giovedì 31 marzo 2022

VENERDI' 1 APRILE 2022: SEMINARIO SULLA CRISI AMBIENTALE (ANCHE VIA ZOOM)


 CRISI AMBIENTALE: DAGLI SLOGAN ALLE ANALISI SCIENTIFICHE

SCUOLA DI FORMAZIONE ETICO-POLITICA "G.FALCONE"

 

L’associazione di volontariato culturale “Scuola di formazione etico-politica G. Falcone” 

organizza, in presenza o VIA ZOOM ,

 

un incontro presso la sede operativa

 

 (“Casa dell’equità e della bellezza”, via N. Garzilli 43/a – 90141 Palermo)

 

per venerdì 1 aprile 2022 dalle 19,30 alle 21,00

 

con il prof. RENATO CHEMELLO, docente di ecologia presso l’università di Palermo,

 

sul tema:

 

LA SITUAZIONE ATTUALE RELATIVA ALLA SOSTENIBILITÀ CLIMATICA E AMBIENTALE DEL PIANETA

 

Il link (su cui basta cliccare) è : 

 

https://us02web.zoom.us/j/9404946881?pwd=TDM3TVJqTmw2QVoyajQvbU9tQm92UT09

mercoledì 30 marzo 2022

DAVID MARIA TUROLDO A TRENT'ANNI DALLA MORTE (1992 - 2022)

DAVID  TUROLDO A TRENT’ANNI DALLA MORTE

 

Nel 1992 – dunque proprio trent’anni fa – si è spento un protagonista della vita sociale, culturale e religiosa del nostro Paese che merita di essere conosciuto, almeno sommariamente, anche da quelle generazioni che, per ragioni anagrafiche, ne ignorano  l’esistenza. A lui è stata dedicata una monografia di 447 pagine,  accurata nella documentazione, gradevole nella forma letteraria e molto equilibrata nei giudizi -  David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916 – 1992) - scritta da Mariangela Maraviglia e pubblicata nel 2016 dall’editrice Morcelliana di Brescia: ad essa non possiamo non rimandare il lettore che, incuriosito da queste brevi note, voglia ampliare lo sguardo e approfondire le vicende private e pubbliche del frate dell’Ordine dei Servi di Maria. 

Nascere in una famiglia di contadini friulani nel bel, anzi orrido, mezzo della Prima guerra mondiale significava crescere sapendo di dover lavorare precocemente e, nonostante ciò, sperimentare costantemente la fame. Al punto che, alla richiesta di entrare in seminario per farsi prete, il papà reagisce con sospetto: non è che questo ragazzino, più che rispondere a una chiamata divina, più prosaicamente voglia  assicurarsi pancia piena e vita comoda? Ma le vicende successive smentiranno decisamente questi timori: padre Davide, per tutti i 76 anni di vita, sarà un operaio infaticabile nella vigna del suo Signore. E anche fuori.

Proprio questa sua affezione irresistibile per le zone di confine fra il mondo cattolico (avvertito quasi sempre come retrivo, ipocrita, oppressivo) e il mondo, anzi i mondi, esterni e estranei sarà la causa principale dei suoi guai di ‘religioso’ vincolato ai vertici del suo Ordine dal triplice voto di povertà, castità celibataria e soprattutto obbedienza: questo giovane frate che frequenta la borghesia più danarosa, sia pur per convincerla a condividere con i più poveri la ricchezza, e gli intellettuali più prestigiosi, sia pur per testimoniare la profondità del messaggio cristiano e la sua fecondità anche in campo letterario e artistico, non è contagiato dallo spirito mondano di cui s’illude d’essere il terapeuta? Preoccupazioni che gli esponenti della mia generazione – quindicenni al momento della conclusione del Concilio ecumenico Vaticano II – stentiamo a intendere, ma che erano all’ordine del giorno nei decenni immediatamente precedenti. E che procurarono intense, quanto inutili, sofferenze a Turoldo come a tanti altri protagonisti della storia cattolica con cui egli ebbe modo di incrociarsi: da don Primo Mazzolari a don Zeno Saltini, da don Lorenzo Milani a  padre Ernesto Balducci, da padre Giovanni Vannucci a Carlo Falconi (autore, dopo la rinunzia all’esercizio del presbiterato, del volume significativamente intitolato Gli spretati o Del diritto all’apostasia). 

***

Sulla scorta della ponderosa biografia della Maraviglia potremmo distinguere, nella lunga e fervida esistenza di p. David Maria Turoldo, sette fasi principali.

Una prima fase ( 1916 – 1941) è identificabile con gli anni della formazione, dalla frequenza della parrocchia della nativa Coderno di Sedegliano (Udine) e gli studi filosofici e teologici all’interno dell’ordine religioso (allora fiorente) dei Servi di Maria sino all’assegnazione al convento di San Carlo a Milano. Sono anni di travaglio non solo nella storia politica europea e italiana, ma anche nell’animo del giovane che, da una parte, aspira a una vita di totale dedizione alla relazione con Dio e al servizio degli uomini, ma, dall’altra, si trova inserito in un ambiente soffocante e repressivo, in cui è vietato leggere non solo L’origine della specie di Charles Darwin ma, addirittura, la Bibbia (recintata da “un cordone protettivo, stavo per dire sanitario: hic sunt leones[1]). 

