sabato 30 dicembre 2023

MENTALITA' FEMMINISTA E CULTURA PACIFISTA

 



"Adista/Notizie", 41, 2023

Maria donna di pace 

1 gennaio 2024

Lc 2, 16-21.

 Sappiamo che la disputa sull’identità di Gesù Cristo è antica quanto il cristianesimo. Quando, dopo il Concilio di Nicea (IV secolo), cominciò a prevalere la dottrina dell’unica persona divina che, «non cessando di essere ciò che era (Dio), iniziò ad essere ciò che non era (uomo)», anche la mariologia fu sottoposta a coerente revisione: la madre di Gesù divenne, nel successivo Concilio di Efeso (V secolo), «madre di Dio». E fu la polla da cui zampillò la costellazione di dogmi mariani, sino alla sua esenzione – fin dal concepimento – dal “peccato originale” (XIX secolo) e alla sua assunzione in cielo in anima e corpo (XX secolo).

Questa articolata costruzione teologica sta o cade con la cristologia su cui poggia: per chi crede che Gesù sia portavoce, immagine, icona del Mistero, ma non egli stesso Dio per essenza, Maria è madre di un profeta, di un maestro, di un martire, ma non del suo stesso Creatore. Questo ridimensionamento, per così dire ontologico, fa della Madonna una donna da ammirare e imitare più che da “iper-venerare” nella sua inattingibile incomparabilità.

Poiché di Maria di Nazareth sappiamo poco o niente sotto il profilo storiografico, possiamo solamente supporre che – avendo Lei accompagnato pedagogicamente per tanti anni la formazione di un tale Figlio – non deve essere stata, pur con tutti i suoi inevitabili difetti, una donna banale. E proprio in quanto donna, la memoria di Lei può suggerirci le potenzialità del femminile (che nella società occidentale, incluse più o meno gravemente tutte le chiese cristiane, sono state per secoli svalorizzate e mortificate) anche in ordine ai drammi contemporanei.

Come è noto, papa Paolo VI, nel 1967, ha scelto proprio questa festività mariana per celebrare la Giornata mondiale per la pace, accompagnandola con un proprio messaggio sul tema. Anche i papi successivi hanno mantenuto questa tradizione, sino a Francesco (di cui Matteo Prodi e Sergio Tanzarella hanno pubblicato, in edizione critica con prefazione di don Mimmo Battaglia, con il titolo Conquista la pace, i messaggi del primo gennaio di ogni anno dal 2014 al 2023).

La coincidenza della celebrazione mariana con la Giornata per la pace è casuale, priva di significato? Non mi pare che i pontefici l’abbiamo mai notato, purtroppo. Eppure il nesso, ormai evidente, fra mentalità maschilista (virilista, androcentrica) e guerra permetterebbe di sottolineare un nesso, altrettanto stretto, fra mentalità femminista (materna, sororale) e pace. Maria, proprio in quanto icona della femminilità, potrebbe prestarsi a fungere da prototipo di quanti – donne o uomini – sono protesi nella costruzione di un mondo finalmente pacificato.

La storia anche recente ci avverte, però, di non cadere nel biologismo: come si nasce maschi e si diventa uomini, così si nasce femmine e si diventa donne. Il sesso non è il genere. Ci sono uomini che coltivano, nella loro psiche e nella loro postura sociale, il femminile che è in essi, senza averne né paura né vergogna; così come ci sono donne che, nella loro psiche e nella loro postura sociale, coltivano non solo il maschile che è in esse (ciò giocherebbe a favore di una personalità integrata), ma anche il maschilismo della tradizione patriarcale in cui sono nate e cresciute. In termini equivalenti: il patriarcato maschilista è una gabbia che imprigiona tutti e tutte, proprio come la cultura della violenza come unico metodo per affrontare gli inevitabili conflitti.

Insomma è solo una dimensione consapevolmente e criticamente femminile (che, sino al persistere del maschilismo, non può non dirsi femminista) del pensare, del sentire e dell’agire che può sostenere le persone – di ogni sesso e di ogni genere – nella ricerca quotidiana e proattiva della convivenza pacifica all’interno delle nazioni e fra di esse.


Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

giovedì 28 dicembre 2023

QUALCHE RIFLESSIONE PROPEDEUTICA AL 2024 (PER CHI HA TRE O QUATTRO MINUTI DA DEDICARSI)


"OVUNQUE TI VOLGI

Ovunque ti volgi tu vedi l'orrore
ragione di piu' per resistere al male
ragione di piu' per fare quel poco di bene che puoi
ragione di piu' per voler essere
almeno tu
l'umanita' come dovrebbe essere
non e' finito il mondo
finche' tu resisti"

(Peppe Sini in DONNA, VITA, LIBERTA',  a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo. Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXIV). Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt@gmail.com . Numero 360 del 26 dicembre 2023) .

PERCHE’ NON USCIRE DALL’ISOLAMENTO? UN’IPOTESI PER IL 2024

E’ il momento degli auguri. Più o meno implicitamente, ci auguriamo un anno migliore. Per i più spericolati, addirittura felice. Ma la felicità, se capita, dura minuti. Al massimo, potremmo sperare in una sorta di equivalente funzionale etichettabile come serenità. A che condizioni?

Innanzitutto in un contesto storico-sociale senza epidemie, senza degrado ambientale, senza guerre. Insomma, molto differente dal nostro attuale. Ammesso, molto utopisticamente, che - sia pur a piccoli passi – l’umanità si avvicini a uno stadio di egoismo intelligente e riduca il livello medio di sofferenze superflue, spetta poi a ogni singolo soggetto giocarsi bene le sue carte. Spigolando fra le pagine dell’intrigante (anche perché opinabile) volume di Yuval Noah Harari, Sapiens. Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2017, direi che le mosse, possibili e necessarie, siano quattro o cinque:

a)     smontare alcuni luoghi comuni: la salute e il denaro sono ingredienti indispensabili per lo stato di benessere interiore, ma solo sino a un certo livello (oltre il quale diventano irrilevanti). Infatti, “se sei una madre americana single che guadagna 12.000 dollari l’anno facendo pulizie nelle case e improvvisamente vinci 500.000 dollari alla lotteria, sperimenterai probabilmente un aumento significativo e duraturo del tuo benessere soggettivo. Sarai in grado di nutrire e vestire i tuoi bambini senza più affondare nei debiti. Tuttavia, se sei un top manager che guadagna 250.000 dollari l’anno e vinci un milione di dollari alla lotteria” è “probabile che la tua crescita di benessere soggettivo duri soltanto qualche settimana” (p. 474).

b)     Controllare le proprie aspettative: se desideri acquistare un’utilitaria e ci riesci, sarai molto contento; ma se desideri possedere “una Ferrari fiammante e riesci a procurarti solo una Fiat di seconda mano, ti senti frustrato” (p. 476) per il resto della vita. Sino a quando la tua felicità sarà “determinata dalle aspettative, i due pilastri della nostra società – i mass media e l’industria pubblicitaria – ” (p. 477) possono rendertela perennemente irraggiungibile.

