venerdì 4 marzo 2022

IN DIALOGO CON IL DOTT. MILITO, LETTORE ATTENTO E ACUTO


 IN DIALOGO CON UN LETTORE ATTENTO

Come è noto, in Italia si preferisce scrivere che leggere. Per questo è un privilegio ricevere ogni tanto un riscontro a ciò che si pubblica, specie se si tratta di osservazioni sincere e ponderate. E’ quanto mi è capitato dopo la pubblicazione del mio contributo Consapevolezza: frutto di coraggio più che d’intelligenza (apparso alle pp. 11 – 14 del  n. 52 della rivista "Le nuove frontiere della scuola": https://www.augustocavadi.com/2020/07/essere-consapevoli-frutto-di-coraggio.html). 

A farmi dono di alcune “riflessioni” è Salvatore Milito, un lettore evidentemente non solo attento ma anche acuto. Poiché si tratta di molte pagine proverò, per rispetto dell’interlocutore, ad alternare alle sue righe qualche considerazione dialogica da parte mia.

 

Autonomia del fedele                             

«Lei racconta che un Suo amico prete suggeriva al confessante di valutare la condizione economica familiare al fine di decidere se avere o meno un altro figlio e quindi se procedere all’accoppiamento o astenersene. In buona sostanza, per usare una terminologia avvocatesca, il confessante era invitato a non attenersi sic et simpliciter alle prescrizioni della Chiesa ma di valutare, in autonomia, il da farsi.  Indubbiamente il Suo amico, pur avendo studiato Teologia e letto le Sacre Scritture, non aveva capito che Dio non ammette che il fedele  ”pensi” con la propria testa, ma che obbediscaperinde ac cadaver. Prova ne sia Abramo (Es 22, 1-12) che nemmeno per un istante si domanda se sia cosa buona e giusta scannare Isacco,  ma si abbandona alla divina richiesta. Ed è proprio per questo abbandono che Abramo, infanticida in pectore,  diventa il Padre dei fedeli delle tre religioni monoteistiche, e Dio lo colma di ogni bene (Es 22, 13-18). Né la situazione muta con il Nuovo Testamento, per il quale il fedele è obbligato non solo ad obbedire ma anche a credere, pena le pene eterne, giusta la chiara affermazione  di Dio Cristo che  “Nessuno può venire al Padre mio se non per me” ». 

 

In effetti, egregio dottore, nel cristianesimo è possibile riconoscere due correnti principali. La prima – mi pare oggi maggioritaria – svaluta la ragione rispetto alla fede ed è da Lei affrescata con efficaci pennellate: Tertulliano o Kierkegaard potrebbero essere evocati come esponenti illustri. Una seconda corrente, però, ha ritenuto preliminare e irrinunciabile il ruolo della ratio rispetto alla fides (vedi i preambula di san Tommaso d’Aquino) e, con Pascal, ha sostenuto che solo la ragione può prescrivere al credente quando sia il caso di andare oltre la ragione. Purtroppo né Tommaso d’Aquino né Pascal, forse condizionati dall’arretratezza degli studi biblici, sono stati fedeli in tutto alla propria impostazione metodologica; ma ciò non toglie validità alla stessa. 

 

