***
A LEZIONE DI POLITICA. La Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”
in P. Toro (a cura di), La politica umanizzata. La “Primavera” di Palermo e il sogno di Una città per l’Uomo quarant’anni dopo, Torri del Vento Edizioni, Palermo 2022, pp. 201 - 209
Dopo quel maledetto 23 maggio 1992 - in cui sull’autostrada dall’aeroporto a Palermo, all’altezza dell’uscita per Capaci, esplosero le bombe criminali che uccisero Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta - gli alunni in classe mi chiesero che cosa potessimo fare per arginare questo fiume di terrore. Sul momento rimasi senza parole. Osservavo, riflesso nei loro occhi, il mio stesso smarrimento. Poche altre volte nella vita ho sperimentato l’angoscia per eventi pubblici, di rilevanza sociale. Intanto si rincorrevano nella mente le tante, troppe polemiche di quegli anni: preti che volevano insegnare il mestiere ai politici, politici che volevano insegnarlo ai magistrati, giornalisti che volevano insegnarlo a tutti gli altri…Quasi colpito da un’illuminazione – per altro assai banale – risposi ai miei ragazzi: “Possiamo fare meglio ciò che facciamo di solito”. Spiegai che Giovanni Falcone era diventato Giovanni Falcone facendo, al massimo delle possibilità umane, il magistrato inquirente. L’Italia si sarebbe salvata solo se ogni cittadino e ogni cittadina avessero esercitato le proprie competenze professionali al più alto livello possibile. Noi docenti per scelta di vita, loro alunni almeno per quella fase biografica, avevamo il compito di studiare: lo avremmo potuto svolgere con l’intenzione di trasformarlo in arma intellettuale contro il sistema mafioso[1]. La mafia era prosperata in più di un secolo anche grazie al silenzio su di essa: bisognava sottrarle questo vantaggio, stanarla dall’ombra con potenti riflettori luminosi, strapparle da addosso i paludamenti ingannevoli con cui si camuffava agli occhi degli ingenui e degli opportunisti. Uscire dal silenzio senza entrare nel mondo della chiacchiera[2].
Da alcuni anni avevo avviato, con colleghi ed ex-alunni di liceo, un Laboratorio di cultura politica pluralistico e itinerante : una domenica al mese ci incontravamo nella sede di un’associazione, ogni volta diversa, a Palermo o in altri Comuni della provincia, per discutere insieme sul libro che ci si era impegnati a leggere, individualmente, nelle settimane tra un appuntamento e l’altro[3]. Era giunto il momento di dare all’iniziativa, molto informale, una configurazione più istituzionale e di accentuarne la valenza contestativa del dominio mafioso. Da qui l’idea di trasformare il Laboratorio in una Scuola di formazione etico-politica stabile e permanente.
La scelta della sede e del nome
Tra i promotori del Laboratorio di cultura politica alcuni eravamo o soci o simpatizzanti del Movimento politico-culturale “Una città per l’uomo” che, nonostante l’emorragia di aderenti transitati (in alcuni casi per autentica convinzione, in altri per calcoli elettorali) alla “Rete” di Leoluca Orlando, continuava - grazie all’impegno tenace di Nino Alongi, di Pino Toro e di pochi altri fedelissimi - a gestire una sede accogliente (in via Galileo Galilei) e una rivista (“CxU”) ormai nota e apprezzata da abbonati sparsi anche fuori dalla Sicilia. Fu dunque spontaneo chiedere al Movimento ospitalità e riceverla con generosità e convinzione: l’intento formativo apparteneva, infatti, al DNA a “Una città per l’uomo” che l’aveva perseguito costantemente attraverso convegni di studio, conferenze, presentazioni di libri etc.
Come battezzare questa Scuola? La lista dei caduti nella lotta alla mafia – iniziata esattamente negli stessi anni dell’origine della mafia stessa[4] - era già tanto lunga da provocarci l’imbarazzo della scelta. In particolare, per limitarsi al sangue ancora tiepido che aveva bagnato le strade di Palermo dopo la strage di Capaci, si ventilò l’ipotesi di dedicare la nuova struttura a Paolo Borsellino, in quanto di area “cattolica” come la maggior parte degli aderenti a “Una città per l’uomo”, o alla venticinquenne agente di polizia Emanuela Loi, in quanto “donna”. Prevalse la proposta di dedicarla a Giovanni Falcone. Fu così che chiedemmo un appuntamento alla sorella del giudice, Maria, per avere l’autorizzazione ad intestare la Scuola al fratello: non volevamo strumentalizzare un nome già venerato esponendoci all’accusa di sciacallaggio. Maria Falcone, che conosceva direttamente solo Pino Toro, ci chiese informazioni sul nostro profilo professionale e sulle nostre appartenenze associative (con mio stupore non aveva mai sentito parlare né del Centro sociale San Francesco Saverio né del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato: “Era il nostro Giovanni che in famiglia si teneva informato su ciò che succedeva in città”); infine ci accordò l’autorizzazione richiesta. Manifestò anche il proposito di collaborare attivamente con noi anche nel ruolo di docente di diritto nelle scuole secondarie superiori, ma poi – forse impegnata nella laboriosa gestione della Fondazione intestata al fratello – non ebbe modo di dare attuazione al proponimento.