c)      Sperimentare delle relazioni amicali autentiche, specie all’interno di comunità senza guru né dogmi né codici dettagliati. Infatti, “la famiglia e la comunità sembrano avere un impatto maggiore sulla nostra felicità rispetto al denaro e alla salute. Le persone che “vivono in comunità coese e solidali sono significativamente più felici delle persone” che “non hanno mai trovato (o mai cercato) una comunità di cui sentirsi parte” (p. 475).

d)     Trovare, o ritenere di aver trovato, un senso della vita. Secondo alcuni studi di psicologia e di economia, la felicità non è data da “una prevalenza  di momenti piacevoli rispetto a quelli spiacevoli”, “consiste piuttosto nel percepire la propria esistenza nella sua interezza come qualcosa di importante e di valido” : “una vita che abbia senso può essere molto soddisfacente anche in mezzo alle difficoltà, mentre una vita senza senso è un travaglio terribile, per quanto confortevole sia” (p. 485).

e)     Cercare la compagnia di chi lotta contro i mali oggettivi della storia.  Quest’ultima indicazione  non l’ho trovata in Harari, ma nel nostro poeta Gianni Rodari. A chi gli chiese cosa fosse a suo parere la felicità, rispose che non potesse consistere in qualche fattore che “ci costringa ad essere sempre allegri e soddisfatti (e un po’ stupidi) come una gallina che si è riempita il gozzo. Forse la felicità sta nel fare le cose che possono arricchire la vita di tutti gli uomini; nell’essere in armonia con coloro che vogliono e fanno le cose giuste e necessarie. E allora la felicità non è semplice e facile come una canzonetta: è una lotta” (Il libro dei perché, Editori Riuniti, Roma 1984).

L’augurio più serio per il 2024 che ognuno potrebbe fare a se stesso, dunque in silenzio, sarebbe dunque decidere di uscire dalla bolla dell’isolamento sostanziale (talora mascherato da una fitta rete di rapporti sociali ipocriti) e cercare nella propria città la complicità attiva con qualcuno impegnato a fare cose giuste e belle.

Augusto Cavadi

SOLO PER LE PERSONE CHE VIVONO A PALERMO & DINTORNI:

La “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo (v. N.Garzilli 43/a) vorrebbe essere uno dei tanti luoghi in cui chiunque cerchi persone che “fanno le cose giuste e necessarie” le trovi; le annusi; le riconosca come possibili compagne di strada; decida di investire un po’ del suo tempo, delle sue energie, delle sue risorse.

Poiché nessuno di noi è onnipotente, onnisciente e onnipresente, può dedicarsi in particolare a un ambito d’interessi e di azione. Attualmente i gruppi ospitati, con i quali si può prendere contatto, sono:

a)     la Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”: per chi desideri aggiornarsi sulle questioni sociali e politiche e dare una mano per l’alfabetizzazione etico-politica delle generazioni più giovani. Contattare Rosalba Leone (roleone63@yahoo.it )

b)     il Centro palermitano del Movimento Nonviolento: per chi desideri formarsi sulle tematiche della nonviolenza e dare una mano per diffonderne la cultura soprattutto tra le generazioni più giovani. Contattare Maria d’Asaro (maridasaro@gmail.com) o Adriana Saieva (adri.saieva@gmail.com)

c)      il Gruppo “Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”: per uomini  di ogni età che vogliano riflettere criticamente sul proprio modello di maschilità e dare una mano per destrutturare la mentalità patriarcale soprattutto tra le generazioni più giovani. Contattare Francesco Seminara (francesco.semi3@gmail.com)

d)     il Laboratorio per la difesa e l’attuazione della Costituzione (labDAC): per chi desideri approfondire i temi della Costituzione italiana e impegnarsi sia a difenderla da eventuali modifiche stravolgenti sia a promuoverne l’attuazione effettiva nella pratica politica. Contattare Claudio Riolo (rioloclaudio51@gmail.com)

e)     l’Associazione Utenti Familiari Esperti (UTE): per chi desideri aggiornarsi sui temi della salute mentale e impegnarsi in attività di sostegno a persone in difficoltà. Contattare Grazia Guercetti ( guercettig@gmail.com)                ;

f)       l’Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità (ASPIC): una Scuola di counseling, coaching, mediazione familiare. Contattare la responsabile Maria Concetta Di Stefano (distefanomariaconcetta@gmail.com)

g)     Il Centro di ricerca esperienza di teologia laica: per chi desideri approfondire la conoscenza del fenomeno religioso in tutte le sue manifestazioni storiche e sperimentare nuove modalità di spiritualità laica. Contattare il promotore Augusto Cavadi (a.cavadi@libero.it)

h)    Il gruppo Sahaja Yoga : per chi voglia praticare una versione essenzializzata dello yoga all’interno di un’aggregazione comunitaria accogliente e cordiale. Contattare Valerio Droga (valerio.droga@gmail.com)

i)       Il Movimento “Noi siamo Chiesa” (sezione Sicilia): per chi voglia impegnarsi in una radicale riforma della Chiesa cattolica che la liberi da incrostazioni millenarie restituendola alla forza dirompente delle origini evangeliche. Contattare Salvo Menna (salvomenna@gmail.com)

 

                                                                                          Augusto Cavadi    

                                                                                 www.augustocavadi.com 

PS: Chi desideri essere aggiornato sulle attività programmate presso la “Casa dell’equità e della bellezza” può fare richiesta di ricevere il calendario settimanale   a Salvatore Menna (salvomenna@gmail.com)

PS 2: Puoi girare questo messaggio a chiunque ritieni possa riuscire gradito


* Per l'edizione illustrata clicca qui:

https://www.zerozeronews.it/ipotesi-per-il-2024-perche-non-uscire-dallisolamento/

 

 





martedì 26 dicembre 2023

IL FILOSOFO CONSULENTE: CHI E', COSA OFFRE, COSA SI ASPETTA? A 20 ANNI DALLA FONDAZIONE DI "PHRONESIS"

 

L'ultimo numero della rivista "Phronesis" - organo dell'omonima associazione di consulenti filosofici italiani: https://www.phronesis-cf.com/rivista/    ("Phronesis", n. 6, seconda serie, dicembre 2023), scaricabile gratuitamente - contiene una sezione dedicata ai 20 anni dell'Associazione professionale. Per l'occasione, alcuni consulenti filosofici più ‘anziani’ sono stati intervistati dalla Redazione. Qui di seguito le domande che mi sono state rivolte e le mie risposte.

 

1)    Per prima cosa ritorniamo all’inizio degli anni Duemila, quando il movimento della P4C, fondato da Matthew Lipman negli anni '70 del Novecento, aveva già una consistenza e la Consulenza Filosofica di Gerd Achembach era ancora poco conosciuta fuori dalla Germania. Cosa ti ha portato a fare il salto da quella che lo stesso Achenbach definisce la filosofia “somministrata” a quella che poi è stata definita la Svolta Pratica e quindi alla Consulenza Filosofica?

