UNA SPIRITUALITA' RAGIONEVOLE OLTRE I MITI MISCONOSCIUTI IN QUANTO MITI
L'epoca delle religioni è tramontata definitivamente ? In Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana(2016) vari autori, coordinati da Claudia Fanti e Ferdinando Sudati, hanno argomentato la loro risposta quasi del tutto affermativa (almeno per quanto riguarda l'Occidente e i Paesi che ne sono stati influenzati culturalmente) inaugurando una Collana, dei Gabrielli Editori, intitolata appunto “Oltre le religioni” . Soprattutto in un'opera successiva, Il cosmo come rivelazione. Una nuova storia sacra per l'umanità (2018), a cura di Claudia Fanti e José Maria Vigil, non ci si è limitati alla pars destruens e i co-autori hanno provato a tratteggiare degli scenari post-religionali e post-teistici attingendo alle suggestioni della fisica e della cosmologia contemporanee. Poiché a mettere in crisi i paradigmi culturali e istituzionali non sono soltanto le scienze fisiche, ma anche – almeno altrettanto – le scienze antropologiche (in particolare le neuroscienze e la cibernetica), gli stessi curatori hanno dato alle stampe un terzo volume della medesima Collana editoriale: Una spiritualità oltre il mito. Dal frutto proibito alla rivoluzione della conoscenza (2019).
I termini della questione sono ben evidenziati da Y. N. Harari nel suo Sapiens. Da animali a dei (Bompiani, Milano 2017):
“la prossima fase storica comprenderà non solo trasformazioni tecnologiche e organizzative, ma anche trasformazioni fondamentali nella coscienza e nell'identità umane. E queste potrebbero essere così radicali da mettere in questione lo stesso concetto di «umanità»” . “Se è vero che sta per calare il sipario sulla storia di Homo sapiens, noi che apparteniamo a una delle sue generazioni finali dovremmo dedicare un po' di tempo a rispondere a un'ultima domanda: che cosa vogliamo diventare?” (p. 294, qui citato a p. 39).
Non è facile esagerare la gratitudine che dovremmo nutrire verso quanti, approfondendo e divulgando tali tematiche cruciali, ci strappano alla banalità delle baruffe da cortile tra partiti e partitini per ricordarci la gravità di simili interrogativi, da cui – per riprendere un'altra citazione da Harari - “non sono spaventati” solo coloro che “non ci hanno riflettuto abbastanza” (p. 295, qui citato a p. 39).
In realtà, siamo davanti a un bivio: o proseguire per la strada dell'era “tecnozoica” (Thomas Berry), “della tecnoscienza al servizio del capitale, in un processo inarrestabile di biocidio e geocidio”, o virare verso l'orizzonte di un'era “ecozoica” (ancora Berry) in cui abbracceremo finalmente un'altra visione – biocentrica, cosmocentrica - , in comunione con la comunità di vita di cui siamo parte” (C. Fanti,p. 41). La scelta non è più una questione di “fede”: come recita il titolo del contributo di J. M. Vigil, Non si tratta più di “credere” ma di Attualizzare l'epistemologia (p. 47). In termini elementari:
“Nella nostra epoca, pretendere che una persona colta e critica accetti un'interpretazione globale della Realtà e un significato per la propria vita sulla base di alcuni miti ancestrali, per quanto geniali fossero all'epoca, contravviene decisamente alle esigenze minime di dignità, intelligenza e onestà intellettuale in grandi settori dell'umanità colta. Molte di queste centinaia di milioni di persone che hanno abbandonato la religione, o addirittura realizzato un atto di apostasia, lo hanno fatto come un grido di dignità e di onestà, o come una richiesta di soccorso per non soffocare esistenzialmente. Con tutto il diritto. E con tutta la ragione epistemologica” (p. 63).
Pur con la comprensione e il rispetto verso chi decide di gettare a mare l'intero “pacchetto” delle religioni storiche, è lecito ipotizzare un'operazione diversa, consistente in una sorta di estrazione dal guscio inaridito della “religione” il succo ancora tonico della “spiritualità”:
“La spiritualità è per definizione l'essenza della religione, nel senso che, al di là degli aspetti sociologici della religione stessa, dei suoi edifici e delle sue gerarchie, dei suoi codici canonici e delle sue liste di cose permesse e cose proibite, c'è pur sempre al centro di essa la ricerca di qualcosa di reale e significativo, qualcosa che dia senso alla vita. La spiritualità non è altro che la ricerca di questo 'qualcosa', che spesso chiamiamo 'spirito'. Si tratta di vivere a partire dal profondo di noi stessi e non dalla superficie delle cose, a partire dal proprio vero Sé e non dal proprio 'personaggio' (ovvero dalla 'persona interiore' invece che dalla 'persona esteriore') (M. Fox, p. 192).
