sabato 25 marzo 2023

IL RACCONTO DEL CIECO NATO: COMMENTO AL VANGELO DI DOMENICA 19 MARZO 2023.


Il commento 'laico' richiestomi dalla redazione di "Adista-Notizie" (n. 6 del 18.2.23) per il vangelo della quarta domenica di Quaresima (secondo la Chiesa cattolica):Gv 9, 1-41. 
Il commento al vangelo della quinta domenica di Quaresima, 26 marzo 2023, è stato già anticipato in questo blog:
https://www.augustocavadi.com/2023/03/lazzaro-e-la-vera-morte-nel-vangelodi.html 

 

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Il vangelo attribuito all'apostolo Giovanni è davvero una miniera di registri comunicativi. Vi si trova – e nella stessa pagina - un po' di tutto, dai toni solenni del linguaggio di rivelazione alle osservazioni umoristiche sulla meschinità quotidiana. 

Nel brano odierno, ad esempio, gli esegeti ci spiegano che dal punto di vista dell'analisi strutturale il 'cuore' è nella dialettica “luce” e cecità dovuta a rifiuto della luce: “Finché sono nel mondo, sono luce nel mondo” (9, 5), da una parte; ma, dall'altra, “affinché coloro che vedono diventino ciechi” (9, 39). Non stiamo parlando di quisquilie: l'autore del testo si sta interrogando sulle possibili ragioni per cui un Maestro saggio e benevolo sia stato rifiutato dalla sua gente, anzi addirittura condannato a morte. E' il mistero della libertà umana che può vedere il  vero e il giusto eppure misconoscerlo. C'è anche, mi pare, un tentativo di scavare nella dinamica di questo enigma antropologico: quando misconosciamo l'evidenza non è per cattiveria, quanto per presunzione. Il malvagio può convertirsi, ma chi è convinto di aver capito tutto della vita - e di essere per questo migliore degli altri - non ha nulla da imparare. Non sospetta neppure di essere un cieco bisognoso di guarigione. 

La presunzione di sapere è già per Socrate la trappola che ci impedisce di iniziare – almeno iniziare – la ricerca: è dunque un handicap psicologico e intellettuale, una prigione esistenziale. Già grave come fenomeno caratteriale, diventa ancor più micidiale quando si appesantisce di motivazioni teologico-religiose. Perché, secondo il racconto,  i Giudei presenti all'evento non ammettono di essere davanti a un uomo con qualità straordinarie? “Tu sei discepolo di quello là” - dicono apostrofando con disprezzo il cieco sanato - “ma noi siamo discepoli di Mosé. Noi sappiamo che a Mosé Dio ha parlato” (9, 28). Dunque, si potrebbe essere una persona mite e consapevole dei propri limiti, ma se si è convinti di aver ascoltato la parola di Dio stesso mediante un profeta assolutamente attendibile...è la fine. Il dogmatismo, la chiusura rispetto al nuovo, l'intolleranza per chi la pensa o la fa diversamente da noi, toccano l'apice.

Non è difficile intravedere dunque fra queste righe la tragedia del cristianesimo, anche attuale. Sino al Medioevo la rivelazione divina, per i credenti, non era concentrata in maniera esclusivista nella Bibbia (il cui canone, d'altronde, è stato fissato solo nel IV secolo), ma si riconoscevano “semi del Verbo” in tutta la cultura precedente, sino a considerare Platone un “Mosé greco”. Dal concilio di Trento in poi, invece, si ebbe un'interpretazione molto rigida dell'inspirazione delle Scritture e della loro inerranza assoluta: sappiamo quanti Giordano Bruno e quanti Galileo Galilei ne pagarono le dure conseguenze. 

Oggi le Chiese cristiane, in particolare la cattolica, sono lacerate al loro interno fra chi si è reso conto che la Bibbia è un testo né più sacro né meno sacro di tutti i testi fondativi di altre tradizioni religiose (e dunque va indagato scientificamente e interpretato alla luce della ragionevolezza umana) e chi è arroccato su posizioni fondamentaliste e letteraliste, pronto a usare le citazioni bibliche come martellate sulla testa di chi vuole usarla liberamente. Ai fautori di questa schiera conservatrice a oltranza il Cristo di Giovanni continua a ripetere: “Se foste ciechi, non avreste peccato. Ora invece dite: «Noi vediamo». Il vostro peccato rimane” (9, 41). 

Intessuti con questi ammonimenti solenni, la pagina evangelica inserisce passaggi umoristici (la celebre “ironia giovannea”): dai genitori che, in perfetta omertà, si rifiutano di testimoniare ciò cui pure hanno assistito (“Come poi ora veda non lo sappiamo né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi. Interrogate lui! Ha la sua età; egli stesso parlerà di sé”, 9, 21) alla domanda sfottente dell'ex-cieco ai suoi interlocutori (“Ve l'ho già detto e non mi avete dato ascolto. Perché volete sentirlo ancora? Volete forse anche voi diventare suoi discepoli?”, 9, 27). Già, così è la vita reale: nei dibattiti sui massimi sistemi interferiscono le nostre resistenze umane, troppo umane. E qualche sorriso divertito  può servire per smorzare i toni e ricordarci della nostra effettiva, irrimediabile, piccolezza rispetto alle grandi questioni.

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

4 commenti:

Sebastiano maiellaro ha detto...

Mi è capitato di provare a ragionare con fratelli di chiesa fondamentalisti, e , di non essere ascoltato, e , di essere investito da una sfilza di versetti a caso, ma presi dalla Bibbia che contiene verità "rivelate" e indiscutibili.
Non vogliono pensare, perché è troppa la paura di veder crollare la costruzione della loro casa che gli fornisce tanta sicurezza e l'illusione della comprensione della realtà.
In casi come questi mi chiedo cosa è giusto fare.
Da un lato mi sembra di fare una cosa buona cercando di liberarlo dalla prigione in cui si è chiuso, dall'altro mi sembra ovvio che è un lavoro che ognuno deve fare personalmente e liberamente, e che forzare dall'esterno questo processo, potrebbe destabilizzarlo e portarlo a una incognita crisi.

Augusto Cavadi ha detto...

Gentile Sebastiano Maiellaro, ritengo di capire bene il tuo stato d'animo. Personalmente ho smesso da tempo ogni passione proselitistica, almeno in questo campo. Quando ho l'occasione esprimo ciò di cui sono convinto: chi vuole condividerlo lo condivida, chi lo vuole rifiutare lo rifiuti. La vita è troppo breve pre sprecarla in polemiche...

Pietro Spalla ha detto...

Scrive Augusto Cavadi: " La presunzione di sapere è già per Socrate la trappola che ci impedisce di iniziare – almeno iniziare – la ricerca: è dunque un handicap psicologico e intellettuale, una prigione esistenziale."
E' difficile, quando siamo convinti di sapere, inoltrarsi in indagini e accettare conoscenze nuove che minaccerebbero le nostre certezze e i nostri equilibri: rischiamo di cambiare idee e paradigmi e di dovere ricostruire le fondamenta delle prigioni di cui abbiamo bisogno per sentirci al sicuro.

Anonimo ha detto...

Il fondamentalismo avvelena le religioni. Il messaggio evangelico apre invece alla speranza!