·       Quando, tramite Neri Pollastri conosciuto via internet, venni a sapere di Achenbach e della sua proposta di “praxis filosofica”, non ho avuto l’impressione di scoprire nuovi territori, bensì di riconoscere voci amiche. “Allora -  mi son detto – non sono proprio un pazzo isolato!”. Infatti non avevo mai concepito la filosofia altrimenti che come modo di essere al mondo e di sollecitare col dialogo le altre persone a vivere con la stessa tensione verso la consapevolezza (e dunque verso la libertà effettiva). Però non vorrei dare l’idea errata che, da allora, non ho imparato nulla ! Innanzitutto Achenbach, Pollastri e via via altri amici -  incrociati prima grazie all’AICF (Associazione italiana per la Consulenza Filosofica) e successivamente grazie a Phronesis (in particolare Alessandro Volpone, Giorgio Giacometti e Davide Miccione) – mi hanno fornito gli strumenti intellettuali per capire meglio la mia esigenza piuttosto indeterminata a vivere ‘praticamente’ la filosofia; in secondo luogo mi hanno instradato in direzione della “consulenza filosofica” (una pratica che, a differenza di altre, non avevo mai sperimentato nella mia vita; almeno non esplicitamente e, soprattutto, in maniera scevra da posture di consigliere).

 

2)    In quella fase pionieristica, avete cercato contatti con l’Accademia? Come vedeva quest’ultima il nascente movimento?

Sin dagli anni iniziali dell’AICF abbiamo collaborato con docenti universitari, alcuni dei quali (penso ad Andrea Poma) erano proprio interni alla squadra. Dopo alcuni anni (soprattutto quando AICF si è sciolta ed è nata Phronesis) abbiamo capito che il rapporto con gli accademici non era ‘paritetico’: noi eravamo davvero desiderosi di imparare dalla loro competenza storica e teoretica, ma quasi mai essi mostravano lo stesso desiderio di imparare dalla nostra pratica professionale (o, comunque, dalle nostre pratiche sperimentate nei decenni precedenti). Eravamo i cugini poveri di campagna, simpatici ma ruspanti. In alcuni convegni ho avuto poi dei casi eclatanti: a Reggio Emilia, ad esempio, subii un attacco sarcastico da Maurizio Ferraris e fui felice che Enrico Berti (che non avevo individuato fra il folto pubblico) prendesse la parola in difesa del nostro diritto di filosofi-in-pratica di essere “giudicati dai frutti”.

 

3)    Dal punto di vista teorico la consulenza filosofica era un “terreno vergine”, tanto che ogni consulente era la rappresentazione del detto del fondatore: la consulenza filosofica è il filosofo. Quale era allora la tua idea della disciplina, come la sviluppasti e cosa ne è adesso?

·       Come accennavo prima, avevo idea ed esperienze di altre pratiche filosofiche - ad esempio ho lanciato le “vacanze filosofiche estive per non…filosofi (di professione)” nel 1983 – ma non della consulenza filosofica (come l’abbiamo perimetrata in Phronesis). Dunque la concepisco, e tento di realizzarla, secondo il modello Achenbach-Pollastri-Miccione (modello che ho avuto modo di approfondire, anche in relazione ad altre proposte epistemologiche, nel corso di un dottorato di ricerca post-laurea conclusosi con un elaborato finale che è diventato anche un libro: Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche). Che poi ci riesca bene o meno, non sta a me giudicarlo. Di solito ricevo feed-back positivi da parte dei consultanti (particolare gratificazione ho ricevuto una volta da una persona che era stata in precedenza sconsigliata, da una collega di Phronesis,  di sperimentarmi come consulente filosofico), ma sappiamo che non tutte le ciambelle riescono col buco. Soprattutto se non si è pasticcieri infallibili.

 

4)    La consulenza filosofica di Phronesis nasce professionale, così definita sin dallo statuto, ma proprio la sua professionalizzazione è stato un argomento divisivo all’interno dell’organizzazione. Qual era e qual è la tua posizione?

·       Che si debba lavorare affinché un laureato in filosofia, addestratosi in Phronesis , possa vivere sia pur sobriamente con gli onorari di consulente filosofico, mi pare fuori discussione. In questi venti anni abbiamo constatato che questo tipo di ‘professionalizzazione’ è riuscita in rarissimi casi, tra i quali non rientra il mio. Il fatto che la maggior parte delle pratiche filosofiche da me condotte si svolga a titolo gratuito (nel migliore dei casi con forme di rimborso delle spese) e che i colloqui di consulenza filosofica in senso proprio comportino degli introiti irrisori non mi induce a sentirmi meno professionale che se guadagnassi come un professionista in altri rami. Che la professione sia legata alla ricompensa economica non mi scandalizza, ma non mi convince la tesi che tale compenso costituisca un elemento necessario della categoria ‘professionalità’. Infatti non posso dimenticare che il nesso è interno a un sistema economico (il capitalismo liberal-borghese) il quale, a sua volta, non è né l’unico né vige da sempre né vigerà per sempre. Può darsi che un’umanità che raggiunga altri livelli evolutivi capisca che ciascuno vivrebbe meglio se vivesse – liberamente - in comunione di beni materiali e culturali. Nell’avverbio “liberamente” c’è il baratro che divide questa mia ipotesi dalla teoria comunista marxista-leninista (a cui non ho aderito neppure quando, nel Sessantotto del secolo scorso, era quasi moralmente obbligatorio aderirvi…).

 

5)    I venti di anni di Phronesis corrispondono più o meno anche al periodo in cui si è evoluto, è maturato ed è mutato il panorama filosofico inquadrato nella “svolta pratica”. Ti aspettavi che tanto il movimento in generale quanto la consulenza filosofica potessero riscuotere una maggiore risonanza nella società italiana, oppure, ritieni che il cammino percorso possa essere considerato soddisfacente?

·       Distinguo la risposta in due momenti. Se non prendo un abbaglio colossale, la “svolta pratica” cui fai riferimento dovrebbe essere, indissolubilmente, una svolta teorica e una svolta etica e direi addirittura antropologica: i filosofi dovrebbero, per citare Mounier, non sapere più se vivono il loro pensiero o pensano la loro vita. Se così dovesse essere, non ho gli elementi per giudicare lo stile di vita dei milioni di filosofi di professione che pullulano sul pianeta negli ultimi decenni. Nel piccolissimo campionario statistico che posso osservare intorno a me, mi pare di poter dire che i teorici della svolta pratica siano più numerosi di quanti l’abbiano effettivamente attuata.

In relazione alla consulenza filosofia come professione ho le idee più chiare: venti anni fa mi aspettavo un radicamento e una diffusione lenti nella società, ma non così scarsi. Sapere che le stesse difficoltà sono state incontrate in tante altre nazioni (compresa la Germania di Achenbach), tranne pochi casi e spesso di imbonitori che attraggono ingenui insicuri in cerca di guru, non mi conforta. Mi sembra che sia uno dei campi in cui non è per nulla vero che mal comune equivalga a mezzo gaudio.

 

6) Rileggendo articoli e interviste del tempo, una delle critiche mosse alla CF era quella relativa al suo appiattimento del modello filosofo/consultante su quello psicologo/cliente. Secondo te questa era l’unica strada percorribile dalla CF? Si è forse rivelata un freno per la sua migliore identificazione presso il pubblico?

