IL 25 APRILE SCENDIAMO IN PIAZZA PER LA DIFESA E L’ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE NATA DALLA RESISTENZA ANTIFASCISTA
Il 78° anniversario della Liberazione dal nazifascismo si svolge, quest’anno, a sei mesi di distanza dall’insediamento del governo più di destra della storia dell’Italia repubblicana. Il Governo Meloni, pur non rappresentando la maggioranza degli italiani (ma solo il 43% dei votanti e il 26% degli elettori), si è legittimamente insediato alla guida del nostro Paese grazie alla combinazione perversa di due fattori: un fattore istituzionale, rappresentato dall’iniqua quota maggioritaria prevista dalla pessima legge elettorale vigente, e un fattore politico, determinato dalla divisione e dalle ambiguità del cosiddetto “campo progressista” a fronte di una sostanziale unità del “campo reazionario”.
Tutti i primi atti del Governo Meloni e della maggioranza parlamentare che lo sostiene rivelano - pur tra pasticci e correzioni successive, dovute a dilettantismo, contraddizioni interne alla maggioranza o a veti europei - un disegno di restaurazione autoritaria sul piano socio-economico, istituzionale e culturale, che punta, più o meno esplicitamente, a stravolgere la nostra Costituzione: dalla scelta dei Presidenti di Camera e Senato, ai discorsi programmatici della Presidente del Consiglio e alle continue indifendibili esternazioni dei ministri Valditara, Piantedosi, Lollobrigida e del Presidente La Russa; dal decreto di regolamentazione delle ONG per ostacolarne le attività di salvataggio dei migranti alle mai chiarite responsabilità del drammatico naufragio di Cutro e al successivo decreto che, lungi dal prevenire analoghe tragedie e dal colpire i veri trafficanti, punta a restringere i criteri di assegnazione della protezione speciale; dal decreto anti-rave alla dichiarazione dello stato di emergenza per gli sbarchi; dalla manovra di bilancio al Documento di Economia e Finanza (DEF), che riducono la spesa per la sanità e per l’istruzione.
La Presidente del Consiglio ha ribadito più volte come obiettivo prioritario di questa legislatura una forma di Presidenzialismo plebiscitario, che per sua natura tende a subordinare al potere esecutivo il potere del Parlamento e il potere giudiziario. Non a caso la riforma della giustizia prefigurata dal ministro Carlo Nordio tende a smantellare le garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura, per non parlare del grave abbassamento della guardia sul contrasto alla mafia e alla corruzione, conseguente al ridimensionamento delle intercettazioni, al nuovo codice degli appalti, alla disincentivazione dei collaboratori di giustizia e alla cancellazione dei reati commessi dai colletti bianchi, a riprova di un falso “garantismo” utilizzato strumentalmente in difesa delle classi dirigenti. Le norme antimafia, conquistate negli anni a caro prezzo, dopo gli omicidi e le stragi mafiose dei nostri martiri, vanno difese e applicate nel rispetto dell’art. 27 della Costituzione (“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”), e qualsiasi riforma della giustizia non deve intaccare il delicato equilibrio previsto nel titolo IV della Costituzione, che nel complesso garantisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere e lo svolgimento di un “giusto processo”.
D’altra parte la riforma fiscale prefigurata dalla flat tax contraddice il principio costituzionale di progressività del sistema tributario, esasperando le già crescenti disuguaglianze sociali, acuite dall’irragionevole cancellazione del “reddito di cittadinanza” e dagli incentivi all’evasione fiscale (condoni e innalzamento del tetto all’uso del contante); mentre il regionalismo differenziato che chiede maggiori risorse e maggiori poteri per le regioni più ricche e più forti, accentua le disuguaglianze territoriali tra Nord e Sud del Paese, rompe il modello universalistico e solidaristico del welfare, che secondo il dettato costituzionale dovrebbe garantire “pari dignità sociale” (sanità, istruzione, lavoro, sicurezza sociale) per tutti i cittadini.
Inoltre le suddette politiche sull’immigrazione stravolgono anche i diritti umani fondamentali, quindi non solo dei cittadini italiani ma anche degli stranieri e dei migranti, per i quali la Costituzione prevede “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, oltre che il rispetto delle norme e dei trattati internazionali. A completare il quadro, il progetto meloniano di un “europeismo conservatore”, condizionato, per un verso, dal sovranismo nazionalista condiviso con i suoi alleati del Gruppo di Visegrad (il sostegno italiano all’Ungheria che discrimina le persone Lgbtq ne è un indicatore), e, per l’altro, dalla totale subordinazione al Patto Atlantico e agli USA, contraddice lo spirito della Costituzione, che “ripudia la guerra …” e “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo” (cioè tipo l’ONU e l’UE, ma non tipo la NATO). Ma sul punto, per la verità, non si può non rilevare che il problema della dubbia compatibilità con l’art. 11 della Costituzione della partecipazione dell’Italia agli “interventi armati a fini umanitari” (Kosovo, 1999), alle guerre di difesa “globale” (Afghanistan, 2001) o “preventiva” (Irak, 2004), ed oggi all’invio di armi all’Ucraina (che si difende legittimamente dall’aggressione russa), non riguarda certamente solo l’attuale governo di destra, ma anche quelli di diverso colore politico che l’hanno preceduto.