Una seconda fase è costituita dal periodo milanese (1941 -  1953   ) in cui il neo-frate è impegnato, senza risparmio d’energie, nell’assistenza ai civili bombardati dagli aerei dell’Alleanza anti-nazista; nel sostegno ai partigiani della Resistenza anti-fascista; nella predicazione domenicale nel duomo affidatagli, nonostante la giovane età, dall’arcivescovo, il celebre cardinale Schuster; nell’animazione culturale dei cattolici, subito dopo la caduta del regime fascista, attraverso la fondazione e la diffusione del periodico “L’Uomo”; nel sostegno alla costituzione del “Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà”, di fatto – se non ufficialmente – promosso dal Partito comunista; in un viaggio di esplorazione nei lager nazisti appena espugnati dalle Forze alleate; nella frequentazione, come studente di filosofia e presto anche come cappellano, dell’Università cattolica del Sacro Cuore fondata da p. Gemelli; in una breve esperienza accademica all’Università di Urbino e in una ben più vasta e durevole rete milanese di amicizie con studiosi di varia appartenenza ideologica e partitica, molti dei quali (a cominciare da Mario Apollonio) coinvolti nella pubblicazione di un nuovo periodico, “Il Chiostro”; nella pubblicazione di varie raccolte di sue liriche; nella stretta collaborazione con don Zeno Saltini e la sua innovatrice esperienza di “Nomadelfia”; nella fondazione del Centro di formazione e cultura “Corsia dei Servi”…Questa vulcanica attività attirò sul frate friulano grande ammirazione (Anna Maria Cicogna scriveva che lo riteneva “un prete ideale, come se ne vorrebbero incontrare tanti e come ve ne sono invece purtroppo pochi”)[2] e altrettanto grandi ostilità (“Giuda della Chiesa cattolica” [3]). Prevalsero le preoccupazioni, le diffidenze, i sospetti: e all’inizio del 1953 egli fu costretto, su ordine perentorio dei Superiori del suo Ordine, a lasciare l’amata Milano.

Ufficialmente trasferito in Austria, Turoldo preferì vagabondare di convento in convento, non senza puntate – clandestine o quasi – nella stessa Milano da cui era stato esiliato. Una soluzione di compromesso, per uscire dalla situazione ibrida di confine fra obbedienza e disobbedienza, gli apparve il trasferimento a Firenze con il quale si apre la terza fase della sua vita (1954 - 1958). Una fase intessuta di vecchie e nuove amicizie (dal sindaco Giorgio La Pira all’arcivescovo illuminato Elia Dalla Costa, da p. Giovanni Vannucci a p. Ernesto Balducci, da don Lorenzo Milani al poeta Carlo Betocchi) e densa di iniziative caleidoscopiche: dalla “Messa della carità” celebrata nel santuario della SS. Annunziata al cineforum, dalla “trasformazione del periodico dei Servi fiorentini da bollettino di carattere devozionale, agiografico e informativo” in “rivista formativa, aperta alle voci del dibattito ecclesiale e teologico”[4] a vari interventi mediante gli scritti e la parola in presenza. Troppa vivacità per il nuovo arcivescovo Ermenegildo Florit che ne decretò, “sempre in combutta col S. Uffizio”[5], l’espulsione dal capoluogo toscano. 

Al breve periodo fiorentino segue, dunque, una quarta fase (1958 – 1964) caratterizzata da una sede ufficiale (Londra) e da un vasto nomadismo planetario: prediche, conferenze, interviste in Canada, negli Stati Uniti d’America, infine a Udine (dove l’infaticabile frate costituì una casa di produzione cinematografica in vista della creazione di un film, Gli ultimi, rivelatosi un vero e proprio flop). 

Finalmente, con la fondazione della “Casa di Emmaus” (“casa di preghiera e di studio, iniziativa di Laici e per i Laici” ) e l’insediamento nella millenaria abbazia di san’Egidio – presso Fontanella, frazione del comune di Sotto il Monte (Bergamo) , dove era nato papa Giovanni XXIII - , p. Turoldo trova un ubi consistam per la quinta e ultima fase della sua esistenza (1964 – 1992). Ovviamente la nuova dimora fu per lui un “luogo raccolto” dove “dedicarsi allo studio e occuparsi di un’attività lontana dall’agitazione”[6], ma anche un’oasi dove accogliere “ospiti di ogni sorta, anche solo bisognosi di riposo”[7] , un centro di “studi e d’incontri ecumenici”[8] e la pista di decollo per infiniti viaggi per il mondo, sino all’Unione sovietica[9], dovunque fosse utile – all’interno e all’esterno della Chiesa cattolica - una voce forte e inequivoca a favore della pace, della libertà, della cooperazione internazionale. 

***

Non è possibile in poche pagine evocare la miriade di iniziative realizzate da Turoldo nell’ultimo trentennio della sua vicenda terrena, di cui la monografia della Maraviglia restituisce un’idea adeguata. Qui vorrei tentare, in punta di piedi e per quanto possibile, di gettare uno sguardo all’interno dell’enigma costituito dalla sua potente personalità.

Se poesia è creazione, capacità di porre in essere ciò che non pre-esiste (al punto che, secondo l’espressione di Torquato Tasso, solo Dio e il poeta sono creatori), Turoldo è stato essenzialmente un poeta: la sua produzione lirica ha costituito solo una porzione, per quanto simbolicamente eloquente, della sua creatività più ampia, concretizzatasi in una serie di iniziative mirate a diradare ignoranza, a curare ferite, a saziare fame di pane e di giustizia. Non ho avuto il privilegio di incontrare mai David Turoldo quando era vivo, ma ho incontrato – condividendone talora pezzi di strada – molte personalità poetiche (o, in termini biblici, profetiche) non dissimili. Ebbene: in tutte queste soggettività il pregio della convinzione appassionata ha comportato, quasi inevitabile risvolto, l’insistenza unilaterale sulla tematica intuita. 

Provo a esemplificare con un esempio, a proposito di un tasto non certo secondario della sua predicazione orale e scritta. In una lettera del 15 novembre 1960 all’amico Mario Gozzini, il frate – dopo aver espresso comprensibile amarezza per “la vigliaccheria e l’equivoco” che l’hanno costretto a subire i continui trasferimenti decisi dai Superiori del suo Ordine religioso (“Niente Firenze, niente Milano, forse domani niente altre città”) – così conclude: “Tutto mi sarebbe permesso, ma allineato con il «cristianesimo potente», ma con uno spirito che aiuta a conservare non a turbare, posto a servizio della categoria più antitetica al cristianesimo: la borghesia”[10]. Formulazioni del genere sono interamente vere, illuminanti; e interamente false, insostenibili. 

