lunedì 27 giugno 2022

18 DONNE DI TUTTA ITALIA S'INTERROGANO SUL LORO RAPPORTO CON IL SISTEMA MAFIOSO

(Foto di Gaetano Ceraulo)

DONNE DENTRO E FUORI IL SISTEMA DI DOMINIO MAFIOSO

Una scrittrice (Gisella Modica) e una sociologa (Alessandra Dino) hanno chiesto a 16 donne di varie parti d'Italia un contributo sul loro rapporto con le tematiche delle mafie meridionali. Ne è risultato un testo – Che c'entriamo noi. Racconti di donne, mafie, contaminazioni (Mimesis, Milano – Udine 2022, pp. 270, euro 24,00) - intessuto di registri comunicativi non omogenei: infatti il linguaggio descrittivo scientifico si intreccia con il narrativo-biografico e questo, ancora, col linguaggio inventivo della creazione letteraria. Questa varietà di registri non è un difetto perché, anzi, rende la lettura ‘sorprendente’: completato un capitolo appartenente a un certo genere letterario, te ne trovi innanzi un successivo di genere letterario completamente diverso. 

Un limite, se mai, potrebbe individuarsi nella preponderanza di dati, esperienze vissute, rispetto a una griglia interpretativa complessiva del ruolo delle donne nel mondo delle mafie. Comunque, anche se fosse metà dell’opera, sarebbe già una metà preziosa: infatti, se esiste qualcosa come un sapere mafiologico, esso può progredire solo in quanto intreccio epistemico di categorie scientifiche e di vissuti esistenziali.

In questo ricco magma di testimonianze e di invenzioni poetiche mi limito a qualche spunto.

Un primo tema è costituito dalla relazione fra violenza mafiosa e violenza di genere. In qualche mia pubblicazione sula “gabbia del patriarcato” ho avanzato delle somiglianze che in più di un passaggio di questo testo vedo ribadite. 

  • Come il sistema mafioso è oppressivo anche quando non uccide (anzi, forse soprattutto quando non ha bisogno di ricorrere alla violenza esplicita, esercitata) così il sistema patriarcale-maschilista è oppressivo anche quando non uccide (anzi, l’intensificarsi dei femminicidi è la spia di una crescente resistenza femminile alla ‘normalità’ della subordinazione di genere). Ma l'opinione pubblica (pur essendone essa stessa vittima ordinaria e quotidiana) si accorge della mafia e della violenza strutturale ai danni delle donne solo quando vede il sangue. Da qui la necessità, nell’uno e nell’altro caso, di acquisire “una visione non emergenziale del fenomeno” (Sara Pollice, p. 145); di “costruire una visione delle cose che consenta alle ragazze” – nel caso della mafia: ai cittadini – “di liberarsi da gabbie che loro stesse considerano normali, anzi, necessarie” (Clelia Lombardo, p. 91);

  • come il sistema mafioso mortifica e avvilisce l’umanità non solo delle vittime ma anche dei carnefici, così “la mentalità patriarcale” impoverisce e rattrappisce la personalità degli stessi maschi che la riproducono passivamente . In entrambe le situazioni – per dirlo con Simone Weil citata da Maria Livia Alga a p. 164 – “la violenza pietrifica, diversamente, e ugualmente, le anime di quelli che la subiscono e di quelli che la usano”. La riprova: i maschi evoluti sono al di là tanto del sistema mafioso quanto del maschilismo, come Peppino Impastato che “nel corso della sua breve vita cercherà di emanciparsi, alimentando un nuovo modo di relazionarsi tra i generi” (Evelin Costa,p. 52)

  •  un altro aspetto della questione mafia-donne riguarda non più solo le analogie fra sistema mafioso e sistema maschilista, ma proprio la violenza esercitata contro le donne all’interno del sistema mafioso: il caso di Lia Pipitone, uccisa dai killer del padre mafioso nel 1983, raccontato anche da Clelia Lombardo nel suo contributo, è solo uno dei tanti evocati lungo tutto il volume (per esempio nei contributi di Sara Pollice Il filo che ci unisce, pp. 143 – 153, di Floriana Coppola, Storia di Anna, pp. 171 – 185, di Chiara Natoli, Trent’anni dopo. L’eredità di chi non c’era, pp. 215 - 217).