Questo disegno complessivo di stravolgimento della Costituzione mette in pericolo la nostra democrazia. Il rischio non ci pare quello di un ritorno al fascismo storico, anche se Giorgia Meloni ed altri esponenti di spicco di Fratelli d’Italia - partito che rivendica l’eredità del MSI - non sembrano aver fatto, fino in fondo, i conti con la storia di quel partito e con i suoi intrecci col neofascismo eversivo, che ha indiscutibilmente svolto un ruolo importante in quel magma di servizi deviati italiani e stranieri, massoneria, mafie e referenti istituzionali e politici che ha dato vita alla “strategia della tensione” che ha insanguinato l’Italia, con il precedente di Portella della Ginestra nel 1947, da Piazza Fontana fino alle stragi del ’92-’93. Ma il rischio concreto che corriamo oggi è quello di una trasformazione strisciante del nostro sistema democratico in senso autoritario, in una “democratura” simile a quella polacca o ungherese. Come ha scritto il costituzionalista Gaetano Azzariti, “la destra al potere dà seguito alla sua storia e l’accoppiata elezione diretta del Presidente della Repubblica (obiettivo perseguito sin dal tempo del MSI) e autonomia differenziata (versione temperata delle tendenze secessioniste della originaria Lega bossiana) rappresenta il naturale e decisivo traguardo”.
Per queste ragioni riteniamo che le forze democratiche e progressiste, già da tempo divise e in crisi identitaria, debbano convergere nella battaglia di opposizione a questo disegno. L’elezione diretta di un uomo o di una donna solo/a al comando, sia nella versione presidenzialista (USA) che in quella semipresidenzialista (Francia), ha già dimostrato la sua fragilità democratica di fronte alle tendenze populiste e nazionaliste del “trumpismo” o del “lepenismo”. Così come l’idea che l’obiettivo della governabilità e della stabilità dei governi possa essere raggiunto, secondo i sistemi elettorali maggioritari, a scapito della rappresentatività dei parlamenti, si è già rivelata fallimentare non solo nell’ormai lunga transizione italiana, successiva alla crisi della “prima repubblica”, ma persino nel consolidato “modello Westminster” britannico. Se a queste considerazioni di merito, aggiungiamo il fatto che il governo Meloni vorrebbe fare dei cambiamenti così importanti della Costituzione, quali la forma di governo e la forma di Stato, in un parlamento così poco rappresentativo, magari con l’appoggio di qualche pezzo dell’opposizione (la proposta del Sindaco d’Italia di Azione-Italia Viva già lo prefigura), per tentare di raccattare la maggioranza dei due terzi ed evitare il ricorso al referendum popolare, l’allarme non dovrebbe essere sottovalutato da nessun sincero democratico.
Ma è importante sottolineare che non si tratta di una battaglia puramente difensiva. Nello scorso settembre, durante la campagna elettorale, nella “Lettera aperta ai delusi dalla politica della sinistra” si auspicava che “le forze progressiste, nonostante le attuali divisioni, dovranno combattere una battaglia comune non solo per la difesa della Costituzione ma per una sua piena attuazione, per lo sviluppo di una democrazia progressiva che rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale consenta la realizzazione di un’effettiva uguaglianza dei cittadini”.
Anche noi riteniamo, come ha detto Liliana Segre nel discorso del 13 ottobre al Senato, che “la Costituzione è perfettibile e può essere emendata (come essa stessa prevede all’art. 138), ma … se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice”. E condividiamo l’appello rivolto dopo la sconfitta elettorale a tutte le forze di sinistra e di progresso, da un gruppo di elettrici ed elettori di differenti culture, storie politiche e civili (tra cui Rosy Bindi, Vannino Chiti, Domenico De Masi, Gad Lerner, Tommaso Montanari, Giulia Rodano, ecc.) per proporre di “assumere quale comune stella polare, ideale e programmatica, l’ancoraggio ai valori della Costituzione, la dignità del lavoro, la giustizia sociale e ambientale, la pace e il disarmo, la lotta contro le disuguaglianze, la cittadinanza dei ‘nuovi italiani’. Convinti come siamo che astensione ed esito del voto sono frutto di un divario profondo tra la vivacità del paese e la sua traduzione nella politica organizzata, consideriamo urgente fornire un solido riferimento politico alle istanze serie e radicali di cambiamento che vengono espresse da tante realtà civiche e sociali, in particolare delle donne e dei giovani”.
