«L'ateismo è un'impresa crudele e di lungo respiro: io credo di averla condotta in porto» scrive Jean-Paul Sartre nella sua autobiografia (Le parole). Attraverso quale percorso? A partire dalla gelosa consapevolezza di essere un essere libero. Intrinsecamente e irrinunciabilmente libero. Infatti, a suo avviso, se esistesse qualcuno o qualcosa di simile a ciò che siamo abituati (almeno nell'ambito delle tre religioni del Libro: ebraismo, cristianesimo e islamismo) a chiamare “Dio”, la nostra libertà sarebbe compromessa radicalmente.Infatti, prima di tutto e fondamentalmente, non saremmo i padroni della nostra vita: dovremmo limitarci a constatare che siamo (“esistenza”) e che siamo strutturati in una certa maniera (“essenza”). La nostra appartenenza alla specie umana - e non a una specie di vegetali o di minerali – non dipenderebbe da noi, ma da un Creatore che avrebbe scelto per noi un'essenza (umana) anziché un'altra (vegetale o minerale). In un breve, incisivo, scritto (L'esistenzialismo è un umanismo) spiega con efficacia questo punto cruciale della sua riflessione: «Se Dio non esiste, c'è almeno un essere presso cui l'esistenza precede l'essenza»: «l'uomo». Solo se Dio non c'è, io posso decidere – nel corso della mia vita – di darmi l'essenza di cavallo o di coltello. O di homo sapiens. Dunque, solo se Dio non c'è, io sono veramente e totalmente libero. E auto-conferirmi una determinata essenza o natura significa darmi anche le relative istruzioni per l'uso: le regole per rispettare e attuare e portare a pienezza quell'essenza o natura che ho scelto per me. Non le trovo in nessun manuale redatto da chi ha progettato la mia struttura e il mio funzionamento.
Si potrebbe supporre che una libertà così radicale debba essere entusiasmante, ma Sartre non nasconde che è «molto scomodo che Dio non esista, poiché con Dio svanisce ogni possibilità di ritrovare dei valori in un cielo intelligibile; non può più esserci un bene a priori perché non c'è nessuna coscienza infinita e perfetta per pensarlo; non sta scritto da nessuna parte che il bene esiste, che bisogna essere onesti, che non si deve mentire, e per questa precisa ragione: che siamo su di un piano dove ci sono solamente uomini. Dostoevskij ha scritto: “Se Dio non esiste tutto è permesso”. Ecco il punto di partenza dell'esistenzialismo. Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste, e di conseguenza l'uomo è 'abbandonato' perché non trova, né in sé né fuori di sé, possibilità di ancorarsi» (ivi). Da questa scomoda libertà l'uomo non può evadere : «Noi siamo soli, senza scuse. E' ciò che esprimerei dicendo che l'uomo è condannato a essere libero. Condannato, perché non si è creato da se stesso, e tuttavia libero, perché una volta gettato nel mondo è responsabile di tutto ciò che fa» (ivi).
Questa esaltazione enfatica della libertà umana svolge certamente un compito prezioso di purificazione e approfondimento dell'idea di Dio (almeno del Dio comune ai tre monoteismi mediterranei): Egli è ammissibile solo se non è il Padre/Padrone dell'universo, ma il Fondamento/Principio che lo mantiene nell'esistenza conferendo a ogni essente la sua energia. Dunque, rispetto agli esseri liberi (come gli esseri umani e chi sa quanti altri nell'immensità dei pluriversi), Egli non è concepibile come Concorrente, bensì come Donatore di potenzialità. Lungi dal pensarlo come una minaccia (e non mancano né nella Bibbia né nel Corano pagine che lo rappresentano così), lo si deve pensare come una garanzia della libertà umana.
E' evidente che una simile libertà non è totale, assoluta, come la ipotizza (o la sogna) Sartre: è una libertà condizionata, relativa, come condizionata e relativa è la nostra esistenza nell'universo. Ma una libertà finita è pur sempre libertà: perché Sartre la definisce come non-libertà?
Indubbiamente, se Dio esiste, la libertà dell'essere umano consiste nell'attuare la propria essenza, nel realizzare la propria natura (e, in questo senso, nel tener conto di esigenze morali inscritte nella struttura antropologica, che tocca a noi scoprire e interpretare, non inventare arbitrariamente da zero). Ma questo riceversi come dono da una Fonte perenne (non solo più 'alta' di noi, ma anche e soprattutto più 'profonda') non è indice di servitù e prigionia: Dio – se c'è – , lungi dal limitare il raggio delle nostre iniziative più o meno libere, ne costituisce la Condizione di possibilità.
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1 commento:
Meraviglia che Sarte -ma sicuramente avrà affrontato la cosa in altre pagine della sua autobiografia- si attardi in questo aut aut Io /Dio, glissando sull’onnipervadente natura che ci precede e costituisce; per ottenere quella ipotetica libertà assoluta bisognerebbe azzerarla, compito impossibile perché azzerando la natura azzereremmo anche noi stessi. Libertà illimitata peraltro ipotetica e teorica, tutti noi sperimentiamo che, Dio o non Dio, di fatto si è intrinsecamente e irrinunciabilmente liberi, non nel poter fare quello che si vuole in massimo grado nella assoluta solitudine, ma nell’ abbracciare e nell’appartenere. Mi sembra invece che per quanto riguardi l’etica atea la posizione di Sarte regga, visto che nella struttura antropologica è anche inscritta volontà di potenza.
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