cattedre né a pulpiti: che non annunzia se stesso, bensì l’imminenza di un “regno” qualificato “celeste” per la sua origine divina, non per la sua destinazione in altri mondi. La fede del cristiano di oggi non ha dunque nulla di incompatibile, né di concorrenziale, rispetto ad altre fedi, ad altre sapienze, ad altre tradizioni. Non è “cristocentrica”, e neppure “teocentrica”: è “regno-centrica”, dunque concentrata nell’operosa speranza che questa umanità devastata dalla cupidigia, dall’odio, dalla prepotenza dei più violenti sui più deboli, dalle ingiustizie sistemiche più eclatanti – questa umanità tanto difficile da amare così com’è stata sino ad ora, si converta e sopravviva.
Augusto Cavadi
2 commenti:
Mio caro Augusto, tu hai il dono di pensare bene e scrivere bene, laddove io con difficoltà intuisco qualcosa che poi non riesco a mettere per iscritto. Quando ti leggo provo una gioia, come se io stesso fossi riuscito a scrivere. Un abbraccio riconoscente.
Sebastiano
Grazie Sebastiano delle tue parole, tanto più gradite quanto so sincere.
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