Vere perché la borghesia è la classe (o il ceto o la fascia sociale) che ha inventato il capitalismo e soprattutto l’armamentario ideologico utile a legittimarlo: il culto dell’individuo, l’esaltazione della competizione, il nazionalismo imperialistico, l’antropocentrismo predatorio nei confronti degli altri esseri viventi, la produttività in perenne espansione come fine primario al posto della contemplazione, l’uti consumistico al posto del frui eudaimonistico, l’avere come orizzonte privilegiato rispetto alla dimensione dell’essere

Ma anche interamente  false perché la borghesia ci ha liberato con un processo ‘rivoluzionario’ (secondo il riconoscimento degli stessi Marx ed Engels)  dal peggio del feudalesimo medievale prima, dalla cappa dell’assolutismo monarchico e del connubio fra il trono e l’altare dopo; ha “illuminato” le tenebre del tradizionalismo e del conformismo stimolando nelle chiese cristiane l’emancipazione dagli assetti fondamentalistici e assicurando ai cristiani stessi “i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino” (rivendicati al cospetto delle istituzioni ecclesiastiche prima ancora che delle organizzazioni ostili). Allora il messaggio cristiano, ‘inculturato’ nell’ebraismo e nell’ellenismo dei primi secoli, poi via via nelle civiltà occidentali succedutesi nei due millenni, non è “antitetico” a nessuna “categoria” sociale: da tutte ha ricevuto e riceve come a tutte ha trasmesso e trasmette idee, modelli di comportamenti, precetti, divieti, itinerari individuali e collettivi.  Per un verso, dunque, Turoldo ha ragione: il  cristianesimo non deve rinunziare a “turbare” gli equilibri via via attuati nei diversi sistemi socio-economici, la funzione critico-profetica gli è essenziale dal momento che non ci sono (almeno sino ad oggi) sistemi socio-economici perfettamente compatibili con esso[11]. Tuttavia bisogna stare attenti a non demonizzare un assetto socio-economico rischiando di far supporre che altri assetti siano certamente  meno perversi, inumani. Per restare nell’esempio: delle conquiste intellettuali e tecnologiche della borghesia hanno beneficiato non sono solo i borghesi, ma l’intera società umana (cristiani per primi), comprese le classi indigenti. Così come gli errori prospettici e interpretativi della borghesia hanno contaminato l’intera società umana (cristiani per primi), comprese le classi indigenti: lo ‘spirito’ borghese è riuscito a  mutilare  le splendide risorse antropologiche dei ricchi, dei poveri e dei ceti medi (e di quanti, nelle organizzazioni sindacali e partitiche di ‘sinistra’,  si sono proclamati dalla parte degli sfruttati). Se avessimo saputo criticare il capitalismo reale senza lasciar supporre – a ragione o a torto – una certa indulgenza verso il socialismo reale, forse oggi non ci troveremmo nel deserto motivazionale di generazioni rassegnate alla propria disperazione: ma un riformismo social-liberale rigoroso, testardo, costante e coerente ha maestri, profeti e pionieri? 

Anche a proposito di questa tematica, come di molte altre, risulterebbero dunque appropriate osservazioni come queste rivolte a p. Davide da suoi amici sinceri come il milanese Giuseppe Ricca: “Noi abbiamo bisogno di te, ma tu ora hai bisogno di fermarti, e di studiare, e di meditare, e di pregare;  e di non disperderti. Alcune tue esasperazioni, alcune tue impazienze sono sbagliate e non sono ministero: sono temperamento” [12]

L’invito a “fermarsi”, “studiare”, “meditare”, “pregare” - al di là delle intenzioni del mittente e del contesto preciso in cui è stato rivolto – avrebbe potuto aiutare Turoldo ad orientarsi meglio in un’altra tematica, più congeniale alla sua ‘vocazione’ di intellettuale e di pastore. Mi riferisco al vasto e delicato ambito della riflessione teologica, nel quale ho maturato l’ipotesi che la sua consapevolezza sia stata insufficientemente spregiudicata. Turoldo – a somiglianza di alcuni suoi amici (Barsotti in primis) e a differenza di altri compagni di strada altrettanto vicini  (Balducci in primis) – non ha mostrato   l’adeguata  consapevolezza che, nel XX secolo, il cristianesimo fosse stato posto dinanzi al drastico bivio di cambiare radicalmente o morire[13]. Gli studi biblici, infatti, hanno minato alle basi  la dogmatica (e conseguentemente la liturgia, la morale e la spiritualità) strutturatasi dal IV al XIX secolo: dalla divinità in senso ontologico e unico di Gesù alla dottrina della Trinità, dall’interpretazione storico-letterale del peccato ‘originale’ alla teoria della sofferenza riparatrice sino alle credenze sul destino ultra-mondano delle ‘anime’…[14] Chi ha capito e accettato questo mutamento epocale di ‘paradigma’, è uscito (almeno interiormente) dall’appartenenza ecclesiale; chi non l’ha capito o, avendolo capito, non l’ha accettato, ha dovuto per così dire alzare la voce al fine di coprire i dubbi sempre più prepotenti e invasivi, dentro di sé prima ancora che negli animi degli interlocutori. Da questa angolazione specifica ho trovato perfetto, illuminante, l’appellativo che alcuni confratelli più giovani avevano coniato per lui (e per il suo inseparabile Camillo De Piaz): “rivoluzionario tradizionalista”[15]

I tanti episodi significativi e le tante citazioni suggestive che questa bella e completa monografia della Maraviglia riporta mi hanno richiamato alla memoria un incontro nello studio del padre gesuita Bartolomeo Sorge, presso l’Istituto “Pedro Arrupe” di Palermo,  in preparazione di un ‘triduo’ di conferenze che avremmo dovuto tenere a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) lui, un missionario ed io (nella qualità di ‘fedele-laico’). Al momento di dare un titolo complessivo alla ‘missione’, il più giovane e fervente di noi tre propose: “Cristo, la risposta alle domande dell’uomo!”. Eravamo a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso: provai un senso indistinto di perplessità ma non osai obiettare nulla. Fu invece l’ormai anziano gesuita ad osservare con un sorrisetto tra l’ironico e il mesto: “Lo slogan è roboante, ma potrebbe promettere troppo. Perché non scriviamo: «Cristo, una risposta ad alcune domande dell’uomo»?”[16]. Cominciai a capire che il mondo teologico in cui mi ero sino a quel momento aggirato (una visione dell’universo cristocentrica ed ecclesiocentrica) era crollato e che mi attendeva un esodo lacerante verso la liberazione dalla confortevole prigionia del passato: avrei attraversato il deserto privo delle certezze garantite dall’autorivelazione di Dio stesso, non più proclamando con toni decisi annunzi strabilianti, bensì suggerendo sommessamente ipotesi sottoposte a continua verifica.  Forse – e sottolineo il forse – padre Davide, a differenza di altri coetanei come dom Giovanni Franzoni (di soli due anni più giovane), non ha misurato sino in fondo il terremoto avvenuto o si è illuso di poterlo attraversare e superare affidandosi alla potenza del suo sentimento lirico e del suo afflato mistico (come si può dire di altre figure di rilievo quali Carlo Carretto o Adriana Zarri). 