I primi anni di vita
Con la sponsorizzazione ‘morale’ di Maria Falcone (ci sarebbe stata, l’anno dopo, una sponsorizzazione finanziaria, da parte della neo-fondazione “G. Falcone”, per la stampa dei depliant cartacei, ma una tantum: “Nel mondo vi sono decine di iniziative nel nome di Giovanni, non possiamo certo supportarle tutte”[5]) l’inaugurazione del primo anno formativo, nell’ottobre del 1992, ebbe un carattere solenne: la Lectio magistralis fu tenuta da Luciano Violante in qualità di presidente della Commissione parlamentare antimafia[6] e, insieme ad alcuni familiari di Falcone, vi presero parte – con squisita delicatezza solidale – alcuni congiunti di Paolo Borsellino.
Dal numero delle persone accorse già per l’inaugurazione capimmo che i locali di “Una città per l’uomo”, per quanto in grado di accogliere una sessantina di convenuti, erano marcatamente insufficienti. Era un momento storico di straordinario coinvolgimento emotivo: anche persone non abituate a uscire da casa, a impegnarsi in momenti pubblici, avevano avvertito l’esigenza interiore di appigliarsi a qualsiasi punto di orientamento.
Ci affrettammo a chiedere aiuto a Nino Fasullo, un religioso ‘redentorista’ che aveva fondato e dirigeva la rivista “Segno”, anche essa decisamente schierata nel campo dell’antimafia e, per alcuni mesi, fummo ospitati nei locali che la sua Congregazione religiosa aveva ceduto in affitto all’Università di Palermo. Intanto la voce si diffondeva e da varie realtà istituzionali e associative, della città e dell’isola, ricevevamo l’invito ad aprire sezioni ‘locali’ della Scuola “Falcone” o, per lo meno, a organizzarvi dei cicli seminariali: impossibile fare un elenco completo delle sedi e dei luoghi (da parrocchie in quartieri periferici come Settecannoli[7], a città come Trapani e Augusta) dove tenemmo serie di incontri pubblici. Va almeno ricordata, però, l’istituzione della Targa “Falcone” assegnata annualmente, per vari anni, a persone che – preferibilmente lontano di riflettori – avessero contribuito efficacemente a incrinare la compattezza della sovranità mafiosa.
Di cosa trattavamo nei seminari che si svolgevano ogni giovedì, puntualmente, in blocchi di quattro per tema? Dalla mafia come soggetto politico (Umberto Santino) alle linee essenziali della teologia della liberazione (Rosario Giué e Giulio Girardi), dalla partitocrazia (Alfio Mastropaolo) alla questione meridionale (Nino Morreale). Per l’inaugurazione di ogni anno sociale, poi, veniva invitata qualche personalità di rilievo nazionale: un modo, sì, per acquistare visibilità in città, ma anche per tessere rapporti con soggetti e enti autorevoli da cui poter imparare metodi e contenuti. L’elenco sarebbe anche qua molto lungo: dal ministro Luigi Berlinguer al professor Alfio Mastropaolo, dal professor Giuseppe Alberigo al giornalista Curzio Maltese, all’imprenditore Tano Grasso, al vescovo Raffaele Nogaro, al procuratore della Repubblica Pietro Grasso.