* Il fatto che fossimo accusati di effettuare tale appiattimento non significava che lo effettuassimo davvero. Anzi, la preoccupazione di mostrarci ‘altri’ rispetto ai colleghi psicoterapeuti è stata costante nella nostra esposizione pubblica, forse addirittura eccessiva. Qui abbiamo scontato la superficialità degli operatori di cultura (docenti universitari e medi, giornalisti, romanzieri) che hanno parlato del nostro lavoro senza leggere una riga di ciò che esso è per noi. Che lo abbiano fatto soggetti in polemica con noi (penso a sociologi come la buon’anima di Dal Lago o a spocchiosi accademici come il Ferraris sopra citato), dispiace ma lo si può capire. Ciò che mi viene più difficile capire è che lo abbiano fatto anche soggetti simpatizzanti per la nostra professione: ad esempio il consulente filosofico del romanzo  La cura Schopenhauer è la caricatura del consulente filosofico come l’intendiamo noi. Peccato! L’autore è bravo e sarebbe stata un’ottima occasione di promozione della nostra immagine sociale.

 

6)    Il discorso teorico-epistemologico sulla CF si è affievolito da qualche anno, forse con il raggiungimento della maturità. Secondo te c’è ancora qualcosa di inesplorato?

* Per la struttura stessa della CF ogni avanzamento teorico-epistemologico potrebbe realizzarsi solo in connessione con il moltiplicarsi delle esperienze pratiche. Se queste ultime sono poco numerose, non mi pare possibile – né auspicabile – che si verifichi il primo.

 

8) Se la consulenza filosofica è nata con Phronesis, il gruppo dei “pionieri” oltre a inventare una professione quasi dal nulla ha anche messo le basi per la formazione di altri professionisti. Qual è secondo te il requisito fondamentale per un filosofo pratico, per un consulente filosofico e come si possono insegnare?

* Non saprei esprimermi meglio di Davide Miccione quando, ancora operante fra noi in Phronesis, si occupava della formazione di nuovo colleghi: “Più che formare i nuovi consulenti, possiamo riconoscerli”. Ci vuole una grande apertura etica per rinunziare a ore preziose delle proprie giornate e dedicarle alla relazione dialogica con uno sconosciuto (a meno che non si sia così poco filosofi da ritenere che lauti onorari – per altro improbabili – compensino il tempo sottratto alla propria ricerca) e ci vuole una altrettanto grande apertura mentale per dialogare con qualcuno (per giunta quasi sempre non filosofo di professione) allo scopo di cercare, insieme a lui, di affrontare un suo problema, senza atteggiarsi (più o meno scopertamente) a maestro di vita. Questa doppia disponibilità morale e intellettuale non la si può insegnare, la si può se mai individuare e valorizzare in qualche soggetto che ne sia già dotato. Forse la si può contagiare testimoniandola  a qualcun altro che  ti affianchi nelle tue attività ( qualcosa di simile alla “comunicazione indiretta” alla Kierkegaard).

 

9) In quei primi anni ruggenti la consulenza filosofica manifesta una vocazione rivoluzionaria: da una parte nella messa in questione del cosiddetto paradigma terapeutico, quel pensiero che medicalizzando ogni ambito dell’esistenza la rende più controllabile, dall’altra nella responsabilità sociale di costituire lo spazio pubblico come luogo filosofico che le attribuisce Thomas Polednischek. Quanto vedi realizzato di quest’ambizione e quanto ti ritrovi in questa visione oggi?

* Sulla prima tematica mi pare che si facciano i conti soprattutto in sede di consulenza filosofica interpersonale. Nella sostanza avevamo e abbiamo ragione: non ogni disagio è una malattia (ed è a questo aspetto che alludevo nel titolo del mio libro di venti anni fa Quando ha problemi chi è sano di mente). Va aggiunto, autocriticamente, che con ogni probabilità non siamo stati abbastanza furbi da praticare la mossa ‘ironica’, suggerita da Giacometti nel saggio Una professione impossibile ?  , di far finta di essere ciò che il consultante si aspetta che siamo (degli oracoli da consultare) per accompagnarlo a capire ciò di cui veramente ha bisogno (nonostante non sappia di averne): un’autonomia di pensiero. La sua domanda è di essere curato in senso terapeutico, ma – se non è effettivamente da affidare a uno psicoterapeuta - noi vogliamo guarirlo dall’illusione, deresponsabilizzante,  di aver bisogno di un terapeuta.

Sulla seconda tematica mi pare che siamo interrogati soprattutto quando ci dedichiamo ad altre pratiche filosofiche di gruppo. Qui rendiamo “lo spazio pubblico” come “un luogo filosofico” sia volendolo che non volendolo, sia sapendolo che non sapendolo: infatti ogni volta che organizziamo un assetto di confronto tra più soggetti non possiamo non orientarli (con il tema prescelto, con le regole della discussione, con il ruolo che ci ritagliamo, soprattutto con le nostre valutazioni di merito) in un senso politico. In senso democratico, partecipativo o autoritario, passivizzante: comunque in un senso politico.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

venerdì 22 dicembre 2023

ROBERTO DI BACCO SU "RELIGIONE O ATEISMO ?" DI AUGUSTO CAVADI

 

E' scaricabile, gratis, l'ultimo numero della rivista "Phronesis", organo dell'omonima associazione di consulenti filosofici italiani: https://www.phronesis-cf.com/rivista/    ("Phronesis", n. 6, seconda serie, dicembre 2023). 

Sono grato al collega torinese Roberto Di Bacco per la sincera recensione di uno dei miei ultimi libri:

REPERTORIO 

 Augusto Cavadi, O religione o ateismo? La spiritualità “laica” come fondamento comune , Algra Editore, Viagrande (Catania) 2021.