In questo contesto storico-culturale, nel quale non si sperimenta nulla di nuovo se non ci si spoglia delle vecchie e oppressive corazze, è comprensibile, anche se non giustificabile, che molti “reagiscano con tanto timore, addirittura con panico, e con intolleranza e atteggiamenti di condanna”; ma è incoraggiante constatare altresì che
“sono già molte le persone che, con l'ausilio della prospettiva laica della scienza, sono giunte a percepire che la realtà, compresa quella religiosa, come ogni cosa in questo cosmo che conosciamo, è evolutiva, viva, in movimento perpetuo, e a rendersi conto che anche l'umanità è attualmente immersa in una profonda trasformazione, in un nuovo «tempo assiale». Persone che sfruttano con gioia il privilegio di vivere in un tempo così stimolante, cogliendo l'occasione di collaborare con la sua ricerca e la sua creatività, orgogliose del coraggio che hanno avuto di liberarsi epistemologicamente e di uscire dalla gabbia per passare a guardare tutto da una prospettiva superiore” (J.M. Vigil, p. 65).
E' all'interno di questo scenario che la “spiritualità”, finalmente slegata dall'identificazione con la “religione”, può trovare una nuova interpretazione:
“Quando ci concediamo il tempo di meditare, potenziando la nostra consapevolezza della grande rete cosmica e terrestre di cui siamo parte, quando ci consentiamo di ascoltare la saggezza dei nostri stessi corpi e la voce istintiva che ci parla dai nostri geni, possiamo entrare in contatto con energie primordiali tali da condurci a una trasformazione personale e collettiva.
La pratica spirituale, allora, non sarebbe la contemplazione di mondi eterei distanti dalle realtà terrene: sarebbe, piuttosto, l'ingresso in una profonda comunione con la dimensione corporea, pre-cosciente, pre-umana del nostro stesso essere, la quale costituisce un'espressione specifica e concreta della totalità sacra che è l'Universo.
In quest'epoca di pericoli senza precedenti, in cui l'antropocentrismo di un'umanità che ha acquisito immensi poteri tecnologici rischia di provocare la nostra estinzione come specie, la costruzione di una nuova forma di relazionarci con il pianeta e i suoi abitanti non-umani è diventata urgente e imprescindibile” (D. Molineaux, pp. 96 – 97).
Il rinnovamento della vita spirituale sarebbe monco – o addirittura falso – se non fosse pensato e vissuto come motore di un cambiamento socio-politico. Mary Judith Ress attira l'attenzione su una di queste possibili piste: l'eco-femminismo. Riallanciandosi a proposte ed esperienze varie, traccia tre passaggi di un cammino effettivo verso l'epoca “ecozoica”:
“Il primo è la creazione di terapie, spiritualità personali e liturgie comunitarie attraverso cui nutrire e simboleggiare una nuova coscienza biofilica.
Il secondo è il ricorso alle istituzioni locali su cui esercitiamo un certo controllo – scuole, chiese, attività commerciali gestite localmente – come progetti pilota per una vita ecologica.
Il terzo è la costruzione di reti di organizzazioni che, a livello regionale, nazionale e internazionale, assumano l'impegno di cambiare le strutture di potere legate all'attuale sistema di morte” (pp. 115 – 116).
Come si intuisce da queste brevi citazioni, la spiritualità che si prevede – o per lo meno si auspica – in queste nuove prospettive teologico-filosofiche è insofferente di barriere limitanti e, ancor di più, di contrapposizioni polemiche. Lo ribadisce, insieme a tutti gli altri co-autori e a tutte le altre co-autrici del volume, anche l'ex-gesuita - animatore della comunità di base aragonese di Almofuentes – S. Villamajor Lloro:
“ Né la religione di un altro mondo, né una laicità insignificante. E' il momento di modellare lentamente e rispettosamente la nuova umanità, a partire dall'amicizia civica e dal desiderio di sapere, dall'amore incondizionato che comincia dai più deboli, dall'apertura a ciò che ci sorpassa. E di costruire così una nuova ragione (razón) e un nuovo cuore (corazón). Un nascente co-razón che ci orienti tutti nella diversità” (p. 187).