Non mancarono sin dall’inizio varie pubblicazioni destinate a diffondere, al di là dei confini della Scuola, le idee portanti che al suo interno si andavano elaborando e condividendo: sia sulla pagina palermitana di “Repubblica” (dove Nino Alongi per molti anni ebbe ogni settimana ospitalità fissa) sia in appositi opuscoli e libri (tra cui, R. Giué, Terra di profezia. Vangeli e mafia nel sud d’Italia, Edizioni della battaglia, Palermo 1993; A. Cavadi, Il Vangelo e la lupara. Documenti e studi su chiese e mafie, Dehoniane, Bologna 1994 ; R. Giué, Il vangelo della carità in terra di mafia, Arci Sicilia, Palermo 1995; R. Giué, Osare la speranza. La teologia della liberazione dall’America Latina al Sud d’Italia, La Zisa, Palermo 1997; R. Giué – G. Battaglia – P. Fricano, Spiritualità e politica, La Zisa, Palermo 1999; N. Alongi, La politica delle tribù. Tre anni di cronaca siciliana, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002).
.
Intanto, dopo i primi anni di iniziative all’insegna del coinvolgimento emotivo, emerse in alcuni di noi promotori della Scuola l’esigenza di darle una configurazione giuridica. Sulla questione si registrarono delle nette, e vivaci, differenze di opinione. Per alcuni (in particolare Nino Alongi e Pino Toro) la prospettiva di ‘fondare’ una nuova associazione appariva inutilmente faticosa: non bastava considerare la Scuola come un organo interno al Movimento “Una città per l’uomo” che era già regolato da uno Statuto più che decennale ? Ad altri (in particolare Rosario Giué e me) risultava preminente l’esigenza di rispettare l’auto-presentazione originaria della Scuola come iniziativa a-partitica e, in quanto tale, gestita da volontari di diversa estrazione politico-culturale (da cattolici come don Francesco Michele Stabile a marxisti come Enrico Guarneri e Umberto Santino) al servizio della cittadinanza nell’intero spettro delle appartenenze partitiche, sindacali e associative. La maggioranza dei promotori si espresse a favore della seconda opzione, anche in considerazione del fatto che il Movimento “Una città per l’uomo” non era considerato nell’immaginario collettivo né a-confessionale (il suo DNA era caratterizzato dal cattolicesimo democratico) né a-partitico (ormai era stato cooptato in esperienze amministrative della “Primavera palermitana” da Leoluca Orlando, pur resistendo – eroicamente quanto vanamente – alla confluenza nella neonata “Rete” che avrebbe costituito una sorta di auto-dissolvimento). Così, con una punta di amarezza che non poteva scalfire il legame di stima reciproca costruita nei lunghi anni di collaborazione, le strade del Movimento “C x U” e dell’associazione di volontariato culturale “Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone” si sono divise, pur in un comune orizzonte ideale: l’attenzione critica alla storia e l’impegno quotidiano per liberare il paese dall’oppressione del dominio politico-affaristico-mafioso[8].
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
[1] Da quei dialoghi è scaturito un opuscolo pubblicato prima, grazie al finanziamento del professore Elio Rindone, in forma ‘privata’ (5.000 copie) e poi, in più ristampe, dalle Edizioni Dehoniane di Bologna: Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa può fare ciascuno di noi qui e subito.
[2] Cfr. G. Priulla, Informazione e mafia: dal silenzio al rumore in U. Santino (a cura di), L’antimafia difficile. Atti della giornata di bilancio e di riflessione svoltasi a Cinisi l’8 maggio 1988 nel decimo anniversario dell’assassinio di Giuseppe Impastato, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1989, pp. 69 -79.
[3] Cfr. la mia nota Un laboratorio di cultura politica itinerante su “Segno” (1988), pp. 98 – 99.
[4] Cfr. U. Santino, L’altra Sicilia. Caduti nella lotta contro la mafia e per la democrazia dai Fasci siciliani ai nostri giorni, Di Girolamo, Trapani 2010.
[5] Tranne quell’unica volta, i materiali illustrativi promozionali sono stati finanziati personalmente da Pino Toro.
[6] Nel numero 5/6 del dicembre 1992 della rivista “Una città per l’uomo” furono pubblicati gli interventi alla sessione inaugurale di A. Cavadi (La Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”. Origini e prospettive), di P. Toro (Per offrire nuovi strumenti di conoscenza e di lotta) e di L. Violante (Risvolti etici della crisi politica attuale).
[7] In accordo con parroci di zona come il carmelitano p. Pietro Leto e don Pino Pino Puglisi.
[8] In occasione del 25 ° anniversario della fondazione, ho pubblicato il piccolo volume La mafia desnuda. L’esperienza della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone”, Di Girolamo, Trapani 2017 , in cui si possono trovare testi e documenti atti ad integrare questo sintetico contributo.
2 commenti:
Grazie, Augusto. Allora come ora.
Grazie Augusto per la cronistoria della Scuola che tanto ha fatto per la città e che continua a fare!
Posta un commento