 Può capitare, a chi frequenta i paesaggi montani, di imbattersi in un escursionista che ti indichi un nuovo sentiero in cui inoltrarti. Un sentiero che non conosci o a cui, per varie ragioni, ne hai sempre preferiti altri. È accaduto a chi scrive di incontrare sul proprio cammino la persona idonea per accogliere le indicazioni da seguire per intraprendere un percorso inesplorato. Curiosità e desiderio di ampliare le proprie conoscenze hanno convinto il camminatore perplesso a seguire i consigli ricevuti e ad affrontare il sentiero sconosciuto. Partendo da questa premessa, riconosco a Cavadi il merito, tra gli altri, di avermi avvicinato e reso più sensibile a tematiche che non hanno mai trovato uno spazio dedicato nelle mie riflessioni, se non marginalmente. Un merito che ritrovo presente e riconfermato nelle pagine del volumetto del 2021 dal titolo O religione o ateismo? La spiritualità “laica” come fondamento comune. Si tratta di un testo divulgativo sul tema della spiritualità laica, argomento tanto caro a Cavadi a cui ha dedicato anni di ricerca e numerose pubblicazioni. Quest’ultima vuole essere una sintesi, se non definitiva, certamente essenziale nel porre la questione nei suoi termini fondamentali. Una esigenza che scaturisce dalla necessità di fare chiarezza, di “dirsi la verità”, di “dirla ciascuno a se stesso”, di “dircela con franchezza tra di noi”, nella speranza di «tessere un “testo” in qualche misura comune su cui basarci nell’epoca della globalizzazione del disorientamento»1 . Un testo la cui stesura richiede la creazione di uno spazio sottratto agli equivoci e ai pregiudizi, uno spazio di dialogo e di confronto, in cui ci si pone «gli uni di fronte agli altri, semplicemente mendicanti alle porte dell’Intero. Dunque semplicemente, ma nell’accezione rigorosamente etimologica, filo-sofi»2 . C’è un fattore generazionale a cui Cavadi attribuisce un importante rilievo: quello di una generazione, la sua, che ha assistito, prendendone parte anche attivamente, ai profondi cambiamenti che hanno segnato il lungo periodo che va dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Una generazione «illuminata, ma anche frastornata, dall’incrocio di saperi, ipotesi, scenari sempre più sconvolgenti che provengono dalle scienze naturali e umane»3 . Ragione di più per tentare di fornire una mappa che consenta di orientarsi nel confuso scenario del  mondo attuale, ponendosi da un punto di osservazione che Cavadi stesso definisce “molto approssimativamente, come antropologico”. Senza pretese di originalità, non esita a collocarsi, “pur con molti distinguo”, in quel filone contemporaneo denominato “paradigma post-religionale”, a cui l’editore Gabrielli ha dato voce, in Italia, pubblicando alcuni testi dei suoi più noti esponenti4 . Per fare chiarezza è importante in primo luogo intendersi sul significato delle parole, e questa “preliminare pulizia semantica” Cavadi l’affronta entrando in dialogo con una serie di autori contemporanei che hanno espresso opinioni nel merito delle tematiche in questione.

 Il filosofo e giurista americano Ronald Dworkin, scelto come primo interlocutore, nel suo Religione senza Dio propone una definizione di religione5 “bella e profonda” ma che Cavadi ritiene incompleta, in quanto, insistendo sulla dimensione cognitivo-psicologica, trascura due aspetti costitutivi dell’atteggiamento religioso: la pratica e la socialità. Inoltre Dworkin, nel ricercare l’origine antropologica della religione, ipotizza che le persone condividano un fondamentale “impulso religioso” che si manifesta sia come fede teologica sia come convinzioni etiche e morali profonde, un impulso che, se qualificato come “religioso”, non descrive correttamente la posizione di coloro che non si riconoscono nella fede in un dio e fanno professione di ateismo. Meglio sarebbe ragionare in termini di spiritualità, ma a questo punto si impone una explicatio terminorum che consenta di proseguire nel confronto dialettico. Facendo proprie alcune definizioni proposte dal sociologo della religione Luigi Berzano6 , Cavadi adotta un vocabolario che gli consente di sgomberare il campo da alcune possibili obiezioni e di tentare di superare le ambiguità lessicali. Il vocabolario scelto si concentra su tre concetti fondamentali: 'religione', 'religiosità' e 'spiritualità'. Di questi Cavadi giunge a offrire un’immagine geometrica, una costruzione piramidale di forme cilindriche il cui intento esplicativo si rivela di una certa efficacia. Così questa rappresentazione viene descritta dall’autore:

Vedrei la società attuale come una sorta di piramide costituita da una base cilindrica (il livello della “spiritualità” comune a credenti, atei e agnostici); da un cilindro poggiato sul primo e più circoscritto rispetto a esso (il livello della “religiosità” comune a credenti e agnostici); da un terzo cilindro, ancora più piccolo, che non avrebbe solida fondazione se non presupponesse “religiosità” e, più basilarmente, “spiritualità”: il livello della “religione” specifica, confessionale (tipica di credenti che decidano di organizzarsi comunitariamente, di istituzionalizzarsi)7.

 La rilettura delle tesi di Dworkin, alla luce del vocabolario proposto, consente a Cavadi di formulare una prima risposta all’aut-aut contenuto nel titolo del saggio, indicando nella spiritualità “laica” il fondamento comune alle due prospettive. Per cui, oltre l’aut-aut, tertium datur. Nel mezzo della piramide si colloca la religiosità, «dimensione antropologica che può essere vissuta solo da chi ammette una qualche forma di divino, di “sacro”, o, per lo meno, che non cessa di confrontarsi con l’ipotesi di una qualche forma di divino»8 . O di mistero. La religiosità è, insomma, una categoria dai confini labili, che può essere concepita come un “sotto-insieme” della spiritualità, come «una delle modalità in cui può manifestarsi la spiritualità”, con “un massimo grado di autonomizzazione da ogni tradizione religiosa»9 . 

Altro interlocutore è Orlando Franceschelli, filosofo e saggista, sostenitore di una antropologia naturalistica che vuole essere equidistante dall’antropocentrismo teologico e dall’assurdismo esistenzialistico. Il suo naturalismo si pone in continuità con pensatori come Spinoza, Darwin e Leopardi, la sua visione del mondo si fonda su di un’etica che riconosce «nella saggezza della felicità possibile e solidale il senso più plausibile e piacevole delle nostre vite»10. Cavadi sceglie Franceschelli come testimone di un naturalismo “critico”, lontano da equivoci esiti nichilistici e relativistici, evidenziando l’aspetto laico e umanistico della sua concezione filosofica, riconducibile a buon diritto ad una forma di spiritualità filosofica.

 Prima di presentare alcune linee portanti del pensiero dell’amico Luigi Lombardi Vallauri, a cui si rivolge come terzo interlocutore, Cavadi pre-avvisa il lettore, in nota, della possibilità di saltare direttamente al capitolo successivo. Forse messo in guardia “affettuosamente” dalle obiezioni del direttore della Collana che ospita il saggio, o dalla discutibile formula “mistica laica” che Vallauri indica come articolato percorso meditativo che unisce metodi orientali a contenuti offerti dalle scienze occidentali, al fine di “trasformare la vita in un poema ininterrotto”, poiché “una vita come meraviglia è possibile”. Ma al di là del significato della coppia di termini che, aristotelicamente interpretabile come apofatica, che nega cioè l’appartenenza di un predicato ad un soggetto, Cavadi ritiene la proposta di Vallauri un’“istruttiva esemplificazione di spiritualità laica compatibile con convinzioni di fede in senso confessionale” ma anche “ateistiche”. Tale proposta appartiene infatti a quella dimensione di ricerca, di dubbi, di domande e di esperienze propria di chi avverte il rischio di “precipitare nell’autodistruzione” e, consapevole della gravità della posta in gioco, sente “il dovere, e il diritto, di creare delle oasi nel turbine della storia”. 

