SIAMO ESSERI FINITI. PER QUESTO ANCHE PRIGIONIERI DELL’ASSURDO ?
Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà (Raffaello Cortina Editore, Milano 2020), di Telmo Pievani, costituisce un tentativo, sostanzialmente riuscito, di rilanciare le idee di due grandi intellettuali del Novecento: il biologo Jacques Monod e il filosofo Albert Camus. Con almeno due meriti: di rilanciarle su un registro comunicativo accessibile anche ai non-specialisti e, soprattutto, d’intrecciarle reciprocamente, a riprova della necessità di abbattere i muri che separano la ricerca scientifica dalla riflessione umanistica.
L'adozione del genere letterario “romanzo filosofico”, però, non è esente da inconvenienti: infatti le pagine sono punteggiate da affermazioni filosofiche che l'autore, in quanto romanziere, non si ritiene in dovere di argomentare. Si affida, come ogni poeta, all'intuizione del lettore: che può scattare o meno.
Esemplifico con la tesi fondamentale su cui si basa l'intero svolgimento del testo: “Che cosa può esserci, dunque, di più assurdo e straziante, ma anche commovente, di un cercatore nato di senso, il quale capisce che non c'è alcun senso? Che prova e prova ancora a trovare quel senso, che tuttavia gli sfugge?” (p. 54). Qui viene radiografata la struttura intima della “finitudine” umana: che è certamente di ordine spaziale e cronologico (la nostra specie occupa un posto marginale nell'universo sinora conosciuto e lo occupa da pochissimo tempo per pochissimo tempo ancora), ma soprattutto di ordine intellettuale ed esistenziale (“sentiamo un desiderio di felicità e di ragione”, ma destinato a restare frustrato dal “silenzio disarmante del mondo”, ivi). La finitudine umana, come in ogni altro ente dell'universo, è sancita dalla morte: ma, nel nostro caso, la morte fisica è per così dire anticipata e amplificata dalla consapevolezza che la nostra esistenza non ha alcun altro senso se non quello che le avremo saputo attribuire.
Ebbene: che la vita umana sia priva di senso, di significato intrinseco, perché inserita in un universo altrettanto privo di senso, di significato intrinseco, Pievani lo ribadisce quasi a ogni pagina. Ma lo 'dimostra' anche?
Personalmente risponderei di no.
Da una parte, infatti, egli rimanda, almeno implicitamente, alle opere di Camus il quale descrive, in maniera efficacissima, l'assurdità della vita umana (individuale e collettiva), ma non dimostra che ciò che egli descrive (fenomenologia) coincida totalmente con l'interezza del reale (ontologia). La sua visione filosofica si basa sul presupposto che ciò che appare nel mondo sia non solo reale (come è), ma tutto il reale: si tratta di un presupposto abbastanza solido, anzi indiscutibile perché evidente? Oppure resta aperta un’altra ipotesi: che questa vita umana sia assurda se la realtà si esaurisce nell’esperienza sensibile e che acquisti senso se la realtà è più grande, più alta, più profonda dell’esperienza sensibile? Sulla infondatezza di questa seconda ipotesi Pievani non spende una riga. Ma questo significa non degnare di una smentita le centinaia di filosofi – da Parmenide e Platone sino a Wittgenstein e Ricoeur – che hanno indicato nella possibilità dell’Invisibile la chiave per decifrare l’oscuro enigma del visibile.
Se da una parte Pievani si appoggia a Camus, dall'altra rimanda a Monod il quale avrebbe rinforzato la tesi dell'assurdità del cosmo illustrando il meccanismo evoluzionistico per cui tutto ciò che osserviamo oggi è frutto dell'incrocio fra una novità casuale (una modificazione chimica o biologica) e una replica necessaria, negli eredi, di tale novità se risulta conveniente all'adattamento della specie all'ambiente. La teoria di Monod si presta a due diversi generi di obiezioni. A un primo livello si tratta di obiezioni 'scientifiche': per attribuire un evento al caso, basta che sia imprevedibile dall'intelligenza umana sulla base delle leggi naturali sinora scoperte? O un evento potrebbe essere casuale rispetto ai nostri parametri conoscitivi e perfettamente prevedibile rispetto ai parametri conoscitivi di un'intelligenza extra-terrestre più ampia della nostra? Se punto mille euro su un numero della roulette e vinco, dal punto di vista antropologico è stato certamente un caso; ma date le varie circostanze del momento (forza impressa al disco, temperatura ambientale etc. etc.) è davvero imprevedibile in sé o soltanto per noi?
Ma ammettiamo che, sul piano scientifico, la teoria di Monod sia inattaccabile. Se tutti i fenomeni biologici avvengono per caso, questo significa che l'intero universo (all'interno del quale si danno i fenomeni biologici) sia anch'esso frutto del caso? Forse sì, forse no. Ma, se propendiamo per la risposta affermativa, dobbiamo renderci conto che non siamo più nell'ambito della biologia: stiamo facendo affermazioni meta-biologiche, meta-scientifiche, meta-fisiche. Affermazioni filosofiche, in particolare ontologiche. Di questo spostamento di punti di vista mi pare che Pievani mostri poca consapevolezza.
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