LA SCIENZA DEVE PRESCINDERE DALLA FILOSOFIA, MA GLI SCIENZIATI ?
Se per ‘simbolo’ intendiamo un segno che corrisponde a un contenuto, che ci rimanda a qualcos’altro e in qualche modo ad esso ci ri-unisce (sun-ballein), la nostra esperienza quotidiana è intessuta di simboli. Il suono della sveglia sta per l’informazione su una certa ora; la lancetta sul termostato indica la misura della temperatura dell’acqua; l’immagine luminosa di un omino equivale all’autorizzazione per i pedoni ad attraversare la strada; un fiore sulla scrivania mi evoca l’affetto di una persona amata; questi stessi segni grafici che sto digitando sul monitor del computer suscitano in chi legge la produzione di concetti (il concetto di monitor, il concetto di computer, il concetto di produzione, il concetto di… concetto) o la memoria di altri simboli celebri (quali la bandiera nazionale o la mezza luna islamica). Essere immersi nella storia dell’umanità – nel flusso delle innumerevoli culture che in essa si snodano, si accavallano, si separano, confliggono, si fondono – è avanzare a fatica per un sentiero che attraversa una foresta di simboli.
La maggior parte di questi simboli costituisce un ponte verso ‘oggetti’ di origine e consistenza antropologica: senza l’esistenza di altri esseri umani, non esisterebbero l’ora (quale misura del tempo cronologico) né la scala delle temperature dell’acqua né il codice della strada né l’affetto di una persona cara… Esisterebbero, se non esistessero gli umani, i numeri? Le scienze matematiche li inventano oppure li scoprono? Gli epistemologi ne discutono da decenni senza essere pervenuti a una soluzione condivisa che chiuda una volta e per sempre la questione. Un’analoga domanda ci si pone, almeno da Platone a oggi, a proposito di alcuni ‘valori’ per i quali donne e uomini appartenenti a varie aree culturali hanno rinunziato a molti interessi privati e talora perfino alla vita biologica: la libertà di parola o la giustizia sociale, ad esempio, sono frutto (relativo) di convenzioni inter-soggettive o il presupposto (assoluto) di ogni possibile accordo inter-soggettivo? Mi pare interessante notare che la comunità internazionale dei matematici continua a cooperare pur in presenza di un pluralismo di convinzioni circa l’oggettività (assoluta) dei numeri. Così come la storia ci consegna continuamente esempi di persone che s’impegnano sino all’estremo delle proprie energie per la libertà o la giustizia anche in collaborazione con altre persone che ipotizzano una consistenza ontologica di questi ‘valori’ molto differente rispetto alla loro visione-del-mondo. Per tutte costoro, le parole ‘libertà’ o ‘giustizia’ sono simboli che rimandano gli umani a ‘valori’ con una propria dignità, un proprio fascino; ‘valori’ meritevoli, dunque, di essere onorati e serviti in ogni ipotesi circa il fondamento su cui si basano.
Se gli ‘oggetti’ cui rinviano i simboli della vita sociale sono certamente artificiali (= prodotti dall’arte degli esseri umani e da convenzioni tra di essi) e gli ‘oggetti’ cui rinviano i simboli della matematica e dell’etica sono forse artificiali o forse trascendenti ( ‘trascendenti’ nel senso che l’artificio umano li può riconoscere, esplicitare, argomentare, sistematizzare, tradurre in manuali didattici o in codici legislativi…ma non può non presupporli), che pensare degli ‘oggetti’ a cui ci rimandano i simboli di cui sono intessuti i linguaggi delle scienze naturali (fisica, chimica, biologia e afferenti)? Su elettroni, neutrini, stringhe, idrogeno, cellule, DNA…si discute come di ‘oggetti’ naturali, non-artificiali, da scoprire e non da inventare. Il mosaico di questa varietà di ‘oggetti’ , che si squaderna al cospetto della nostra mente, costituisce già per sé un’affascinante panoramica. Tale panoramica esaurisce l’ambito del realmente esistente e, dunque, del conoscibile? O, a loro volta, questi ‘oggetti’ – che cogliamo attraverso i simboli del linguaggio matematico, fisico, chimico, biologico… - sono simboli che rimandano ad altre dimensioni dell’essere?
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