Responsabilità morale e pensiero critico 

«Lei nota giustamente che l’abdicazione  alla responsabilità morale di pensare criticamente “non è un’esclusiva delle fasce sociali meno istruite.” Premesso che nella vita tutto s’impara e che l’apprendimento presuppone l’insegnamento, formale o meno, mi sorprenderebbe e non poco se quelli della mia generazione, e quindi della generazione del confessante, fossero capaci di pensare  in maniera critica, anche se avessero frequentato il liceo classico gentiliano, d’infausta memoria. Perché, dalla famiglia alla Chiesa e  alla scuola (di ogni ordine e grado), l’invito, il pressante invito che ricevevamo era a non pensare con la nostra testaa non ragionare, ma a ripetere pensieri altrui, sensati o meno.   Così, durante l’ora di Storia della Filosofia, ammaestrati da Platone, ripetevamo che la Repubblica avrebbe dovuto espellere i poeti, ma nessun professore ci domandò cosa ne pensassimo. Dalla discussione sarebbe emerso  il ruolo dei poeti, il significato della loro poesia per l’educazione dei giovani,  cosa realmente Platone intendesse per uno Stato ben ordinato, e se lo Stato di Platone fosse democratico, o fascista come sostiene Russell.  E avremmo imparato a ragionareAbbiamo studiato latino per otto anni e, virtus, lo traducevamo “virtù”, anche quando non si trattava di un passo di S.Agostino ma del De bello gallico. Per cinque anni abbiamo studiato il greco (la declinazione di alcuni termini la ricordo tuttora), ma kalòs kai agatòs lo traducevamo “bello e buono”. Nessuno ci fece riflettere sulla etimologia e quindi sulla trasformazione del significato di una parola, in relazione al cambiamento del contesto socioculturale. Sapevamo che la Grecia  aveva creato delle colonie ma nessuno ci spiegò la differenza fra le colonie create dall’imperialismo occidentale e quelle della Magna Grecia. Sapevamo tutto dell’impero romano, ma nulla della “guerra fredda”. Eravamo informati in dettaglio della battaglia di Canne, evento inessenziale per capire la situazione italiana del secondo dopoguerra. E’ proprio vero l’adagio latino Non vitae sed scholae discimurSe dall’istituzione scolastica passo a quella religiosa – che ai miei tempi esercitava un ruolo importante nel campo dell’educazione – la situazione resta grigia, eufemisticamente parlando. Dai 14 ai 18 anni ho frequentato a Palermo la Chiesa di S. Annuzza, in via Pignatelli d’Aragona, di cui rettore era tale Monsignore Graziano, un ottantino come direbbe Camilleri, ovviamente “all’antica”. Un giorno – avevo 16 anni – dissi a Monsignore Graziano che trovavo assurdo considerare deicidi gli ebrei. La risposta, la ricordo tuttora: “Figlio mio, ma perché pensi queste cose? Vuoi saperne di più di Santa Madre Chiesa millenaria maestra di vita?” Un giorno – avevo sempre 16 anni – gli dissi che dal Libro di Giosuè non ne veniva fuori un Dio buono e misericordioso.  Monsignore Graziano, preoccupato della mia salute eterna, mi disse che facevo male a leggere il Vangelo senza l’aiuto di una guida, e che si trattava di cose profonde, che un ragazzo,  da solo,  non poteva capire. E poi mi ricordò la parabola del Figliuol prodigo, una parabola a lieto fine (eccezion fatta, s’intende,  per il vitello grasso), che si può così sintetizzare: chi pensa con la propria testa anziché affidarsi a chi ne sa di più (idest, all’autorità) finisce male. E adesso, a mio disdoro, una confessione: a 19 anni volevo leggere Dei delitti e delle pene, ma, quando seppi che l’opera del Beccaria era “all’indice”, vi rinunciai.   La situazione è mutata? Direi proprio di no, se – ammesso che la storia si possa fare con gli aneddoti –, ancora negli anni novanta del secolo scorso, dei laureati in Giurisprudenza – che partecipavano ad un corso di alta formazione da me coordinato –, non riuscirono a fare un riassunto decente di un breve racconto di Cechov:  molte delle osservazioni del racconto, poco significative o addirittura insignificanti, venivano citate a preferenza di osservazioni portanti e quindi essenziali per capire il senso del racconto, segno, questo, che non erano in grado di capire la “portata” delle varie osservazioni.     Passando dall’alta formazione a quella di base, ricordo che la maestra della quinta elementare frequentata da mio nipote raccontò – ma non spiegò –  l’apologo di Menenio Agrippa. E, ovviamente, mio nipote e l’intera classe  si convinsero che i plebei erano tenuti a sfacchinare e facevano male a lamentarsi. In conclusione, a mio avviso, nel Bel Paese anche quelli acculturati sarebbero stati (o sarebbero?)  in grado di pensare in maniera critica solo e soltanto se il pensiero critico fosse innato». 


