Dodici lettere all’aldilà
di Adriana Saieva
Immagina qualcuno, di cui ti fidi ciecamente e di cui apprezzi la sensibilità e la delicatezza, che ti inviti a far visita a delle persone sconosciute; immagina che in queste visite ti si svelino personalità inedite, anime pure, donne e uomini dalla sensibilità superiore che hanno avuto a cuore, principalmente, la cura degli altri. Oppure immagina di trovarti in un luogo comodo, uno di quei posti dell’anima dove ci si sofferma per ore ad ascoltare storie, forse una tavola con i resti di un banchetto, forse due poltrone con un camino acceso. E immagina che l’interlocutrice sensibile e gentile sia Maria D’Asaro che, senza fretta e distorsioni di sottofondo, ti racconti di vite “nutrienti” al punto che alla fine anche tu te ne senta appagato. La modalità con cui ti avvicini alla sua narrazione è intima: Maria ti racconta di vite pienamente vissute, di donne e uomini che con la loro testimonianza e i loro scritti, hanno toccato il suo cuore. E lo fa rivolgendosi direttamente a loro in forma epistolare, trasgredendo i limiti del tempo e dello spazio. Sì, l’hanno nutrita – per usare ancora questo verbo a lei caro. Nutrire è un verbo che rimanda al primo sostentamento, alla nutrice che allatta; nutrimento è un sostantivo che rimanda alla sopravvivenza dell’organismo. Bene, Maria ha nutrito la sua anima con le vite e gli scritti di bella gente come Anna Stepanovna, Alex Langer, Vittorio Arrigoni e altr*. E allora fai più attenzione al racconto perché - se una scrittrice, un giornalista, un cantautore “nutrono” - è il caso di andare più a fondo, scoprire, intercettare nelle parole di Maria quel nettare di cui lei ha goduto. E Maria, dicevo, parla con loro e nel farlo si assume la responsabilità dell’intimità: ti ho letto, riletto, ho scandagliato i meandri dei tuoi pensieri e adesso posso rivolgermi a te come qualcuno che si conosce bene e ti è intimo. Così Maria sembra dire a ciascun destinatario delle sue lettere. E tu ascolti e ti vedi nelle sezioni di partito dei vent’anni di Giuliana Saladino, ti perdi tra le parole acute di Battiato, ti commuovi accostandoti a Primo Levi; ti stupisci nello scoprire un medico di cui non avevi mai sentito parlare -Carlo Urbani- “una persone come tante altre, che amava il suo lavoro e portava aiuto a chi purtroppo ha poco”; ti ritrovi nell’intimità del “lessico familiare” che Maria, scrivendo a Natalia Ginsburg, rievoca. E poi sobbalzi di commozione quando il destinatario della lettera è Dipsy, un cagnolino vispo e vivace a cui Maria ha dovuto dire addio, e insieme a lui c’è Felicetta, la micetta rossa che ha avuto il potere di farle passare la paura dei gatti (e io aggiungo anche alla mia dolce amica Viviana) solo grazie alla sua affettuosa e paziente presenza. E parlando con lui viene a tema quel rapporto speciale che nasce tra esseri viventi totalmente diversi, ma uguali nel saper comunicare con il linguaggio dell’amore incondizionato.
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