 Comunque siano andate le cose, mi viene spontaneo interpretare le riserve e le perplessità (ora acide e polemiche, ora preoccupate e affettuose) di cui il frate friulano è stato destinatario[17], anche come sollecitazione a curare con più attenzione la differenza dei canali comunicativi. Infatti, in aggiunta alla necessità che ci accomuna tutti di calibrare e precisare continuamente i nostri giudizi sul reale, ci corre obbligo di rispettare la tipicità dei vari registri comunicativi: parlare non è scrivere; parlare o scrivere in pubblico non è parlare o scrivere in privato; parlare o scrivere da docenti non è parlare o scrivere da pastori…Chi ha il dono di sapersi esprimere un po’ su tutti i livelli della gamma variegata, non può sottrarsi alla cura di modulare il proprio pensiero rispettando i canoni e le peculiarità di ciascuno di essi: ciò che si può perdonare al poeta o al profeta (anzi, che si può ammirare in loro) non sempre è accettabile in chi si esprime da teologo o da pastore. 

  In più di un caso, comunque, Turoldo ha saputo donare in versi delle intuizioni folgoranti, a mio parere condivisibili anche su registri linguistici diversi dal poetico. Così, dovendo chiudere uno scritto in cui avevo provato a sintetizzare l’eredità più preziosa dei filosofi frequentati nei  primi sessantacinque anni di vita,  non ho trovato di meglio che ricorrere ad alcune righe di David Maria Turoldo:

 

       Fratello ateo, nobilmente pensoso

       alla ricerca di un Dio

         che io non so darti,

         attraversiamo insieme il deserto.

         Di deserto in deserto andiamo oltre

         la foresta delle fedi 

         liberi e nudi verso

         il nudo Essere

         e là 

        dove la Parola muore

        abbia fine il nostro cammino[18].


* E' POSSIBILE SCARICARE GRATIS IL PDF: 

https://www.iltettorivista.it/articoli/227-augusto-cavadi-davide-turoldo-a-trent-anni-dalla-morte



[1] Questa citazione, come le successive (tranne avvertenza diversa) sono tutte tratte da David Maria Turoldo. Per i dettagli bibliografici delle fonti rimando alla monografia di Maria Maraviglia (da ora in poi : M.M, D.). Questa frase è in M.M, D., p. 46.

[2]  Cfr. M.M., D, p. 211.

[3]  Cfr. M.M., D., p. 212.

[4] Come scrive Mariangela Maraviglia a p. 235. 

[5] Cfr. M.M., D., p. 247.

[6] Cfr. M.M., D., p. 277.

[7] Cfr. M.M., D., p. 275.

[8] Ivi.

[9] Cfr. M.M., D., pp. 333 – 334.

[10] M. M., D., p. 257.

[11] Così p. Davide: “I cristiani possono e devono intrupparsi con tutti coloro che cercano l’uomo; che sono da quella parte; che si battono per la sua dignità. Anche se poi [il cristiano] non può identificarsi con nessuno; e là dove gli altri si fermano egli deve andare oltre, perché il traguardo è all’infinito; e l’uomo sarà sempre da liberare” (cfr. M.M., D., p. 325).

[12] Cfr. M.M, D, p. 259.

[13] Qua riecheggia il titolo del libro del vescovo episcopaliano John S. Spong, Perché il cristianesimo deve cambiare o morire. La nuova riforma della fede e della prassi della Chiesa, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2019.

[14] E’ quanto documenta, esaminando punto per punto il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, p. Ortensio da Spinetoli nel suo Bibbia e catechismo. Il credo, i sacramenti, i comandamenti  (Paideia, Brescia 1999), sul quale cfr. la mia lunga recensione Quale catechesi giovanile da parte delle Chiese cristiane? in “Dialoghi mediterranei”, 1.1.2021. Purtroppo pochissimi altri studiosi hanno la stessa franchezza nel dire come stanno le cose, senza giri di parole né altre astuzie verbali: tra questi - oltre J. S. Spong prima citato -   Raimundo Panikkar, Eugen Drewermann, Roger Lenaers, Franco Barbero.

[15] Come scrive con precisione chirurgica Maraviglia, Turoldo ha sposato con fedeltà la “laicità” insegnata da papa Giovanni XXIII, da Jacques Maritain, da Giuseppe Lazzati. Una “laicità” – secondo la formula di Raniero La Valle – “ricettiva del messianico”: dunque “saldamente ancorata alla Rivelazione biblica e ai fondamenti della dottrina cristiana trasmessa dalla Chiesa” (M.M., D., p. 421). 

[16] Al dibattito nel salone dove avevo tenuto la mia conferenza “ai professionisti e agli intellettuali”, un anziano avvocato – dichiaratosi neoconvertito al cattolicesimo – intervenne con toni durissimi nei miei confronti, sostenendo senza mezzi termini che fosse scandaloso affidare a “eretici” come me dei ruoli di “predicazione”. Dopo l’incontro, mi avvicinò un signore, vestito dimessamente, ad osservare: “Ieri p. Bartolomeo Sorge ha detto praticamente le stesse cose, ma nessuno ha osato contestarlo. Siccome lei è giovane ed è laico…”. Lo ringraziai sorridendo e solo dopo appresi, da un missionario,  che ad avvicinarmi era stato il “padre generale” della loro congregazione.  

[17] Con apprezzabile onestà intellettuale, l’autrice della monografia su Turoldo riporta altri attestati di prossimità critica al servita da parte di persone che lo hanno stimato e amato: “Il rapporto che stabilisce con la realtà, l’uomo, la storia, ” – scrive ad esempio Angelo Romanò introducendo nel 1963 una raccolta di poesie del suo amico – “è un rapporto elementare, fatto di traumi, di emozioni, di metafore, molto più che di idee” (cfr. M.M., D, p. 270).