Gentilissimo, non saprei né aggiungere né togliere una virgola alla sua narrazione. Posso solo confessare di essere stato un po’ meno sfortunato di Lei perché, nella massa di insegnanti e di preti ottusi, ho avuto la fortuna (o la grazia ?) di incontrare alcuni insegnanti (come Vito Muciaccia o Giuseppe Bellafiore) e alcuni preti (come don Emanuele Parrino o don Cosimo Scordato) che mi hanno proposto un approccio critico alla vita. Certo, anche in questo caso, poi ognuno di noi ha esercitato a suo modo questo approccio, pervenendo ad esiti diversificati: ma in nome della stessa epistemologia. 


La fronda di cardinali, vescovi – insomma, di ecclesiastici – nei confronti di Papa Francesco

«Si tratta, secondo le Sue parole,  della fronda “contro un Papa mite, annunciatore del Vangelo di un Cristo che non ha mai preteso di dominare il mondo dall’abside di una cattedrale bizantina, ma di suggerire sommessamente al mondo – impazzito per avidità – di scoprire nella misericordia il segreto della convivenza e dell’allegria”. Concordo – e come si potrebbe non concordare! – sulla mitezza di Papa Francesco. Non concordo – e come si potrebbe concordare! – sulla mitezza di Dio Figlio fattosi uomo, che, come risulta dal Vangelo che Papa Francesco pretende di annunciare, non è mite né sommesso suggeritore di scoperte misericordiose.    Infatti non è mitezza comminare pene eterne a peccatori temporanei, e addirittura ai non credenti anche se non peccatori; compiacersi del Diluvio universale, in occasione  del quale il Dio dell’Antico Testamento – che coincide con quello del Nuovo – fece morire Giusti e Innocenti. Infatti non è mite chi, leggendo a dodici anni il Libro di Giosuè e  le piaghe d’Egitto , non inorridisce per le nefandezze, tanto atroci quanto gratuite, commesse dal Dio dell’Antico Testamento, che, ci piace ripeterlo, è lo stesso del Nuovo; chi, comportandosi da invasato, grida “Guai a Voi che ridete perché piangerete” a coloro che hanno la gravissima colpa di non soffrire; chi esalta  Mosè, che promuove l’eccidio degli idolatri, a causa del quale fra il popolo perirono circa tremila uomini; chi non si vergogna del Padre, il Signore Dio d’Israele che, da una parte, stabilì che ciascuno dei figli di Levi si mettesse la spada al fianco, andasse in giro per il campo e uccidesse il figlio, il fratello, l’amico, il parente e, dall’altra,  donò la benedizione a chi aveva ucciso il figlio, il fratello, l’amico, il parente; chi non capisce che il Dio dell’Antico Testamento – che, ripetiamo ancora una volta coincide con quello del Nuovo – è ingiusto al punto da far morire 70.000 = ebrei    per punire Davide di avere effettuato il censimento che lui stesso gli aveva ordinato: chi, parabola dopo parabola, ripete ossessivamente che gli uomini sono peccatori (tant’è che li chiama lupi) e che Dio li punirà in maniera divinamente atroce; chi condanna alla Geenna gli uomini, violenti anche solo a parole, ma è così violento da commettere un’azione violenta che più violenta non si può, quale lo sterminio dell’umanità; chi condanna alle pene eterne anche per un solo peccato non condonato al momento della morte; chi affida ai lupi che credono in Lui i destini dell’umanità, in una parola di dare la vita eterna o di comminare le pene eterne; chi, obbligando gli uomini a credere in Lui, li priva del libero arbitrio e quindi li riduce a bestie; chi, i peccati, li moltiplica all’ennesima potenza e quindi impedisce agli uomini l’accesso al Paradiso. E mi fermo qui, non perché manchino argomenti che  dimostrano l’amitezza di Dio Figlio fattosi  uomo, ma perché tali argomenti li ho trattati in altre mie elucubrazioni sulle Sacre Scritture. Egregio prof. Cavadi, non so Lei, ma io non ho mai visto un pastore suggerire sommessamente alle pecore la strada da seguire. Invece, ho sempre visto i pastori tirare le pietre alle pecore che avevano sbagliato strada o lanciare i cani all’inseguimento delle pecore che avevano abbandonato la “retta via”, cioè la via non suggerita ma imposta dallo stesso pastore. Infatti, si sa che il libero arbitrio delle pecore non si estende alla scelta della via da percorrere, ma consiste e si esaurisce nella scelta della  chiave della belata: in do, in sol, in fadiesis, o in sibemolle. Chi dà un suggerimento, sommesso o meno, non punisce coloro che, il suggerimento, non l’accolgono. Ma, se si tratta di ordine, il discorso è ben diverso. E il Dio, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento,  non dà mai suggerimenti ma solo ordini.   Infatti, nell’Eden, il Creatore “non suggerisce” ai nostri progenitori di non mangiare il frutto di un determinato albero, ma “ordina” – ripeto e sottolineo “ordina” – di non mangiare la mela. E punisce severamente – ché gli eufemismi sono la mia passione – i  disubbidienti. Infatti, nel Vangelo, Dio Figlio fattosi uomo non suggerisce sommessamente di credergli, ma ordina – ripeto e sottolineo “ordina” – di credergli. E quindi, alla faccia della mitezza, punisce, condannando alle pene eterne chi non crede in lui, anche se non ha peccato. (Non oso pensare cosa Dio Figlio avrebbe fatto ai non credenti se non fosse stato mite). E adesso una domanda: com’è possibile che Lei ed io, che abbiamo letto gli stessi testi, li interpretiamo in maniera diversa, anzi divergente?  