In tutto questo processo di radicale rinnovamento, c'è qualcosa del cristianesimo che resterebbe valido e proficuo? Come risponde, in pagine acute e anche letterariamente sapide, don Sudati, dopo l'ormai improcrastinabile de-mitizzazione (avviata nel XX secolo da Rudolf Bultmann), resterebbe un “quasi niente” che è, però, un “quasi tutto” da cui ripartire: il “cuore dell'insegnamento di Gesù” riassunto nelle beatitudini seguite, nel vangelo secondo Luca, da altrettanti “guai a voi”. Il “poco” che rimane è il “molto” e il “tutto” perché è “l'essenziale” (condivisibile da “tante comunità e singole persone che si riconoscono in questa base umanitaria e sono capaci di benevolenza e altruismo, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose o dall'assenza di esse”) (F. Sudati, pp. 136- 137).
Come tutti i testi interessanti, anche questi raccolti amorevolmente dalla Fanti e da Vigil pongono interrogativi. Ne evidenzio solo tre.
Il primo riguarda proprio una formula nel titolo: “oltre il mito”. Si sa che nei titoli bisogna essere sintetici e incisivi, ma ciò comporta rischi di fraintendimento. La nuova spiritualità vuole andare davvero “oltre i miti” o non piuttosto oltre l'interpretazione letterale – dunque erronea, fuori registro, inappropriata – dei miti? Può esistere una spiritualità senza miti e, nell'ipotesi improbabile che lo possa, è anche augurabile che ci riesca? La risposta si trova nell'ultimo – e non certo meno prestigioso – contributo della raccolta, là dove Fox scrive:
“L'assenza di miti significherebbe l'assenza di musica, di arte, di cinema, di riti. Vivere senza miti? Ma scherziamo ? Buona fortuna davvero! I miti giocano un ruolo indispensabile nella vita dell'individuo e della comunità, sono una parte ineliminabile della nostra umanità. […] Nell'epoca postmoderna non è sufficiente demitologizzare o decostruire, abbiamo anche bisogno di rimitologizzare e ricostruire” (p. 197).
La distinzione di statuto epistemologico fra i discorsi scientifici e i discorsi meta-scientifici (includo qui, senza ulteriori distinzioni interne, la filosofia e la poesia) non sempre viene rispettata. Quando, ad esempio, un autore solitamente attento come M. J. Vigil afferma che “non abbiamo bisogno di credere (né è più possibile farlo) in una creazione nata da alcuni ordini (fiat lux) o dall'alito insufflato in un fantoccio di fango”, dal momento che “ciò che in tempi antichi immaginavamo miticamente come «creazione attraverso la parola» da parte di un Ente preesistente è stato invece un processo cosmico evolutivo di milioni di anni” (p. 56), non dà l'impressione di un confronto fra due teorie dello stesso genere, di un'alternativa (“invece” !) sullo stesso piano? E' quanto chiarisce, a mio parere molto bene, Santiago Villamayor: “il «Big Bang» e la creazione sono riferimenti che si pongono a livelli epistemologici distinti. Parlando del primo, ci collochiamo a un livello empirico, parlando del secondo ci poniamo a un livello simbolico. E così avviene con molti altri miti” (p. 174). Le scienze naturali e umane compiano, più a fondo che possano, il proprio preziosissimo e insostituibile compito di raccontare il “come” dell'universo, ma senza illudersi e illudere di risolvere la domanda sul “perché”. Per esprimerci con Javier Montserrat (citato da Villamayor nella medesima pagina) l'universo moderno e contemporaneo resta “un universo enigmatico che ci pone nell'incertezza metafisica di non sapere se il suo fondamento ultimo è Dio o un puro mondo senza Dio”.
Se dalla “incertezza metafisica” si possa mai evadere, o se vi siamo condannati in eterno, è – appunto – una questione che rientra in quella disciplina denominata “metafisica”: una questione cioè di competenza dei filosofi che si occupano di filosofia della religione, di ontologia e di teologia 'filosofica' (o 'razionale' o 'naturale'). E questa considerazione mi suggerisce un terzo e ultimo interrogativo: come mai in questo volume, come per altro nei tre precedenti della medesima Collana editoriale, non c'è quasi nessuna traccia dei pensatori occidentali come Hegel e soprattutto Schelling che hanno, da secoli, prospettato e argomentato teorie onto-teologiche estremamente simili alle teorie condivise dai nostri co-autori? E' solo una questione di formazione biografica o ci sono delle motivazioni più profonde (e dunque più interessanti da esaminare) che restano, però, nel non-detto?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
“Viottoli”
2022, 2
1 commento:
Niente di inedito o di particolarmente originale, ma espressioni e approdi finali di processi multisecolari.
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