[18] D. M. Turoldo, Canti ultimi, Garzanti, Milano 1991, cit. in A. Cavadi, Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità, Diogene Multimedia, Bologna 2015, p. 277. 

martedì 22 marzo 2022

UNA LETTERA MOLTO SCOMODA DI PAOLO SIBONA. NON E' OBBLIGATORIO LEGGERLA.



“Ciò che state per leggere non vi piacerà. Vedete voi se continuare. 

Sarà lungo e sgradevole. 

Nei giorni scorsi alcune persone hanno noleggiato dei furgoni, sono andati all’estero, hanno caricato cittadini extracomunitari e li hanno portati in Italia. 

Li abbiamo accolti da eroi. Li ho ammirati. Mi sono rammaricato, quasi vergognato, di non averlo fatto anch’io. 

Poche settimane fa chi faceva la stessa cosa rischiava un’incriminazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. 

Il furgone è lo stesso. 

Ma questi sono bianchi. 

Con invidiabile fiuto e ammirevole tempismo, politici di centrodestra immemori di dieci anni di propaganda anti-profughi hanno posato accanto agli scampati dai bombardamenti, ordinati da uno “statista” che ieri ammiravano ed elogiavano. 

Accoglienza e solidarietà a favore di telecamere: ma stavolta non è pubblicità a buon mercato, è dovere di informare. 

C’è voluto un sindaco polacco, di destra tra l’altro, per sbertucciare Salvini e la sua ipocrisia. Da noi i sindaci con la fascia non hanno battuto ciglio, e anzi giurano che spalancheranno tutte le porte. 

Ora non si sente più la frase “accoglili a casa tua!”. Chi lo fa, ha SEMPRE fatto un’opera buona: Mt.25 “ero straniero e mi avete accolto”. Ieri però, chi lo faceva, era guardato con sospetto. 

Ora per gli Ucraini le istituzioni chiedono alla famiglie di aprire le case. Niente trafile, niente documenti, nessuna “commissione”. Non li rinchiudiamo nei “centri” con i reticolati e i fili spinati. “E ci mancherebbe!” direte voi. 

Mi spiace ricordarvi che lo facciamo da anni e continuiamo a farlo. 

Le case e i palazzi distrutti di Aleppo, di Damasco, di Kabul, li abbiamo visti in TV come quelli di Mariupol e di Kiev. Certo, non tutti i giorni. Ma non è un problema di quantità: ammettiamolo, ci facevano meno impressione. 

I morti massacrati in modo più rudimentale in Congo, Libia, Mali, Burkina Faso, Sudan, Niger… non passano neppure in TV. In questo momento ci sono 30 guerre e guerriglie in Africa. Ma sono neri. Non fanno audience

Quando scappano, gli chiediamo se scappano “davvero” da una guerra “vera”. E devono dimostrarlo. E nel frattempo vivono sospesi o addirittura semireclusi. 

Chi va verso sud a salvarli con una barca riceve odio e auguri di morte. Chi va verso est a salvarli con un furgone suscita ammirazione. Eppure eravamo un popolo di poeti, santi e navigatori, non di autisti. 

Dall’Ucraina stanno fuggendo MILIONI di persone. Chi osasse dire “non possiamo accoglierli tutti!” passerebbe oggi per un mostro. L’abbiamo, l’avete, detto per anni. 

Per anni! Prima timidamente, poi apertamente, infine con orgoglio. Con la sicumera di dire semplicemente una cosa “di buon senso”. 

Adesso la dico io una cosa “di buon senso”. Dall’Ucraina stanno fuggendo soprattutto donne e bambini. 

Qualcuno, con un po’ di sale in zucca, comincia a chiedere: “siamo tranquilli per una donna sola, con figli minori, che venga accolta in una casa del cui proprietario non sappiamo nulla?”. 

Fino a ieri, il profugo-richiedente asilo era una persona di cui sospettare, e chi si occupava di accoglienza era “gente che ci marcia”. 

Ora presumiamo che chi si propone di accogliere offra le dovute garanzie. 

Ora per gli Ucraini presumiamo che siano brave persone. Sono Europei come noi, sono innocenti fino a prova contraria, come noi. 

Gli immigrati africani invece sono sospetti finché non ci convincono del contrario. Devono dimostrarlo, di essere brave persone. 

C’è anche un altro pensiero. Ora fronteggiamo l’emergenza, come meglio possiamo, senza andare troppo per il sottile. Tanto si pensa che gli Ucraini desiderino tornare al loro paese appena sarà possibile. Sono gente a posto, gente come noi. 

Non approfittatori che vengono qui per rubarci il lavoro, il posto in ospedale, la casa popolare… 

Ma se la città da cui sono fuggiti sarà ridotta (prego perché non sia così) a un cumulo di macerie, è più probabile che il marito raggiunga la famiglia qui, piuttosto che il contrario. 

E, a proposito di casa popolare, quando una donna ucraina, disoccupata (o lavoratrice in nero presso un evasore italiano) e con figli a carico, vi passerà davanti nella graduatoria, tornerete a dire “prima gli Italiani”? 

Se capiterà, almeno non verrete accusati di essere razzisti. Perché sono bianchi. Come noi. Ma forse a quel punto non vi sarà più sufficiente.

NOTA SUPERFLUA MA NON SI SA MAI:

Chi ha avuto la cortesia, e la pazienza, di leggere fino qui, avrà capito anche senza questa nota finale che il mio ragionamento non è “non solidarizziamo con gli Ucraini visto che non lo facciamo con gli Africani” ma esattamente il contrario, ovvero auspico che la solidarietà che sentiamo verso gli Ucraini ci apra gli occhi e il cuore facendoci sentire fratelli con tutta l’umanità. 

(Paolo Sibona)

domenica 20 marzo 2022

HO FIRMATO, DA TEOLOGO 'LAICO', QUESTO DOCUMENTO CONTRO IL PATRIARCA KIRILL


 Il governo ucraino attuale, e alcune formazioni politico-militari che lo supportano, non è esente da gravissime colpe. Almeno dal 2014 esso è responsabile, con la complicità attiva di varie potenze occidentali - gli USA in prima linea - e con il silenzio ignavo dell'opinione pubblica mondiale, di stragi di civili inermi nelle regioni del Donbass e ad Odessa (come effetto collaterale della repressione di quelle organizzazioni separatiste che, con mezzi legali e illegali, vorrebbero l'annessione alla Russia).