La risposta è semplice: Lei  legge con gli occhi della Fede, ed io, invece, con gli occhi della Ragione. La Fede, a differenza della Ragione,  non consente di distinguere l’Uomo Cristo in croce – che merita il nostro amore, e il cui sacrificio mi commuove sino alle lacrime –, dal Dio Cristo dei Vangeli, ingiusto al punto da mandare alle pene eterne chi non crede in lui, anche se non peccatore. A proposito della fronda degli ecclesiastici nei confronti di Papa Francesco, dico subito che la fronda se la merita. Perché chi si presenta come Papa, cioè come Vicario di  Dio Cristo, non può mica pensare e dire cose che il divino Titolare mai  si sognò di pensare e dire, che mai i suoi predecessori più recenti hanno detto e che mai i suoi predecessori meno recenti avrebbero detto,  pena le fiamme del rogo. I motivi della fronda sono tanti: per rendersene conto basta leggere l’Esortazione apostolica Amoris Laetitia, il cui linguaggio è quello del buon padre di famiglia che per riportare sulla retta via i figli scavezzacollo non ricorre più alle minacce – ché i figli, delle sue minacce, se ne sbattono per dirla alla buona – ma al ragionamento. Infatti Papa Francesco – rectius,  Papà Francesco – dopo avere riconosciuto che “non ha senso fermarsi ad una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa” e che “neppure serve di pretendere d’imporre norme con la forza dell’autorità” (prova ne sia – aggiungo io – che mai la Chiesa ha imposto norme con la forza dell’autorità), si dice convinto che ai presuli della Chiesa cattolica  “è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere  alla grazia che Dio offre loro.” Aggiunge: “dobbiamo essere  umili e realisti, per riconoscere  che a volte  il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare  ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica.” Insomma, se i figli non si sposano in chiesa è anche colpa della Chiesa. Papa Francesco continua osservando che “a rischio di banalizzare potremmo dire che viviamo in una cultura che spinge i giovani a non formare una famiglia, perché mancano loro possibilità per il futuro”; che “in diversi paesi la legislazione facilita lo sviluppo di una molteplicità di alternative, così che un matrimonio connotato da esclusività, indissolubilità e apertura alla vita  finisce per apparire  una proposta antiquata fra molte altre”, e che ”la mancanza di un’abitazione dignitosa o adeguata porta spesso a rimandare la formalizzazione di una relazione.” Insomma, se i figli non si sposano in chiesa è anche colpa della legislazione di alcuni paesi e delle condizioni di vita. Ma i figli, anche se non si sposano in chiesa, tuttavia creano delle famiglie, ricorrendo all’unione civile o alla convivenza. “La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza – spiega Papa Francesco – molto spesso non è motivata  da pregiudizio o resistenza nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti.” Ecco spiegato, o meglio giustificato, perché tante persone vivono come pubblici concubini e quindi in peccato mortale.Papa  Francesco c’informa che i Padri sinodali hanno affermato che, “nonostante la Chiesa ritenga che ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti figli”, fragilità che può comportare la rottura del vincolo. Precisa quindi che “la strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù, della misericordia e dell’integrazione. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo”. Leggo: “E io dico a te che sei Pietro e che su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Inferno non prevarranno contro di lei. E a Te darò le chiavi del regno dei cieli, e qualunque cosa  avrai legato sulla terra sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolto sulla terra sarà sciolta anche nei cieli (Mt 16, 18-19). Rileggo quindi le ultime due frasi dell’Amoris Laetitia sopra specificate e, considerato che, a differenza del reato, il peccato non va in prescrizione, ne traggo la conclusione che Papa Francesco dispone di un Vangelo personale,  che, per ovvi motivi di privacy, non divulga.    A proposito dell’omosessualità, Papa Francesco c’informa che con i Padri sinodali ha preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenze omosessuali, “esperienza non facile né per i genitori né per i figli.” “Perciò – continua Papa Francesco – desideriamo innanzi tutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale,  va rispettata nella sua dignità, e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio d’ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza.” Leggo nel Levitico (20,13) che “se un uomo giace con un altro uomo come si fa con una donna, tutti e due hanno commesso una cosa abominevole: siano messi a morte: il loro sangue ricada su di loro.”  