I TRATTI DELL’AUTENTICO SAPIENTE DI IERI. E DI OGGI.
Quindici anni fa, nel marzo del 2008, moriva a 78 anni don
Antonio Balletto: una figura di primo piano della cultura cattolica italiana
più aperta alle ricerche teologiche e filosofiche europee. Infatti, oltre a
pubblicare articoli e libri propri, promosse –
da vari ruoli, sino a presidente, nella casa editrice Marietti – la
traduzione nella nostra lingua di rilevanti testi stranieri di autori di
diversa inspirazione: non solo cristiani (Maria Zambrano, René Girard, Simone
Weil), ma anche ebrei (Hannah Arendt, Martin Buber, Emmanuel Levinas) e ‘laici’ ( Jacques Derrida, Michel Foucault, Agnes Heller, Hans-Georg
Gadamer) . In questi giorni mi sono ritrovato
fra le carte gli appunti di una sua conferenza tenuta intorno alla metà degli
anni Ottanta sul tema della “sapienza” e sono stato colpito dall’attualità delle
sue considerazioni.
In essa infatti il prete ligure (che, in rotta con
l’arcivescovo conservatore di Genova Giuseppe Siri, aveva chiesto e ottenuto
l’incardinamento nella diocesi di Albenga) esordisce puntualizzando che, nel
contesto culturale dei libri del Primo Testamento detti appunto “sapienziali” - redatti fra il II e il I secolo a.C. - il
termine ‘sapiente’ aveva una gamma di significati molto più ampia, e più viva,
di quanto gliene attribuiamo abitualmente oggi. In prima approssimazione si
potrebbe dire che il sapiente è uno ‘esperto’ della vita: come l’Ulisse
omerico, è stato scaltrito dall’aver viaggiato molto e visto molte cose.
Più in dettaglio il sapiente è caratterizzato da una costellazione di caratteristiche, tra cui, innanzitutto, la disponibilità a lasciarsi coinvolgere intensamente dall’incontro con la realtà nelle sue varie sfaccettature. Non si ferma, dunque, alla superficie, ma accetta di fare esperienze ‘forti’, che impegnano integralmente la soggettività. Proprio questa predisposizione di fondo fa sì che – ecco una seconda caratteristica - egli non si neghi alle esperienze anche ‘dure’, dolorose: non cerca le soluzioni consolatorie agli enigmi della vita, ma si esercita nella difficile capacità di penetrarli sin dove è possibile. Proprio per attrezzarsi a tale arduo compito il sapiente ama ritornare, criticamente, alle cose antiche: questa terza caratteristica non va confusa con l’ingenuità nostalgica di chi recupera vecchie leggende pur di avere un qualsiasi punto di riferimento per orientarsi nel labirinto della storia. Piuttosto va identificata con la riscoperta delle radici autentiche delle cose, riservata a chi cerca i valori essenziali per se stessi, anche quando sembrano (almeno provvisoriamente) sorpassati e oscurati dalle mode. L’apertura a ciò che di meglio ci consegna la tradizione è accompagnata nel sapiente da un’apertura almeno altrettanto grande a ciò che di meglio esiste fuori dai confini del suo territorio socio-culturale: questa quarta caratteristica si manifesta come sincera curiosità, desiderio di dialogo, cordiale accettazione dell’inedito. Il motto latino diversus est adversus rivela grettezza. Solo l’insipiente si trincera in un diffidente provincialismo che assolutizza il noto.
L’incontro con il diverso può esigere una revisione, anche
radicale, della propria visione-del-mondo. Per questo una quinta caratteristica
del sapiente è di essere in cammino, in progress. Cerca di fare sintesi
delle proprie conoscenze ed esperienze, ma non cede alla tentazione di
ritenerla definitiva. Sa abbandonare gli schemi a cui si è affezionato tutte le
volte che l’evidenza glielo impone. Insomma: è in grado di ricominciare ogni
volta daccapo. E ciò non solo intellettualmente: sa ricrearsi, diventare
una nuova personalità. Consapevole che, oltre un certo limite, la fedeltà a sé
stessi diventa la virtù degli stupidi.
PER COMPLETARE LA LETTURA (IN VERSIONE ORIGINALE E ILLUSTRATA):
https://www.zerozeronews.it/don-antonio-balletto-un-sapiente-da-non-dimenticare/
1 commento:
Imperdibili, attuali, nutrienti questi appunti d'annata riproposti. Grazie.
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