Ciò premesso, l'iniziativa bellica di Putin resta ingiustificabile da ogni punto di vista e sta provocando sofferenze, distruzioni e morti di incalcolabile gravità. Ingiustificabile è dunque l'appoggio morale che , con argomenti teorici deliranti, gli sta prestando il patriarca della chiesa russa ortodossa Cirillo. Per questo non ho avuto esitazione nel firmare, in quanto socio laico dell'Associazione teologica italiana, questo documento di protesta contro di lui (proposto da teologi 'ortodossi' di tutto il mondo all'attenzione solidale di teologi di ogni denominazione e orientamento, anche molto differente - come nel mio caso - dalla teologia tradizionale maggioritaria). Non sono così ingenuo da sperare che un personaggio ambiguo e barocco come il Kirill della foto in alto si lasci toccare da appelli come questo; tuttavia dei vescovi, dei preti e dei fedeli di confessione ortodossa - se in buona fede - potrebbero trovare in queste pagine elementi di giudizio sulla tragedia in cui è precipitato, insieme al popolo ucraino, lo stesso popolo russo.

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Una dichiarazione dei teologi ortodossi
sulla dottrina del “russkij mir” (“mondo russo”)

Cari amici,
sulla scia dell’invasione inconcepibile e orrendamente distruttiva dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin, i cristiani ortodossi di tutto il mondo devono affrontare una domanda difficile: come può una nazione la cui maggioranza abbraccia il cristianesimo ortodosso giustificare l’attacco e l’uccisione del popolo di una nazione sorella, di cui quasi tutti condividono la stessa fede? In che modo, all’inizio della Grande Quaresima, quando la nostra tradizione ci invita al perdono, al digiuno e alla preghiera, i cristiani ortodossi possono scatenare violenza e spargimento di sangue contro i loro fratelli e sorelle in Cristo?
La dolorosa verità, ma che dobbiamo affrontare in questo momento di penitenza, è che la nostra stessa leadership, e in particolare la leadership della Chiesa ortodossa russa, ha sviluppato e promosso un falso insegnamento noto come “Russkij Mir” o “Mondo russo”, fornendo a Putin l’”assegno in bianco” religioso che sottoscrive la sua atroce invasione e annessione dei pacifici e democratici vicini della Russia: gli ucraini.
Durante questo tempo sacro, i cristiani ortodossi di tutto il mondo devono dichiarare senza mezzi termini che l’ideologia del “mondo russo” è falsa e distruttiva, alimenta violenza e spargimenti di sangue, causa scandalo e divisione nella Chiesa. Non possiamo illuderci che questa ideologia sia un’eccezione nella storia dell’Ortodossia: dobbiamo condannare tutte le ideologie etno-filetiste ortodosse simili al falso insegnamento del “mondo russo” in ogni epoca, nazione e cultura.
Studiosi e teologi ortodossi hanno redatto una forte Dichiarazione (vedi sotto) riguardante l’ideologia teologicamente condannabile del “mondo russo”. Vi invitiamo a leggere questa Dichiarazione, a firmarla e a condividerla con coloro che vi circondano.
Vi esortiamo a pregare per il pentimento di coloro che propagano questo insegnamento malvagio, che continua ad alimentare le ambizioni megalomani di Vladimir Putin. A pregare anche per il pentimento di ogni cristiano ortodosso, per la nostra stessa complicità in questo male attraverso il silenzio, l’ottenebramento e la negazione.
Solo se affrontiamo questo male, che prospera dentro e fuori di noi, inchinandoci in pentimento con le semplici parole del Canone di sant’Andrea di Creta: “Abbi pietà di me, o Dio, abbi pietà di me!”,
possiamo ri-proclamare  veramente la nostra comunità divisa e insanguinata come la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, oggi unita soltanto dal nostro cuore spezzato e contrito, nella persona di
Gesù Cristo, che solo è con noi nelle avversità.

I Coordinatori per conto del Comitato di Redazione
Il rev. dott. Brandon Gallaher
Il dott. Pantelis Kalaitzidis

UNA DICHIARAZIONE SULL’IDEOLOGIA DEL “MONDO RUSSO” (RUSSKII MIR)

“Per la pace del mondo intero, per la stabilità delle sante Chiese di Dio, e per l’unità di tutti preghiamo il Signore”
(Divina Liturgia)