Per tutte queste ragioni, da semplici cittadini, il 25 aprile manifesteremo a Palermo con l’ANPI, l’ARCI e la CGIL per la difesa e l’attuazione della nostra Costituzione nata dalla resistenza antifascista. E, in particolare, rivolgiamo un appello a tutti coloro che condividono lo spirito e i contenuti di questo documento, perché, all’indomani del 25 aprile, contribuiscano alla realizzazione di momenti di confronto e convergenza tra tutte le espressioni dell’associazionismo e del volontariato laico e religioso, che già operano nel territorio palermitano, per realizzare concretamente i valori della Carta. Crediamo, infatti, che questa battaglia non potrà svolgersi soltanto nelle istituzioni, ma dovrà essere sostenuta da una partecipazione dal basso, dal conflitto sociale indispensabile a mantenere e sviluppare quel modello di democrazia progressiva configurato dalla nostra Costituzione, per farla vivere nei territori, partendo dalle “esperienze esemplari”, dalle “buone pratiche” già esistenti per diffonderle e generalizzarle ovunque sia possibile.
Giovanni Abbagnato
Leo Alagna
Riccardo Alessandro
Marina Allotta
Mario Azzolini
Tommaso Baris
Giovanni Bellia
Augusto Cavadi
Beppe Cipolla
Gaetano Cipolla
Maria Adele Cipolla
Enrico Colajanni
Mari D’Agostino
Raffaella De Pasquale
Alessandra Dino
Vincenzo Gervasi
Filippo Grippi
Antonella Leto
Jesse Marsh
Ernesto Melluso
Giancarlo Minaldi
Francesco Petruzzella
Antonio Riolo
Claudio Riolo
Rosana Rizzo
Pippo Russo
Gaetano Sabatino
Alessandra Sciurba
Bonaventura Zizz
3 commenti:
[09:04, 25/4/2023] Padre Gianni Trumello: Enza Valenti mi ha girato le sue riflessioni sul 25 aprile. Da un uomo di studio come Lei auspicavo un contributo a favore della riconciliazione dopo 78 anni, in una Italia che ha ben altri problemi che continuare con antifascismo. Chi oggi alimenta lo spauracchio del fascismo in Italia è in malafede come detto da politici e pensatori di sinistra. E poi, se il popolo in più nazioni sta votando per centro e destra, ci sarà una stanchezza per l'esasperazione delle ideologie e lobby progressiste. Bisognerebbe che alla dichiarazione dei diritti, ci fosse quella sui doveri. Libertà e responsabilità sono coniugate nei social? C'è una emergenza educativa, non solo per i ragazzi e i giovani? Non ho mai votato a destra. Con quale percentuale di votanti ha governato e governa la sinistra? Vedo nel popolo silenzioso la richiesta di aiuto a ben vivere, e non solo ad essere liberi dal buon senso. Anche io mi occupo di filosofia della storia, oltre che della teologia. Auspico che il presente prepari il futuro del nostro paese. Con tanti ossequi.
P. Gianni Trumello passionista
Gli orrori sono stati solo della destra? Non c'è sicuramente paragone tra i due orrori, ma sempre di stragi si tratta. Vedi le foibe, ma anche da parte dei partigiani.
A suicidare la memoria del 25 aprile, della resistenza e della liberazione è stato il PCI E I SUOI Derivati, facendo dell'antifascismo un'arma ideologica buona contro ogni nemico. (Salv. Abbruzzese, prof. di Sociologia a Trento)
Condivido e Sottoscrivo
Alberto Genovese
Coloro che mal sopportano la memoria del 25 aprile, invocano spesso la cosiddetta "riconciliazione", ovvero un generico "vogliamoci bene", uno "scordammoci o passato, semo a Napoli paesà". La riconciliazione c'è stata, eccome. Ne è prova che al parlamento italiano potè sedere il Movimento Sociale Italiano, erede diretto della repubblica sociale italiana. Lo permise la benignità dei vincitori che, loro sì, si riconciliarono con i sostenitori della dittatura fascista. Sono, al contrario, i nostalgici del fascismo, tuttora operanti nella politica italiana, che non si sono "riconciliati" con i valori della democrazia.
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