Leggo in Matteo ( 4,17):   “Non   crediate   che   io   sia   venuto   ad abolire   la   Legge o   i   Profeti.   Non   sono   venuto   ad   abolire   ma a completare. In verità vi dico che fino a quando il cielo e la terra non passeranno non scomparirà dalla Legge  neppure uno iota o un apice”. Egregio prof.Cavadi, lette le argomentazioni di Papa Francesco sull’omosessualità, ho capito che il Santo Padre è stato colpito da una rara malattia, che va sotto il nome  scientifico di “Memoria labans selectiva”. Infatti chi ne soffre non è smemorato del tutto, ma non ricorda solo alcune cose. Nel caso di Papa Francesco, è evidente che il   Papa, i titoli papali – che sono otto compreso quello di Servus Servorum, che è messo lì come specchietto per le allodole – li ricorda tutti, tranne uno: quello di Vicario di Gesù Cristo. Quindi, non ricordando di essere vicario, non si attiene  alle regole fissate da  Dio Gesù, cioè dal Titolare. Ne è prova il fatto che Papa Francesco non condanna gli omosessuali, anche se Dio Gesù non ha abolito il peccato di omosessualità, che comporta la morte secondo quanto stabilito dal Dio dell’Antico Testamento e sopra riportato. Per correttezza, aggiungo che oggi la Chiesa non dà più la morte agli omosessuali,  non perché non voglia fare la volontà di Dio, ma perché il diabolico laicismo imperante le impedisce di squartarli o di impiccarli o di decapitarli o di rogarli. E che, se potesse, li squarterebbe o li impiccherebbe o li decapiterebbe o li rogherebbe, ne è prova la  bocciatura, da parte di Benedetto XVI, della richiesta di declaratoria di depenalizzazione universale del reato di omosessualità,  avanzata  nel 2008 dall’Unione Europea all’ONU. Benedetto XVI – lui, sì, Vicario di Dio Cristo – ha temuto che il reato di omosessualità scomparisse dai codici penali dei 91 Paesi in cui è ancora presente e, soprattutto, che scomparisse la pena di morte per il reato di omosessualità da quei Paesi, purtroppo appena 9, nei quali è ormai confinata. Aggiungo che, tranne Papa Francesco, tutti i Papi – compresi i moltissimi indecenti e i pochissimi decenti – si sono comportati da Vicari di Dio Cristo e quindi hanno fatto la sua volontà. Fra i tanti Vicari ci piace ricordare Pio XII, anzi San Pio XII – ché, com’è noto, il Santo Padre Pio XII, su pressante richiesta degli Ebrei, è stato elevato agli onori dell’altare. (Ritengo però che sia una leggenda metropolitana che migliaia e migliaia di Ebrei avevano - o avessero? -  minacciato lo sciopero della fame qualora Pio XII non fosse stato santificato). Ebbene Pio XII, pardon, San Pio XII – il cui vicariato risplende e risplenderà nei secoli al pari dell’astronomico Buco nero –, considerato  che Dio Cristo, nella sua infinita misericordia, aveva minacciato la fine del mondo e quindi lo sterminio di 1.750.000.000= di esseri umani, Giusti e Innocenti compresi, per punire 250.000.000= di russi, Giusti e Innocenti compresi, passati al comunismo (rectius: che stavano per passare al comunismo), il 30 giugno del 1949 firmò il decreto con il quale comminò la scomunica a quanti “professano la dottrina comunista materialista ed anticristiana e soprattutto a coloro che la propagano in quanto apostati della fede cattolica” (Acta Apostolicae Sedis 1949, pag. 334). Nelle parrocchie d’Italia il decreto papale venne reso noto  attraverso la stampa e l’affissione di manifesti, che chiarirono che “fa peccato grave e non può essere assolto chi scrive, legge e diffonde la stampa comunista, chi è iscritto al Partito Comunista, chi ne fa propaganda, chi vota per il Partito Comunista, chi rimane nelle organizzazioni comuniste: Camera del Lavoro, CGIL…. Al divieto di leggere la stampa comunista, pena le pene eterne,  si collega un episodio avvenuto tanti anni fa e che non ho dimenticato. Negli anni ’50, d’estate, frequentavo la spiaggia di Mondello. Nella nostra capanna c’era una signora pia, molto pia, cioè terrorizzata, molto terrorizzata dalle minacce del Vicario di Cristo per chi leggesse la stampa comunista. Un pomeriggio la vedo, con la testa voltata all’indietro, spostare con  la scopa un foglio di giornale fino a portarlo, sempre con la testa voltata all’indietro, dietro la capanna. Incuriosito, vado dietro la capanna e trovo un foglio de L’Unità. Capisco allora che la signora, nello spostare il foglio  stava con la testa voltata all’indietro perché temeva di leggere qualche parola e finire così all’Inferno, dove c’è pianto e stridore di denti. Sul momento, il comportamento della signora lo trovai ridicolo; adesso, re melius perpensa,  lo trovo corretto, anzi necessario. Infatti, perché il Dio misericordioso delle piaghe d’Egitto, del Diluvio universale, dei massacri del Libro di Giosué, e – dulcis in fundo  – delle pene eterne non avrebbe dovuto