L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022 è una minaccia storica per un popolo di tradizione cristiana ortodossa. Ancora più preoccupante per i credenti ortodossi è il fatto che l’alta gerarchia
della Chiesa ortodossa russa ha rifiutato di riconoscere questa invasione, rilasciando invece vaghe dichiarazioni sulla necessità della pace alla luce degli “eventi” e delle “ostilità” in Ucraina, mentre sottolineava la natura fraterna dei popoli ucraino e russo come parte della “Santa Rus’”, incolpando delle ostilità il malvagio “Occidente” e persino invitando le due comunità a pregare in modi da incoraggiare attivamente le ostilità.
Il sostegno da parte di diversi gerarchi del Patriarcato di Mosca alla guerra del presidente Vladimir Putin contro l’Ucraina è radicato in una forma di fondamentalismo religioso etno-filetista ortodosso, di carattere totalitario, chiamato Russkii mir o mondo russo, un falso insegnamento che sta affascinando molti nella Chiesa ortodossa ed è stato anche ripreso dall’estrema destra e da fondamentalisti cattolici e protestanti.
I discorsi del presidente Vladimir Putin e del patriarca di Mosca Kirill (Gundiaev) hanno ripetutamente invocato e sviluppato l’ideologia del russkij mir negli ultimi 20 anni. Nel 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea e avviato una guerra per procura nell’area del Donbass in Ucraina, fino all’inizio della guerra vera e propria contro l’Ucraina, Putin e il patriarca Kirill hanno utilizzato l’ideologia del russkij mir come principale giustificazione per l’invasione. Tale costrutto ideologico afferma che esiste una sfera o civiltà russa transnazionale, chiamata “Santa Russia” o “Santa Rus’”, che include Russia, Ucraina e Bielorussia (e talvolta anche la Moldova e il Kazakistan), così come tutti coloro di etnia russa e i russofoni in tutto il mondo. Esso sostiene che questo “mondo russo” ha un centro politico comune (Mosca), un centro spirituale comune (Kiev come “madre di tutta la Rus’”), una lingua comune (il russo), una chiesa comune (la Chiesa ortodossa russa, il Patriarcato di Mosca) e un patriarca comune (il Patriarca di Mosca), che opera in “sinfonia” con un presidente/leader nazionale comune (Putin) per governare questo mondo russo, oltre che per sostenere una spiritualità, una moralità e una cultura distintive comuni.
Contro questo “mondo russo” (così continua la dottrina) si erge l’Occidente corrotto, guidato dagli Stati Uniti e dalle nazioni dell’Europa occidentale, che avrebbe capitolato al “liberalismo”, alla “globalizzazione”, alla “cristianofobia”, ai “diritti omosessuali” promossi nei gay-prides e al “secolarismo militante”. Al di sopra e contro l’Occidente e quegli ortodossi caduti nello scisma e nell’errore (come il Patriarca ecumenico Bartolomeo e altre Chiese ortodosse locali che lo sostengono) si ergono il Patriarcato di Mosca    e Vladimir Putin, come i veri difensori dell’insegnamento ortodosso, che essi vedono in termini di moralità tradizionale, di una comprensione rigorista e inflessibile della tradizione e di venerazione della Santa Russia.
Dall’intronizzazione del patriarca Kirill nel 2009, le figure di spicco del Patriarcato di Mosca, così come i portavoce dello Stato russo, hanno continuamente attinto a questi principi per contrastare le basi teologiche dell’unità ortodossa. Il principio dell’organizzazione etnica della Chiesa è stato condannato al Concilio di Costantinopoli nel 1872. Il falso insegnamento dell’etno-filetismo è la base dell’ideologia del “mondo russo”. Se ritenessimo validi questi falsi principi, allora la Chiesa ortodossa cesserebbe di essere la Chiesa del Vangelo di Gesù Cristo, degli Apostoli, del Credo niceno-costantinopolitano, dei Concili ecumenici e dei Padri della Chiesa. L’unità diventerebbe intrinsecamente impossibile.

Pertanto, respingiamo l’eresia del “mondo russo” e le azioni vergognose del governo russo nello scatenare la guerra contro l’Ucraina che scaturisce da questo insegnamento vile e indifendibile con la connivenza della Chiesa ortodossa russa, in quanto dottrina profondamente non ortodossa, non cristiana e contro l’umanità, chiamata ad essere “giustificata... illuminata... e lavata nel Nome di

nostro Signore Gesù Cristo e dallo Spirito di Dio” (Rito del Battesimo). Così come la Russia ha invaso l’Ucraina, allo stesso modo anche il Patriarcato di Mosca del Patriarca Kirill ha invaso la Chiesa Ortodossa, ad esempio in Africa, causando divisioni e conflitti, con innumerevoli vittime non solo nel corpo, ma anche nell’anima, mettendo in pericolo la salvezza dei fedeli.

Di fronte all’insegnamento del “mondo russo” che sta devastando e dividendo la Chiesa, siamo ispirati dal Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo e dalla Santa Tradizione del Suo Corpo Vivente, la Chiesa Ortodossa, a proclamare e confessare le seguenti verità:


1. “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù” (Gv 18,36).

Affermiamo che lo scopo e il compimento della storia, il suo telos, è la venuta del Regno del nostro Signore Gesù Cristo, un Regno di giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo, un Regno attestato dalla Sacra Scrittura e autorevolmente interpretato dai Padri. Questo è il Regno a cui partecipiamo in anticipo in ogni Santa Liturgia: “Benedetto il regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli!” (Divina Liturgia). Questo Regno è l’unico fondamento e autorità per gli ortodossi, anzi per tutti i cristiani. Per l’Ortodossia, come Corpo del Cristo vivente, non esiste altra fonte di rivelazione, nessuna base per la comunità, la società, lo stato, la legge, l’identità personale e l’insegnamento, se non quella rivelata in, da e attraverso nostro Signore Gesù Cristo e lo Spirito di Dio. Pertanto condanniamo come non ortodosso e respingiamo qualsiasi insegnamento che cerchi di sostituire il Regno di Dio visto dai profeti, annunciato e inaugurato da Cristo, insegnato dagli apostoli, ricevuto come sapienza dalla Chiesa, enunciato come dogma dai Padri, e sperimentato in ogni Santa Liturgia, con un regno di questo mondo, sia quello della Santa Rus’, della Sacra Bisanzio o qualsiasi altro regno terreno, usurpando così l’autorità di Cristo stesso di consegnare il Regno a Dio Padre (1Cor 15,24), e negando il potere di Dio di asciugare ogni lacrima dagli occhi (Ap 21,4).

Condanniamo fermamente ogni forma di teologia che neghi che i cristiani sono stranieri e pellegrini in questo mondo (Eb 13,14), cioè il fatto che “la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20) e che i cristiani “abitano ciascuno la propria patria, ma come forestieri. Partecipano a tutto come cittadini e a tutto assistono come stranieri. Ogni terra straniera è per loro patria, e ogni patria terra straniera” (A Diogneto, 5).


2. “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21)

Affermiamo che, in attesa del trionfo finale del Regno di Dio, riconosciamo l’autorità unica e ultima di nostro Signore Gesù Cristo. Nella storia, i governanti terreni hanno il compito di assicurare la pace, in modo che il popolo di Dio possa vivere “una vita quieta e tranquilla, in tutta pietà e santità” (Divina Liturgia). Non c’è dunque nazione, stato o ordine della vita umana che possa avanzare su di noi una pretesa più alta di Gesù Cristo, nel cui nome “ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10).Pertanto, condanniamo come non ortodosso e respingiamo ogni insegnamento che subordini il Regno di Dio, manifestato nell’Unica Santa Chiesa di Dio, a qualsiasi regno di questo mondo e che cerchi altri signori ecclesiastici o secolari che possano giustificarci e redimerci. Respingiamo fermamente tutte le forme di governo che divinizzano lo Stato (teocrazia) e assorbono la Chiesa, privandola della sua libertà di opporsi profeticamente ad ogni ingiustizia. Biasimiamo anche tutti coloro che affermano il cesaropapismo, sostituendo la loro ultima obbedienza al Signore crocifisso e risorto con quella a qualsiasi capo investito di poteri di governo e che pretende di essere l’unto di Dio, sia con il titolo di “Cesare”, di “Imperatore”, “Zar” o “Presidente”.