Il sacro fuori dal tempio titola significativamente il capitolo dedicato a Stuart Kauffman, biologo statunitense impegnato nello studio e nell’analisi dei sistemi complessi e della loro relazione con l’origine della vita sulla terra, autore di cui Cavadi ripercorre, sia pure per sommi capi, l’itinerario che lo scienziato ha esposto in un suo volume11. Critico del riduzionismo dominante in ambito scientifico, secondo cui tutto ciò che avviene nell’universo è riconducibile ad una sorta di meccanicismo cosmico deterministicamente calcolabile, Kauffman sostiene che «senza violare alcuna legge fisica, la vita nella biosfera, la sua evoluzione, la pienezza della nostra storia umana e il nostro concreto mondo quotidiano» sono il risultato di “una meravigliosa creatività radicale”, una creatività “sorprendente” e “terrificante”, incessante e imprevedibile, che interviene tanto nella natura come nel mondo umano. Senza l’intervento di un creatore soprannaturale, di un Dio. Nel nome di un simile principio originario che, come nota Cavadi, ricorda da vicino lo “slancio vitale” di Henry Bergson, ma che si ritrova analogicamente presente in alcune teorie epistemologiche contemporanee12, si potrebbe, secondo il biologo americano, aiutare a sanare le “quattro lacerazioni” di cui soffre “la nostra moderna società laica”. Quattro rotture traumatiche che impediscono all’umanità la comune conquista di un’«etica globale come sostegno alla civiltà globale che sta emergendo», quattro lesioni che Kauffman indica nella “divisione tra scienze naturali e scienze umane”; nella separazione irriducibile fra i “fatti” e i “valori”; nel divorzio tra “umanisti laici”, spesso “agnostici” o “atei”, e “vita spirituale”; nella distanza tra “il consumismo e la mercificazione” degli Occidentali e quei valori che “le persone appartenenti a civiltà sparse nel mondo condividono” e stanno a fondamento della emergente civiltà globale. Un’etica globale, dunque, che implichi “un senso di unione con tutte le forme di vita”, la “responsabilità verso un pianeta sostenibile”, la prevenzione di ogni “scontro fra le culture a più stretto contatto”. E Dio? Che ruolo può svolgere Dio di fronte a quella “incessante creatività dell’universo naturale, della biosfera e delle culture umane”? L’ateo Kauffman, richiamando lo spirito di conciliazione e di dialogo verso cui tende la comunità umana, ritiene che la creazione di uno spazio spirituale condiviso, in cui il sacro diventi legittimo per tutti, in cui si consideri come sacra l’incessante creatività in natura, consenta sia ad atei che a credenti in un Dio, di riconoscersi, consentendo alle rispettive tradizioni di evolvere verso una spiritualità condivisa. Magari usando proprio il termine Dio per definire la forza creatrice della natura. La proposta di Kauffman, nota Cavadi, si può inserire in un contesto dove sono sempre più numerosi i contributi provenienti da ambienti cristiani che offrono una rappresentazione di Dio che si allontana dalla tradizione. Se è giunto il momento, per alcuni, di “uscire dal tempio”, per altri forse è ragionevole cercare di re-immaginare Dio, come suggerisce il teologo della Chiesa presbiteriana neozelandese Lloyd Geering13: un invito rivolto a chi «ritiene di avere il diritto/dovere d’informarsi sulle frontiere più  avanzate della ricerca per orientarsi, criticamente, di conseguenza […] per entrare nel terreno, affascinante e rischioso, della ricerca personale sulla base di dati (storici e esegetici) per quanto possibile oggettivi e di argomentazioni (logiche ed ermeneutiche) per quanto possibile convincenti»14 .

 Il cammino percorso fino a questo punto ci ha condotto sull’esteso e impervio terreno delle scelte individuali e non ci resta che constatare che «come ci sono molti modi di vivere la spiritualità e la religiosità, ce ne sono altrettanti di vivere la religione» 15. Il filosofo Cavadi, dopo aver messo in guardia i colleghi filosofi da facili ironie nei confronti di coloro che si appellano alla fede confessionale, ricorda il ricco contributo alla storia delle idee, dato nei secoli, da pensatori come Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino, Pascal, Kierkegaard, Barth e Ricoeur. E avanza la possibilità che l’umanità diventi migliore se «ciascuno troverà la propria sfera esistenziale a conclusione (sia pur provvisoria) di una ricerca libera e onesta, evitando di ereditarla per condizionamento ambientale o per pigrizia mentale»16, e vivendo con “consapevolezza critica e senso del limite” il proprio ambito spirituale. Richiamandosi alle punte più avanzate della riflessione teologico-filosofica attuale, nella quale la critica al sistema religione è giunta a metterne in dubbio l’esistenza stessa, Cavadi si interroga sui possibili esiti futuri. La domanda – ma la “religione” avrà un futuro? – già presentatasi storicamente in altri contesti, assume qui un nuovo valore, in quanto è posta all’interno del mondo stesso di coloro che credono e praticano la religione. Un mondo attraversato da una fase di decisivo ripensamento e che dal confronto con i profondi mutamenti storici intervenuti nell’età contemporanea avverte, almeno nella sua componente più riflessiva e consapevole, l’esigenza di “de-assolutizzare” i propri fondamenti, superando l’esclusivismo nel rapporto col divino, e di riformare radicalmente il proprio assetto istituzionale. Necessario e indifferibile quindi, per costoro, il rinnovamento, o meglio, una ri-fondazione delle religioni istituzionali che si concentri su quello che è da sempre, secondo il teologo José María Vigil, il compito essenziale delle religioni: «aiutare l’umano a sopravvivere diventando sempre più umano»17 .

 Ancora una voce è scelta da Cavadi a conclusione di questo immaginario dialogo sul tema a cui è dedicato il libro: quella del teologo e psicoanalista tedesco Eugen Drewermann. La sua proposta18, ispirata in particolare dalla saggezza taoista, dalla figura dell’uomo di Nazareth e dal fondatore della psicoanalisi, è un atto di speranza rivolto alla religione, alle religioni, alla loro funzione e alla loro capacità di lenire terapeuticamente la sofferenza esistenziale degli esseri umani. È possibile predisporre dei test per individuare quali caratteristiche debba possedere una religione che aspiri a sopravvivere? Nella consapevolezza dei limiti che tale iniziativa presenta, Cavadi ci prova e propone una serie di sette test, o requisiti, per riconoscere la religione del futuro o, almeno, l’idea di religione che emerge dalla pluriennale ricerca del suo autore. Si chiude così il breve saggio di Cavadi, con il riconoscimento della “varietà innumerevole di atteggiamenti interiori”, la “varietà incatalogabile di quanti vivono, ciascuno a proprio modo, la religiosità e/o la spiritualità”, concretamente lontani dalla perfezione astratta di una religione e da un conclamato ateismo, altrettanto perfetto.

 Segue una Postfazione di Fabrizio Mandreoli e un Dossier a uso di chi desideri procedere oltre che raccoglie quattro testi dello stesso Cavadi già pubblicati in alcune riviste e volumi. Oltre ad una ricca bibliografia.

NOTE

1 Cavadi A., O religione o ateismo?, Algra Editore, Viagrande (CT), 2021, p. 13. 

2 Op. cit., p. 17.

 3 Ivi, p. 14.

4 Vedere nel catalogo di Gabrielli Editori la Serie “Oltre le religioni”. 

5 “Una visione del mondo profonda, speciale ed esaustiva, secondo la quale un valore intrinseco e oggettivo permea tutte le cose”. 