punire chi avesse letto anche solo qualche parola della stampa comunista? Torno alla lettura dell’Amoris Laetitia: “I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse che non devono essere catalogate o rinchiuse  in affermazioni troppo rigide, senza lasciare spazio ad un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in una nuova colpa…..La Chiesa possiede una solida riflessione  circa i condizionamenti e le circostanze attenuantiPer questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione   c.d. irregolare vivano in istato di peccato mortale , privi della grazia santificante”. Letta l’ultima frase, ho capito perché tanti cattolici di una certa età, cioè della mia età, alla lettura di Amoris Laetitia erano finiti all’ospedale per la rottura del femore: erano sobbalzati sulla sedia o meglio erano saltati dalla sedia ed erano caduti  a terra. Rovinosamente. Perché i cattolici della mia età hanno ben presente il diktat della Chiesa nei confronti dell’agonizzante che, in situazione irregolare, chiedeva i sacramenti: l’agonizzante doveva  pentirsi della convivenza non santificata dal sacro vincolo del matrimonio e impegnarsi a non rivedere più il compagno o la compagna, insomma a soffrire per il resto della sua vita se all’agonia non fosse seguita la morte. D’altra parte, se, come c’insegna Dio Figlio, la vita vera è quella dell’aldilà, questa vita è finta, e per conseguenza lo sono anche le sofferenze.  Quindi, dato che non sono vere, ritengo che non sia il caso di preoccuparsi delle sofferenze. Letta poi  la penultima frase del brano dell’Amoris Laetitia sopra riportato, nel mio cervello si è verificato un ingorgo di domande: Da quale data la Chiesa possiede la solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti relative alle situazioni un tempo irregolari e oggi così dette irregolari? La responsabilità della condanna alle pene  eterne di coloro che sono  morti in peccato mortale ricade sulla Chiesa che non aveva fatto una solida riflessione sui condizionamenti e sulle circostanze attenuanti di situazioni irregolari? La Chiesa, ad imitazione di San Giovanni Paolo II, deve chiedere perdono per i fratelli che non si sono curati di acquisire  una solida riflessione sui condizionamenti e sulle circostanze attenuanti relative a situazioni irregolari? Considerato che sono occorsi duemila anni perché un Vicario di Dio Cristo, affetto da Memoria labans selectiva,  capisse che era ingiusto e quindi immorale condannare gli uomini senza tenere conto dei condizionamenti e delle circostanze attenuanti, quante migliaia di anni ancora occorreranno perché un Vicario di Dio Cristo, affetto o meno da Memoria labans selectiva,  capisca che è ingiusto e immorale condannare gli uomini a pene eterne per peccati temporanei? Continuando nella lettura dell’Amoris Laetitia, apprendo che “una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio, che non viene negata a nessuno”, e mi confermo nella convinzione che Papa Francesco sia, anzi è,  affetto da Memoria labans selectiva, perché è saputo e risaputo che la misericordia non è un diritto degli uomini, ma un dono della Provvidenza, che lo concede secondo la sua imperscrutabile volontà. Leggo nell’Amoris Laetitia: “Un gran numero di Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili e agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. La lentezza dei processi crea disagio e stanca le persone.” Le riflessioni dei Padri sinodali sulla necessità di rendere più agili e, se possibile, addirittura gratuite le procedure dei tribunali ecclesiastici sono la prova lampante che, quando i Padri sinodali e Papa Francesco scendono dal nebuloso mondo della metafisica e mettono i piedi a terra, sanno trovare il modo efficace per sconfiggere la concorrenza, la tremenda concorrenza dei tribunali profani.   Prima di concludere desidero precisare che apprezzo Papa Francesco perché non si comporta da Vicario di Dio Cristo e che non apprezzo il 99,99% dei Papi perché si sono comportati da Vicari di Dio Cristo. Ma a Papa Francesco, che merita il nostro affetto perché, da una parte,  cerca di rendere umana una  Chiesa che per secoli si è comportata come il suo Fondatore, e, dall’altra,  si sforza di vagliare gli errori umani anziché, alla stregua del divino Titolare e dei suoi predecessori,  condannare a come viene viene, debbo dire che l’Esortazione apostolica Amoris Laetitia nasce sulla base di un  presupposto inesistente: che davanti le porte chiuse della Chiesa ci sia una fila interminabile di penitenti che, a piedi nudi nella neve, con il capo coperto di cenere e un saio di rozza tela, salmodiando e piangendo, chiedono perdono. No, mi dispiace dirGlielo: davanti le porte chiuse della Chiesa non c’è nessuna fila di penitenti ma solo qualche credente  che gradirebbe entrare. Se gli aprono. E che, se non gli aprono, continuerà a vivere serenamente nella sua situazione, un tempo detta e oggi così detta irregolare».