Un secondo tema è l’intreccio fra legami affettivi, familiari, e distanziamento cultuale, etico-politico, da soggetti decisamente mafiosi. Gisella Modica racconta il travaglio nei confronti della figura del nonno materno, per anni ammirato, poi 'scoperto' come boss. Sul piano dei vissuti esistenziali non è facile districarsi, ma concettualmente dovrebbe essere evidente la possibilità che un affetto familiare sincero co-esista con una presa di distanza pubblica, serena ma ferma, dall’universo dei propri cari. Non c’è contrasto fra i due atteggiamenti, anzi la forma più matura e costruttiva di amore potrebbe manifestarsi come invito a rinnegare un passato indecente: ti amo al punto da chiederti di liberarti, sino a che sei in tempo, dalla zavorra che sinora ti ha appesantito e infangato. E’ l’esperienza che racconta di sé un nipote di Matteo Messina Denaro grazie alle cui sollecitazioni il padre ha finito con l’abbandonare pubblicamente l’appartenenza alla cosca di Castelvetrano. 

Qui sfioriamo, e in un certo senso sforiamo su, un terzo tema che mi sta a cuore: la postura nonviolenta come co-essenziale, rispetto ai metodi giudiziari, per scardinare il sistema mafioso. Maria Di Carlo non solo ricorda lo stile di Giovanni Falcone (che è stato efficace proprio come inquirente grazie alla sua “capacità di trattare l’altro (anche un mafioso!) con rispetto umano, avendo cura di creare con lui un sentimento di empatia” (pp. 73 – 74), ma racconta anche la storia di Maria Luisa Javarone che, madre di una giovane vittima di violenza da parte di una gang, cerca (purtroppo invano) di solidarizzare con la madre di uno degli assassini del figliolo. 

PER COMPLETARE LA LETTURA, BASTA UN CLICK QUI:

https://www.zerozeronews.it/donne-dentro-e-fuori-il-sistema-di-dominio-mafioso/


1 commento:

Francesco Vitale ha detto...

Credo che il concetto di mafie oggi vada espanso, alla luce degli accadimenti degli ultimi 2-3 anni. Se più o meno tutti possiamo essere d'accordo con quel che dice Augusto CAVADI: "...se la mafia mantiene il “consenso”, il “rispetto”, la “devozione”, la “reverenza” della popolazione, essa sopravvivrà alle vittorie giudiziarie", ebbene non tutti lo siamo quando parla di "vittorie giudiziarie dello Stato liberal-democratico"- Mi sembra un'idea rimasta congelata da quarant'anni. Ormai siamo di fronte all'affemarsi conclamato di un totalitarismo multinazionale legale/illegale che utilizza la corruzione adoperando enormi capitali (quasi certamente in contanti e di provenienza illecita) per comprare governi, maggioranze partitiche e sindacali, vertici di ordini professionali, vertici giuridici e giudiziari, vertici dell'economia reale, ed anche vertici della criminalià organizzata, ecc. Non paga per avere omertà, consenso e copertura da chiunque, ma dai pochi che contano; paga affichè siano questi vertici a creare il "consenso coercitivo" della popolazione sul piano economico ("se non fai come ti dico ti tolgo i diritti fondamentali, stipendio compreso". Ora, chi era già "ricchissimo" negli 70-90, oggi dei soldi non sa più che farsene a livello personale, familiare, di gang e di lobby. La quantità astronomica di denaro illegale complessivamente accumulata solo negli ultimi 30 anni non è più spendibile singolarmente, ma invece è di per sè sufficiente a fare un salto di qualità: la scalata al potere assoluto! Questo si può ottenere creando il consenso coatto di massa, basato sulla diffusione mediatica delle paure e delle falsità, sul capillare controllo digitale, sulla concessione meritocratica dei diritti umani fondamentali. Le organizzazioni criminali sono un rotella di una macchina ormai enorme che già da anni ha travalicato i confini culturali delle regioni, dove ad esempio esse si chiamavano mafie o camorre. Ma al sistema super-totalitario fa ancora comodo che si chiamino così come, ad esempio, fa comodo che i mandanti delle stragi iconiche di "Falcone e Borsellino" siano i vari Riina, ecc. Purtroppo, oggi partecipare in qualunque modo alle commemorazioni fa solo il gioco dei furbi e degli ingenui che siedono accanto nello stesso banco della stessa cerimonia di commemorazione, del cosciente e dell'ignorante che coabitano nello stesso quartiere. O no? Perciò, se si vuole un avanzamento, occorre cominciare dal riesame autocritico del movimento antimafia, per conferirgli la necessaria innovazione.