La scienza dev’essere libera. Anche la tecnica ?
Uno dei più giovani e più stretti collaboratori di Enrico Fermi, nel gruppo di via Panisperna,. fu Bruno Pontecorvo che, a 37 anni, nel 1950, decise improvvisamente di trapiantarsi con moglie e figli in Unione Sovietica: essendo diventato ideologicamente comunista, vuole mettere la sua preparazione scientifica in campo nucleare a servizio di una delle due superpotenze in “guerra fredda”. Nei decenni successivi egli rimase molto deluso dal socialismo ‘reale’ ed ebbe modo di esprimere seri dubbi sulla scelta giovanile, ma la sua vicenda personale è istruttiva perché ci fa vedere, in un caso concreto, l’intreccio inestricabile fra tre attività che – considerate astrattamente – sarebbero distinte: la scienza, la tecnica e la politica.
La scienza è un’attività “teoretica”: il tentativo, metodico e sociale, suscitato dalla “meraviglia”, di assecondare quel desiderio naturale di sapere che, secondo Aristotele, accomuna tutti gli esseri umani.Essa fiorisce solo in totale libertà.
La tecnica è l’insieme dei metodi e degli strumenti mediante i quali le acquisizioni scientifiche vengono ‘applicate’ alla trasformazione della natura : essa non è sovrana come la scienza, ma subordinata – di diritto e di fatto - alla politica . Pontecorvo lo sa bene: lascia l’Occidente capitalistico e si trasferisce in URSS perché ha più fiducia in una politica social-comunista che in una politica liberal-democratica.
Il potere politico, cui spetta il diritto di regolamentare la tecnica, si auto-interpreta solitamente come assoluto: ma è davvero così? O esso – più o meno consapevolmente - dipende da una certa visione filosofica dell’uomo, della società, dello Stato, della morale, della religione etc.? La questione è cruciale. Se la politica è l’orizzonte ultimo dell’umanità, ad essa spetta stabilire i fini e i limiti della produzione tecnica (per restare nell’esempio di Pontecorvo, gli scopi cui indirizzare le applicazioni delle teorie sui nuclei atomici) senza dover rendere conto a nessuna istanza più alta. Se invece essa, a sua volta, necessita di criteri etici, non può fare a meno di memoria storica, di confronto pubblico, di fantasia progettuale: in una parola, di saggezza.
Come si potrebbe attuare in concreto questa illuminazione filosofica della prassi politica?
E’ celebre la ricetta di Platone: o i politici si decidano a diventare filosofi o i filosofi accettino di rinunziare alla proprie quiete contemplativa per diventare politici. Se adottata letteralmente, sarebbe - a mio avviso - una ricetta disastrosa: abbiamo visto, anche in occasione della recente pandemia e della guerra in corso fra Russia e Ucraina, che da filosofi prestigiosi provengono allarmi opportuni e inviti preziosi, ma intrecciati a teorie cervellotiche e proposte operative contrarie al buon senso più elementare. La ricetta platonica va, a mio avviso, interpretata come una metafora che – decodificata e attualizzata– potrebbe tradursi grosso modo come invito a una democratizzazione della pratica filosofica. Sappiamo che in Italia la filosofia è sperimentata prevalentemente come studio della “storia della filosofia” riservato alle minoranze di cittadini che frequentano corsi liceali. Nulla da eccepire: la storia della filosofia è una disciplina interessante ed è comprensibile che, comunque, non possa essere insegnata in tutti gli indirizzi scolastici.
3 commenti:
Molto bella questa analisi e questa riflessione. Che chiama in causa, secondo me, prima di tutto la libertà di pensiero. Quella libertà di fondo basata sul credere alla propria ragione, senza verità a priori, o peggio "superiori".
Mi permetto di citare la mia piccola esperienza in proposito, di un fatto accadutomi ormai settant'anni fa, quando ne avevo cinque, di anni.
Un apparentemente insignificante fatto, ma che ha contribuito in modo fondamentale alla mia formazione!
All'asilo (la scuola materna allora si chiamava così) sono andato tardi, solo l'ultimo anno, e quindi mi trovavo un po' spaesato, non capivo bene le regole, specie quelle "non dichiarate". In un momento di pausa, mi trovavo assieme ad un mio compagno in una zona un po' defilata, ricordo vividamente la scena, le piastrelline rosse per terra, una piccola ringhiera, i riccioli del mio compagno. Una giovane e carina suoretta, le altre erano tutte vecchie e dall'aspetto arcigno, venne lì da noi e accusò, molto dolcemente peraltro, il mio compagno di aver fatto una cosa. Che io sapevo non poteva aver fatto, perché eravamo insieme. Lui negò, tranquillamente. Allora la suora si chinò alla nostra altezza, e soavemente ma gravemente, guardandolo negli occhi gli disse:" Tu stai dicendo una bugia, lo vedo dagli occhietti che stai dicendo una bugia!" A me allora, sapendo che aveva detto la verità, cadde come un velo dagli occhi, e mi dissi:"ma allora...non è vero nien te!!" Queste affermazioni "magiche" degli adulti non avevano fondamento, o almeno andavano di volta in volta verificate e io mi potevo fidare di ciò che personalmente vedevo e pensavo! E mi sentii improvvisamente liberato! Una libertà di pensiero che dura ancora. Chissà se quella suora ha mai capito quanto ha contribuito alla mia formazione, e quanto le sono grato per questo! Mauro Avi
https://www.youtube.com/watch?v=ZsJvQWyyOxw
D'accordo! La scienza e la tecnica, asservite spesso alla politica, hanno prodotto guasti, se non orrori.
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