Qui, carissimo dottor Milito, rischio di essere sommerso dalla valanga delle sue obiezioni e, dunque, mi perdonerà se provo a rintracciarvi un filo conduttore unitario. Mi pare di capire che, a suo avviso, il Dio del Primo Testamento è il medesimo del Secondo: dunque un Dio severo, a tratti crudele, che impone una Legge estrinseca e indiscutibile. Per cui ci sono stati e ci saranno papi fedeli alla Rivelazione e alla Tradizione che imporranno alcune norme in maniera non negoziabile e altri, come papa Francesco, che – contravvenendo al proprio ruolo di vicari di Cristo – provano a correggere e innovare, attirandosi le meritate rampogne di cardinali, vescovi, preti e fedeli più ligi al magistero perenne della Chiesa. Ebbene, che dirle? Che Lei ha perfettamente ragione nell’analisi che rappresenta; che la teologia cristiana (in particolare, ma non esclusivamente, la cattolica) è ormai insostenibile; che il tentativo di papa Francesco di valorizzare le pepite d’oro scartando il più ingombrante fango è destinato – se si resta dentro il sistema dottrinario e istituzionale attuale -  al fallimento. Se io non la pensassi come Lei, sarei ancora cattolico come lo sono stato grosso modo sino ai 33 anni. Ma ho incontrato e ascoltato con le mie orecchie personaggi straordinari come il cardinal Carlo Maria Martini,  Ortensio da Spinetoli, Giovanni Franzoni, Leonardo Bof, Raimundo Panikkar, Eugen Drewermann, Hans Kung, Giuseppe Barbaglio; sono tuttora in dialogo con personalità contro-corrente come Carlo Molari, Alberto Maggi, Franco Barbero, Vito Mancuso,  Luigi Lombardi Vallauri, Arnaldo Nesti; cerco di dare una mano per far conoscere anche in Italia autori come John Shelby Spong, Roger Lenaers, Lloyd Geering…Ebbene, grazie a loro e a tanti altri pensatori indipendenti come loro, sono arrivato alla conclusione  che una persona onesta e istruita non può dirsi cristiana (né ancor meno cattolica) nel senso ‘canonico’ del termine. Le ragioni di questo esodo dal cattolicesimo ortodosso al mio ‘gesuanesimo’ attuale (se proprio ci si deve inchiodare a qualche definizione) le ho esposte molti anni fa nel volume In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani (Falzea, Reggio Calabria 2008) e – come capirà senz’altro – mi è impossibile riprenderle sia pur sinteticamente in questa sede.Ai fini del nostro dialogo posso solo esplicitare un aspetto che mi sta molto a cuore. Come ho cercato di sostenere anche nel volume Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità (Diogene Multimedia, Bologna 2015), sono convinto che tutte le tradizioni sapienziali (religiose, filosofiche, politiche) possono offrire all’umanità in ricerca tesori preziosi, ma a patto che si liberino da scorie infettanti, errori madornali, unilateralità insostenibili. Il cristianesimo (come il buddhismo o la filosofia illuministica o il comunismo…) non fa eccezione. Solo dopo una spietata autocritica , che a mio parere non potrebbe che equivalere a una letterale ri-fondazione, esso può essere in grado di interloquire dignitosamente con le altre ‘visioni-del-mondo’ e contribuire a quella saggezza (teorico-pratica) planetaria di cui si intravedono solo pochi e lontani lineamenti. Mi crede se la ringrazio sinceramente degli stimoli che mi ha regalato?