3. “Non c’è giudeo né greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina; perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).

Affermiamo che le divisioni dell’umanità in gruppi basati su razza, religione, lingua, etnia o qualsiasi altra caratteristica secondaria dell’esistenza umana sono caratteristiche di questo mondo imperfetto e peccaminoso, che, seguendo la tradizione patristica, sono “distinzioni della carne” (san Gregorio Nazianzeno, Orazione 7, 23). L’affermazione della superiorità di un gruppo sugli altri è un male caratteristico di tali divisioni, ed è completamente contraria al Vangelo, dove tutti sono “uno” ed “eguali” in Cristo, tutti devono rispondere a Lui delle loro azioni e tutti hanno accesso al suo amore e perdono, non come membri di gruppi sociali o etnici particolari, ma come persone create e nate egualmente ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26). Pertanto, condanniamo come non ortodosso e respingiamo ogni insegnamento che attribuisca l’istituzione o l’autorità divina, una sacralità o purezza speciali a qualsiasi singola identità locale, nazionale o etnica, o qualifichi una particolare cultura come speciale o divinamente ordinata, sia essa greca, rumena, russa, ucraina o qualsiasi altra.


4. “Avete inteso che fu detto ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,43-45).Seguendo il comandamento di nostro Signore, affermiamo che, come asseriva san Silvano del Monte Athos, “la grazia di Dio non è nell’uomo che non ama i suoi nemici”, e che non possiamo conoscere la pace finché non amiamo i nostri nemici. In questo senso, fare la guerra è il fallimento definitivo della legge dell’amore di Cristo. Pertanto, condanniamo come non ortodosso e respingiamo qualsiasi insegnamento che incoraggi la divisione, la sfiducia, l’odio e la violenza tra i popoli, le religioni, le confessioni, le nazioni o gli stati.

Condanniamo inoltre come non ortodossi e respingiamo ogni insegnamento che demonizzi o incoraggi la demonizzazione di coloro che lo stato o la società considerano “altri”, compresi gli stranieri, i dissidenti politici e religiosi e altre minoranze sociali stigmatizzate. Rifiutiamo qualsiasi divisione manichea e gnostica che elevi come “santa” una cultura orientale ortodossa e i popoli ortodossi al di sopra di un “Occidente” degradato e immorale. È particolarmente malvagio condannare altre nazioni attraverso speciali petizioni liturgiche della Chiesa, elevando i membri della Chiesa ortodossa e le sue culture come se fossero spiritualmente santificati rispetto agli “eterodossi”, carnali e secolarizzati.


5. “Andate a imparare che cosa vuol dire: ‘Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13; cf. Os 6,6 e Is 1,11-17).

Affermiamo che Cristo ci chiama ad esercitare la carità personale e comunitaria verso i poveri, gli affamati, i senzatetto, i rifugiati, i migranti, i malati e i sofferenti, e a cercare la giustizia per i perseguitati, gli afflitti e i bisognosi. Se rifiutiamo la chiamata del nostro prossimo; se percuotiamo e derubiamo, e lasciamo che il nostro prossimo soffra e muoia per strada (Parabola del Buon Samaritano, Lc 10,25-37), allora non siamo nell’amore di Cristo sulla via verso il Regno di Dio, ma ci siamo fatti nemici di Cristo e della sua Chiesa. Siamo chiamati non solo a pregare per la pace, ma ad alzarci attivamente e profeticamente per condannare l’ingiustizia, a fare la pace anche a costo della nostra vita. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Offrire il sacrificio della liturgia e della preghiera e rifiutarsi di agire conformemente a questo sacrificio costituisce un sacrificio per la condanna, in contrasto con ciò che è offerto in Cristo (Mt 5,22-26 e 1Cor 11,27-32).

Pertanto, condanniamo come non ortodossa e respingiamo ogni promozione del “quietismo” spirituale tra i fedeli e il clero della Chiesa, dal più alto Patriarca fino al più umile laico. Biasimiamo coloro che pregano per la pace mentre non riescono a fare attivamente la pace, sia per paura che per mancanza di fede.


6. “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).

Affermiamo che Gesù chiama i suoi discepoli non solo a conoscere la verità, ma a dire la verità: “La tua parola sia ‘Sì, Sì’ o ‘No, No’; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Un’invasione su vasta scala di un paese vicino da parte della seconda potenza militare del mondo non è solo un’“operazione militare speciale”, degli “eventi” o “un conflitto” o qualsiasi altro eufemismo scelto per negare la realtà della situazione. Si tratta, piuttosto, di un’invasione militare su larga scala che ha già provocato numerosi morti civili e militari, lo sconvolgimento violento della vita di oltre 44 milioni di persone e lo sfollamento e l’esilio di oltre 2 milioni di persone (al 13 marzo 2022). Questa verità va detta, per quanto dolorosa possa essere.

Pertanto, condanniamo come non ortodosso e respingiamo ogni insegnamento o azione che rifiuti di dire la verità o sopprima attivamente la verità sui mali perpetrati contro il Vangelo di Cristo in Ucraina. Condanniamo totalmente ogni discorso di “guerra fratricida”, “ripetizione del peccato di Caino, che uccise il proprio fratello per invidia”, se non riconosce esplicitamente l’intento omicida e la colpevolezza di una parte sull’altra (Ap 3,15-16).

Dichiariamo che le verità che abbiamo affermato e gli errori che abbiamo condannato e respinto come non ortodossi trovano il loro fondamento nel Vangelo di Gesù Cristo e nella Santa Tradizione della fede cristiana ortodossa. Invitiamo tutti coloro che accettano questa dichiarazione ad essere consapevoli di tali principi teologici nelle loro decisioni nella politica ecclesiastica. Preghiamo tutti coloro che aderiscono alla finalità  di questa dichiarazione di ritornare “all’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,3).

 

13 marzo 2022 — Domenica dell’Ortodossia