6 Berzano L., Spiritualità senza Dio?, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI) 2014.

 7 Cavadi A., O religione o ateismo?, cit., pp. 33-34. 

8 Op. cit., p. 28.

 9 Berzano L., cit. p. 43. 

10 Franceschelli O., Elogio della felicità possibile. Il principio natura e la saggezza della filosofia, Donzelli, Roma 2014, p. 167.

11 Kauffman S., Reinventare il sacro. Una nuova concezione della scienza, della ragione e della religione, Codice, Torino 2010. 

12 Come l’emergentismo o il concetto di agency in sociologia. 

13 Geering L., Reimmaginare Dio. Il viaggio della fede di un moderno eretico, a cura di F. Sudati, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2020. 

14 Cavadi A., Presentazione al volume di Geering citato. Lo stesso testo è riportato alle pp. 113-115 di O religione o ateismo, cit. 

15 Cavadi A., O religione o ateismo?, cit., p. 68. 

16 Op. cit., p. 68. 

17 Vigil J. M., Ricentrando il ruolo futuro della religione: umanizzare l’Umanità. Il ruolo della religione nella società futura sarà nettamente spirituale in Spong J. S. - Vigil M. L. - Lenaers R. - Vigil J. M., Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana, a cura di Fanti C. e Sudati F., Prefazione di Barros M., Gabrielli, San Pietro in Cariano 2016, p. 194.

 18 Drewermann E., C’è speranza per la fede? Il futuro della religione all’inizio del XXI secolo, Queriniana, Brescia 2002. 

mercoledì 20 dicembre 2023

LA "SACRA" FAMIGLIA DELLA DOGMATICA CATTOLICA E' UN MODELLO ASSOLUTO ?



 “Adista/Notizie”, 41

UNA FAMIGLIA MODELLO ?

Cosa sappiamo dell’infanzia e della giovinezza di Gesù? Secondo i canoni della storiografia contemporanea dovremmo rispondere: nulla. Si può supporre che i suoi genitori abbiano rispettato le procedure cultuali giudaiche: circoncisione del neonato, imposizione del nome, purificazione della madre e del figlio mediante sacrificio presso il Tempio di Gerusalemme di “un paio di tortore o due giovani colombi” (2, 21 – 24).

Se, invece, rinunziamo alla cronistoria e proviamo a collocarci dalla prospettiva dei redattori dei vangeli – una prospettiva di annunzio, di insegnamento, di esortazione all’imitatio Christi - abbiamo dei midrash (dei racconti leggendari edificanti) deliziosi per apprendere cosa le prime comunità cristiane pensassero del loro Maestro.

A eventi avvenuti, retrospettivamente, esse lo venerano come “luce che illumina le genti” (2, 32) e “segno di contraddizione” all’interno del suo popolo (2, 34): espressioni che mettono sulle labbra di Simeone, “uomo giusto e pio” (2, 25) , e di Anna, vedova che “serviva Dio giorno e notte”  (2, 37). 

Sarebbe stato più prudente, a mio sommesso parere, limitarsi a questi dati biblici senza impastarli costantemente, sino a farli lievitare al punto da elaborare modelli assoluti: per esempio sino alla “sacralizzazione” di questo tipo di famiglia. Tale sobrietà – di cui molte chiese protestanti storiche hanno dato prova – sarebbe stata raccomandabile anche da parte della Chiesa cattolica latina per almeno due ordini di ragioni.

Innanzitutto per motivi d’ordine sociologico: dal primo all’ultimo libro della Bibbia troviamo vari modelli di matrimonio e di famiglia (più o meno allargata) e la storia degli ultimi due millenni ci attesta che altri modelli sono stati sperimentati in civiltà ed epoche differenti. Perché individuarne uno, canonizzarlo, e di conseguenza delegittimare tutti gli altri? Una società poligamica africana o australiana che si apra alla prospettiva del “regno di Dio” – dunque a perseguire libertà e giustizia, solidarietà e compassione, nonviolenza e collaborazione – è meno “cristiana” di una società “ufficialmente” (!) monogamica? Chi vive, come me, nel Meridione italiano sa che poche persone sono affezionate all’idea della indissolubilità del vincolo coniugale fra eterosessuali quanto i mafiosi che uccidono padri di famiglia innocenti, madri incolpevoli, figli e figlie che si trovano col cognome sbagliato o soltanto nel posto sbagliato.

Oltre alle ragioni generali, ne vedrei di specifiche. Se proprio la Chiesa cattolica avvertisse come necessaria la enfatizzazione di un modello di famiglia, perché mitizzare le singole figure che la compongono, al punto da renderle incomparabili con le famiglie ‘normali’? Secondo la dogmatica cattolica, infatti, Giuseppe non è vero padre biologico, ma solo “putativo” (presunto, supposto, ritenuto tale); Maria non ha concepito il figlio grazie a una relazione affettivo-sessuale con il marito, ma per un intervento “eterologo” quando ancora non era neppure sposata; la persona di Gesù, infine, non essendo umana ma divina (la seconda della Trinità), si trova nel ruolo paradossale di genitore della sua genitrice (alla quale l’ortodosso Dante può rivolgersi devotamente con l’efficace, paradossale, titolo di “figlia del tuo figlio”).

Fossi un prete – dunque appartenente all’unica tipologia di cattolico autorizzata a predicare durante le celebrazioni eucaristiche – mi terrei stretto al primato dell’agape individuato da Gesù medesimo come cuore pulsante di ogni aggregazione familiare davvero esemplare: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Poiché chiunque avrà fatta la volontà del Padre mio che è nei cieli, mi è fratello e sorella e madre” (Mt 12, 49 – 50).

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

Commento al brano evangelico Lc 2, 22-40 di domenica 31 dic. 2023

domenica 17 dicembre 2023

PANTELLERIA, PROTAGONISTA IN PIETRA E VENTO DI UN ROMANZO D'AMORE


ROMANZO PANTESCO DI AMORI E DI VINI

Cucurummà (Aporema Edizioni, 2023), romanzo di esordio di Lucia Boldi, ha tre protagoniste in carne ed ossa (Leontina, la madre Teodolinda e la nonna Elena) ed una protagonista in pietra e vento: l’isola di Pantelleria, culla delle tre donne ma anche rifugio ristoratore della più giovane ogni volta che le vicende dell’esistenza la spingono a cercare un grembo dove trovare conforto e ri-motivazione. Il titolo dell’opera – il nome di un cibo tipico dell’isola a metà strada fra la Sicilia e l’Africa – è una sorta di sineddoche: indica una parte per il tutto. Forse qualcosa di più: infatti la cucurummà non è soltanto un pezzo significativo del mosaico Pantelleria, ma, dal momento che nonna Elena la cucinava “ogni volta che c’era un brutto momento da superare, una pena da confortare e una decisione importante da prendere”, ne è una sorta di cifra, di simbolo, di metafora.

