O religione o ateismo?
Forse stimolato a scrivere questo nuovo libro per chiarire il suo rapporto col paradigma post-teistico, col quale dialoga da qualche tempo, Cavadi assembla il libro utilizzando e dialogando con più testi, a partire da “Religione senza Dio” di Ronald Dworkin (1931-2013), filosofo e giurista statunitense. Per Dworkin ciò che davvero conta non è tanto il credere in un Dio creatore personale o nell’evoluzione darwiniana ma, Dio o non Dio, religione è saper cogliere il valore intrinseco dell’universo e la bellezza oggettiva che permea l’esistente. Cavadi, senza nulla contestare alla concettualizzazione di Dworkin, pone invece precise obiezioni alla terminologia che adotta. In primo luogo cogliendo una forzatura nel costringere l’ateo alla religione, per la semplice possibilità del suo poter cogliere un ordine dell’universo. Più corretto utilizzare il termine religiosità invece di religione, come in effetti faceva Albert Einstein nel ricordarci «che ciò che ci è inaccessibile esiste realmente, manifestandosi come la più grande saggezza e la più grande bellezza che le nostre deboli facoltà possono comprendere in forma assolutamente primitiva: questa conoscenza, questa sensazione, è al centro della vera religiosità».
A differenza della religione la religiosità non implica ortodossie ed esprime dimensioni più estese e più profonde del concetto di Dio. Dialogando con L. Berzano (Spiritualità senza Dio?) Cavadi propone utili precisazioni semantiche, indicando con il termine spiritualità il livello di sensibilità base comune a tutti, con religiosità quel senso religioso sotto insieme della spiritualità non necessariamente legato a un assoluto divino, mentre con il termine religione esprime quelle specifiche spiritualità e religiosità che si declinano in appartenenze comunitarie, attraverso precise credenze e pratiche. Quindi la spiritualità è dimensione comune a tutti; la religiosità caratterizza credenti ma anche panteisti e agnostici; con religione si indica invece una peculiare forma spirituale di religiosità codificata comunitariamente e istituzionalmente, attraverso specifici testi, dottrine, culti e precetti. Va da sé che l’ordine logico-gerarchico che vede la religione poggiare sulla religiosità, e questa a sua volta sulla spiritualità, andrebbe rispettato, così da non trovarci con una religione sprovvista di religiosità o di spiritualità, mancanza talvolta riscontrabile nelle religioni rivelate istituzionalizzate.
Un capitolo del libro è dedicato al chiarire alcuni aspetti del naturalismo alla luce della spiritualità filosofica, dove Cavadi dialoga con il naturalismo espresso da Orlando Franceschelli. Naturalismo che lontano da amorali riduzionismi meccanicistici, propone una spiritualità laica capace di etica solidale. Coinvolgenti le pagine dedicate alla mistica laica di Lombardo Vallauri, meditazioni profonde della realtà, dell’infinitamente grande e piccolo, dell’incomprensibile e della complessità cosmica. Complessità che l’Autore approfondisce attraverso Stuart Kauffman, biologo e ricercatore statunitense, analista dei sistemi complessi e della loro relazione con la biosfera.
Le ultime 133 pagine del libro si concludono con un dossier di approfondimento, che raccoglie recensioni dell'Autore su testi del paradigma post-teistico e una coinvolgente relazione autobiografica “Dalle religioni alla spiritualità, ma senza trionfalismi", tenuta al Convegno nazionale delle comunità di base, dove un po’ controcorrente Cavadi evidenzia nella migrazione dalla religione alla spiritualità i possibili rischi di una spiritualità intimistica, se orfana di una compagnia viva che la sostenga.
Riguardo la compatibilità della spiritualità filosofica con quella confessionale che, in linea di principio, Cavadi sostiene e che Fabrizio Mandreoli nella sua postfazione afferma ricordandoci che « la spiritualità filosofica […] non è contraria rispetto a un’esperienza credente pienamente immersa nella tradizione », non posso non osservare una divergenza originaria tra le due spiritualità. Nelle religioni tradizionali rivelate, nonostante il possibile conciliarsi di fede e ragione, la possibilità di saltare a piè pari spiritualità e religiosità per proclamare una religione è implicitamente possibile, perché a differenza della spiritualità filosofica, frutto dell’iniziativa, della sensibilità e della ricerca umana, le religioni rivelate, proprio perché rivelate, indifferenti ad ogni umana inferenza proclamano l’irrompere del divino soprannaturale nel mondo e nella storia. Pretesa che capovolge la successione logico gerarchica di spiritualità che genera religiosità e poi religione, visto che la religione rivelata è evento che piomba nel mondo trascendendo l'esperienza e la conoscenza umana. Non c’è dubbio che i rispettivi rappresentanti delle due concezioni possano rispettarsi, ma le concezioni permangono differenti.
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Questa la fonte originaria:
http://www.brunovergani.it/item/4964-o-religione-o-ateismo.html#.YeV1ly9aZbU
2 commenti:
Ciao Augusto,
ho completato la lettura del libro "O religione o ateismo?".
Trovo che sia un libro denso, mediamente di non facilissima lettura, utile per fissare concetti e significati.
È un libro da studiare più che da leggere, merita di essere studiato e quindi ci tornerò sopra.
Certo che se il povero Dworkin avesse saputo che il suo libro sarebbe finito nelle tue mani .... non so se l'avrebbe scritto!
🤣🤣🤣
Ho letto il tuo "O religione o ateismo?" e se lo avessi fatto prima mi sarebbe anche servito per meglio interpretare la figura di Francesco d'Assisi. Ma mi trovo pienamente d'accordo, tranne che per qualche particolare.
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