Ieri sera, mercoledì 26 luglio 2023, siamo riusciti finalmente a mettere il naso fuori casa. L'afa infernale dei giorni precedenti (52 gradi, secondo la stampa la temperatura massima raggiunta negli ultimi 200 anni) è stata sostituita da una brezza carezzevole: ma i fuochi intorno alla città continuano a fumare, bruciando - con alberi e fiori e cespugli - i resti cadaverici di tanti animali e animaletti innocenti.
E' stato spontaneo fare due passi e godersi con qualche amico più caro un aperitivo proprio davanti al Teatro Politeama. Ecco, ci siamo detti: questo clima - né troppo caldo né freddo - impreziosito da una ventilazione deliziosa è "giusto". E' quello "normale" a cui avremmo "diritto" tutti gli esseri viventi per tutti i 365 giorni dell'anno.
Come conciliare questo sentimento di armonia cosmica con la narrazione scientifica maggioritaria (anche se non più esclusiva)?
Non ci sarebbe nessuna Intenzionalità Intelligente in ciò che accade nell'universo: è per caso che nel nostro pianetino sperduto sia emersa la vita biologica, è per caso che si sia preservata e si sia sviluppata - attraverso ere glaciali e fasi di disgelo - sino all'equilibrio attuale.
Ma, se è andata così (solo così!), perché temperature molto alte o tempeste di grandine sarebbero meno "giuste", o "anomale", rispetto al clima temperato finalmente abituale? Avvertiamo qualcosa come il "diritto" di sopravvivere all'interno di un'oscillazione "ragionevole" fra il massimo e il minimo per noi sopportabili: ma chi ha il "dovere" di garantirci tale diritto?
Pare che saremo inghiottiti dal sole, una volta anch'esso raggelatosi. Niente di strano, tanto meno di assurdo. Se già viviamo nel non-senso, nel privo-di-ragioni, in questa breve fase di vivibilità, perché ci dovrebbe essere risparmiato il naufragio nel non-senso, nel privo-di-ragioni, quando questa breve parentesi di vivibilità si esaurirà?
Sto leggendo, in preparazione delle imminenti vacanze filosofiche in Val Brembana, le Cinque meditazioni sulla morte ovvero sulla vita di Francois Cheng. Il pensatore cinese, naturalizzato francese, si pone sin dalle prime pagine delle domande non dissimili da queste mie: "Se la nostra esistenza non avesse alcun senso, l'idea stessa di senso non ci avrebbe mai sfiorati" (p. 14). L'universo, "pur ignorando se stesso, sarebbe stato capace di generare degli esseri coscienti e agenti, i quali, nello spazio di un trascurabile lasso di tempo, lo avrebbero visto, e conosciuto, e amato, per poi scomparire. Come se tutto ciò non fosse servito a nulla...". "Questo nichilismo", "divenuto oggi un luogo comune", va accettato dogmaticamente?
Non saprei. Ho solo il sospetto che, se lo scenario ontologico è questo, non abbiamo molti argomenti etici da obiettare a quei soggetti, individuali e collettivi, privati e pubblici, che anche ai nostri giorni stanno violentando la Terra pur di strappare qualche centimetro di terreno e qualche scampolo di denaro.
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