Ogni lettore, ovviamente, ipotizzerà una sua chiave interpretativa. A me, forse per deformazione professionale, è riuscito spontaneo individuare come centro propulsore del racconto una domanda filosofica (a cui l’autrice, da letterata, offre una risposta non astrattamente concettuale, ma concretamente narrativa): che senso ha la nostra vita mortale? “Faticava a trovare un senso alla propria vita. Si sentiva un’ingrata. Sapeva di aver avuto abbastanza: un marito, due figli amorevoli e perfino un discreto benessere economico, ma lei desiderava di più. Forse un senso più profondo che andasse oltre la sicurezza materiale e la serenità degli affetti” (p. 95). La pagina mi ha evocato un personaggio de La dolce vita di Federico Felllini, lo scrittore di successo Enrico Steiner con una moglie molto bella e dei bambini adorabili, che avverte tuttavia un’inquietudine esistenziale insopprimibile. Nel film la risposta a tale morso è tragica, in questo racconto è tecnicamente romantica: Leontina, infatti, intuisce che “non si sentiva amata e al tempo stesso dubitava di amare suo marito” (ivi) e coglie con coraggio la possibilità insperata che la vita le offre di sperimentare l’eros in tutta la sua potenza dirompente (con accenti che richiamano la fenomenologia dell’innamoramento secondo Saffo, l’autrice scrive che “era pervasa da un piacere profondo e sconosciuto, che la faceva sentire priva di forze”, p. 114).

Ma l’eros è una delle molte facce dell’amore. Possiamo fissarci su di esso, bloccarci; oppure attraversarlo come una pista di decollo per andare oltre.  E’ quanto accade a Leontina: “Era convinta che l’amore fosse la chiave di tutto, non solo quello per un uomo, ma anche per le piante, gli alberi, gli animali, per l’universo intero. Attraverso il sentimento profondo e doloroso per Khaled si era aperta e adesso riusciva a cogliere la meraviglia di ogni cosa” (p. 208). L’approdo è dunque in linea con sapienze antiche che la letteratura recupera e rilancia, come il Siddharta di Herman Hesse: “Ed eccoti ora una dottrina della quale riderai: l’amore, o Govinda, mi sembra di tutte la cosa principale. Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere l’opera dei grandi filosofi. Ma a me importa solo di poter amare il mondo, non disprezzarlo, non odiare il mondo e me; ame importa solo di poter considerare il mondo, e me e tutti gli esseri, con amore, ammirazione e rispetto”.

 

Augusto Cavadi

Per l’edizione originale illustrata:

https://www.zerozeronews.it/cucurumma-romanzo-pantesco-di-vini-e-amori/

venerdì 15 dicembre 2023

IL DIO 'LAICO' ANNUNZIATO DALL' UOMO GESU'


 V. Gigante e L. Kocci hanno raccolto "omelie" pubblicate, per l'anno liturgico B della Chiesa cattolica (quest'anno da dicembre 2023 a novembre 2024), sulla rivista "Adista". Il titolo del volume (Fuoritempio, Di Girolamo Editore)  allude alla 'collocazione' degli autori antologizzati, tra cui: Fausto Bertinotti, Gabriella Caramore, Giancarlo Caselli, Vannino Chiti, Giancarla Codrignani, Gianni Vattimo, Adriana Zarri etc.
Anche per questo natale la rivista "Adista/Notizie" mi ha chiesto una riflessione sul natale imminente (ospitata sul n. 40).
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IL DIO 'LAICO' DI GESU'

Il natale di Gesù segna l’anno zero dei calendari più diffusi sul pianeta: merito delle qualità eccezionali del Personaggio – unica incarnazione di Dio in terra - o dell’imperialismo culturale-economico dei suoi fedeli? La globalizzazione ci costringe a relativizzare vecchie certezze, ad apprendere nuovi sguardi sulla storia dell’umanità. Che si trova nell’anno 2023 d. C., ma anche nel 1444 per gli islamici, nel 5783-5784 per gli ebrei, nel 4720 per i cinesi…

Per i fondamentalisti di tutte le chiese cristiane (purtroppo non certo assenti nella Chiesa cattolica romana) il ridimensionamento teologico e storiografico di Gesù sarebbe una deminutio intollerabile, offensiva: o egli è una Persona divina che, a un certo momento della storia universale, ha assunto anche dei caratteri propri della natura umana oppure il suo profilo e il suo messaggio sprofondano nell’insignificanza. Ma è così? L’alternativa è davvero così secca, netta?

Proprio la rilettura dei brani biblici proposti dalla Liturgia odierna ci aiuta a capire che per i primi cristiani l’ammirazione, la fiducia, la gratitudine verso il Maestro non comportavano alcuna esaltazione esclusivista della sua persona. Quando nel Secondo Testamento troviamo toccanti proclamazioni di devozione verso di Lui, dobbiamo interpretarle sul registro di tutte le grandi dichiarazioni d’amore,  non come attestati di superiorità  in comparazione con altre figure spirituali dell’umanità (per altro sconosciute agli autori dei testi biblici).   

Proviamo a leggere il brano evangelico odierno (Lc 2, 1-14) senza gli occhiali della elaborazione dogmatica dei venti secoli successivi: i genitori vengono presentati come comuni coniugi in attesa del primogenito; come comuni sudditi obbedienti agli editti di Cesare Augusto; come comuni viaggiatori in trasferta la cui modesta disponibilità economica impedisce di trovare ospitalità alberghiera in occasione di mobilitazioni generali. Ma c’è di più: i primi ad essere informati e ad accorrere alla culla del neonato sono pastori. Nulla di poetico, di bucolico: i pastori sono i paria della società del tempo, i reietti di cui si diffida perché trascorrono più tempo in intimità con bestie che con propri simili. E’ molto probabile che qui il redattore del vangelo secondo Luca stia non riferendo vicende cronachistiche effettivamente avvenute, bensì proiettando retrospettivamente la sorte paradossale del Messia, la cui “corte” regale è stata costituita prevalentemente da marginali e la cui stessa morte è stata tipica dei peggiori “scarti” della società.

Il profilo che – retrospettivamente – il redattore del terzo vangelo restituisce del Messia è dunque fortemente demitizzante: non è l’avatar di nessun dio né un semidio. E’ la storia di un uomo che appartiene al popolo, al laòs; di un ‘laico’ nel senso più radicale del termine. Di un predicatore nomade che non aspira né a troni né a cattedre né a pulpiti: che non annunzia se stesso, bensì l’imminenza di un “regno” qualificato “celeste” per la sua origine divina, non per la sua destinazione in altri mondi. La fede del cristiano di oggi non ha dunque nulla di incompatibile, né di concorrenziale, rispetto ad altre fedi, ad altre sapienze, ad altre tradizioni. Non è “cristocentrica”, e neppure “teocentrica”: è “regno-centrica”, dunque concentrata nell’operosa speranza che questa umanità devastata dalla cupidigia, dall’odio, dalla prepotenza dei più violenti sui più deboli, dalle ingiustizie sistemiche più eclatanti – questa umanità tanto difficile da amare così com’è stata sino ad ora, si converta e sopravviva. 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com