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

3 commenti:

germano federici 1950 ha detto...

Papa Francesco un rivoluzionario magari eretico? Non mi pare che le esortazioni di Francesco sul tema del matrimonio siano eterodosse. Che non le abbia espresse nessun papa in precedenza non è criterio decisivo quanto all'ortodossia.
Francesco è in linea con quel semplice "aggiornamento" invocato da Giovanni XXIII. Un aggiornamento di contenuti non riguarda solo il linguaggio, ma gli stessi contenuti quando diventa chiaro che sono superati dalle nuove acquisizioni culturali, scientifiche in primis, ma non solo.
Trovato divertentissimo il testo di Milito, ma più condivisibile la tua conclusione.

Pietro ha detto...

Mi ha coinvolto molto questa lettura, mi sono sentito vicino alle incazzate e appassionate contestazioni del tuo interlocutore al Dio dell’antico testamento. Lo capisco persino quando estende pure a Gesù certe critiche, ti confesso che pure per me Gesù non è sempre un modello perfetto, lo avrei voluto incazzato contro quel Dio sadico come contro i mercanti del tempio. Inutile dire quanto apprezzo la pacatezza e saggezza delle tue risposte, la tua apertura e in buona parte condivisione di tanti passaggi delle critiche di questa persona, che penso avrà colpito anche te per il suo sofferto furore, lo avrai sentito anche tu come una persona profonda e spietatamente in ricerca. Sarebbe bello se fosse possibile averlo in uno dei nostri incontri e seminari - magari da remoto - sarebbe molto stimolante (specie se potessimo invitare anche qualche relatore di cultura Cattolica tradizionale in gamba come Savagnone).

Mauro Matteucci ha detto...

Penso che, quando si affrontano temi come divorzio e convivenza, si entra nella scelta, sempre sofferta, delle coscienze. Dobbiamo come fermarci perciò come sulla soglia, evitando di dare giudizi. Papa Francesco ha tracciato - sia pur tardivamente per la Chiesa - un percorso innovativo che tutti abbiamo il compito di portare a termine.
Mauro (Pisa)