DAL DISAGIO DELLA SCUOLA NON SI ESCE CON DOCENTI IMMATURI
La scuola è un tema-contenitore che non si finisce mai di esplorare. L’ampiezza delle problematiche spiega il proliferare delle pubblicazioni che le si dedicano; ma proprio questa abbondanza comporta che molte idee rimbalzano – quasi identiche – di volume in volume. Da qui l’opportunità – quando si hanno fra le mani saggi come Scuola ed educazione alla democrazia (Solfanelli, Chieti 2022, pp. 173) di Piero Di Giorgi – di cercare gli spunti meno ovvii, incastonati in una trama discorsiva abbastanza nota.
Tra queste considerazioni che non sono ancora entrate nel ‘senso comune’ degli insegnanti evidenzierei innanzitutto la precocità con cui avviene la differenza di opportunità culturali: Asquini e Sabelli, nel 2018, hanno affermato che già a tre anni di età il divario lessicale fra bimbi appartenenti a fasce socio-economiche diverse può arrivare a “circa 30 milioni di parole ascoltate !!! […] I bambini, all’ingresso a scuola, non sono tutti uguali, in termini di preparazione di base. E la diversità viene alimentata durante l’esperienza scolastica” (cfr. p. 41). Aggiungerei che i maestri bravi s’impegnano il doppio con gli alunni svantaggiati per colmare il gap; i meno bravi tacitano la cattiva coscienza certificando in pagella, falsamente, che questo gap è stato colmato. Con le conseguenze disastrose che si possono immaginare se, come sostiene Zagrebelsky, “il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia” (cfr. p. 114).
L’ordinamento legislativo attuale non prevede alcuna differenza di trattamento fra insegnanti che mostrano la volontà e la capacità di intervenire efficacemente sugli alunni svantaggiati e insegnanti a cui difettano o la volontà o la capacità o entrambe le qualità. Risultato? Di Giorgi ha il coraggio di infrangere un tabù della cultura di ‘sinistra’: “le limitate prospettive di carriera […] rendono difficile attrarre i laureati più qualificati. Il sistema delle carriere dei docenti offre un unico percorso di carriera con incrementi salariali fissi basati esclusivamente sull’anzianità. In assenza di incentivi legati ai risultati [guai a parlare di valutazione differenziata dei singoli docenti, per principio tutti lavoratori preparati e coscienziosi!], la mobilità scolastica rimane l’unica possibilità di migliorare le condizioni di lavoro. Di conseguenza, le scuole delle zone svantaggiate tendono a essere private dei migliori insegnanti e ad esse vengono destinati insegnanti giovani e inesperti con contratti a tempo determinato” (p. 37). Come individuare e incentivare professionalmente quella “minoranza” (p. 152) di insegnanti che, “in ogni punto del sistema scolastico, possono determinare fluttuazioni e perturbazioni e dei cambiamenti a catena fino ad approdare a un’auto-organizzazione di livello superiore di tutto il sistema, rigenerando l’educazione” (p. 156) ?
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1 commento:
Buonasera Augusto. Ho appena letto la tua recensione al libro di Piero Di Giorgi. Devo dire, anche se non l'ho letto, che in gran parte le condivido, anche se ci scorgo un pericolo, quello di scaricare ancora una volta sugli insegnanti tutta la responsabilità per "una scuola in affanno". In realtà ci sono quelle gravissime delle autorità politiche del tutto ossequienti alla logica della scuola-azienda di stampo neoliberista. Il disastro provocato sul piano didattico e educativo è stato evidenziato dalla pandemia e dagli tragici episodi legati all'alternanza scuola/lavoro con la morte di due studenti. Mi è sembrato corretto fare questa sottolineatura, pur condividendo molte considerazioni. Con amicizia, Mauro.
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