nonmollare quindicinale post azionista | 098 | 20 dicembre 2021 _______________________________________________________________________________________
lo spaccio delle idee
La laicità di un pensatore religioso
di Orlando Franceschelli
Tra religione e ateismo esiste un «angusto aut- aut» (p. 38), oppure anche tra queste due posizioni estreme è possibile individuare un «fondamento comune»? Questo è l’interrogativo centrale a cui ci richiama Augusto Cavadi in O religione o ateismo? La spiritualità “laica” come fondamento comune (Algra Editore, Viagrande [CT] 2021, pp. 133, euro 12,00). E la risposta positiva - come suggerisce già il sottotitolo - è che questo fondamento può essere rinvenuto in una caratteristica basica di noi esseri umani: la spiritualità, che l’Autore invita ad analizzare con quella «vera laicità» a cui egli stesso sente di convertirsi «ogni giorno di più», grazie anche agli stimoli che in questa direzione sta ricevendo dalle amiche e dagli amici a cui non a caso è dedicato il libro. Cavadi è un maestro e un animatore del “con-filosofare”, non a torto ritenuto già da Aristotele indispensabile e piacevole per tutti coloro che amano impegnarsi nell’indagine filosofica, confrontarsi lealmente e migliorarsi reciprocamente. Amano insomma filosofare nel senso più proprio e coinvolgente del termine: non per mera curiosità o vanità accademica, ma come esercizio e testimonianza di quel «pensiero vivente» (Gramsci) di cui oggi più che mai si avverte il bisogno. E questo libro, arricchito anche da una puntuale Postfazione di Fabrizio Mandreoli (pp. 83-86) e da un Dossier dedicato al rapporto tra spiritualità contemporanea e filosofia-in-pratica (pp. 87-123), rientra a pieno titolo tra quelli che riescono a trasmettere in presa diretta la ricerca in cui sono impegnati i loro autori.
Cavadi si apre la strada verso il suo laico tertium datur tra religione e ateismo analizzando la già ricordata categoria di spiritualità e quella di religiosità, a essa strettamente collegata ma da essa distinta. E illustra il rapporto esistente tra queste due nozioni mediante i seguenti passaggi: la chiarificazione semantica e concettuale dei rapporti fede-religione (pp. 26-28); la rivisitazione della dimensione mistica avanzata da L. Lombardi Vallauri (pp. 53 sgg.) e dell’invito di S. Kauffman a reinventare il sacro concependo l’universo alla luce dell’emergentismo, ossia «senza un creatore soprannaturale» (p. 60); il serrato confronto con la visione della religione proposta dal pensatore americano Ronald Dworkin nel suo testamento filosofico (intitolato appunto Religione senza Dio). E alla fine effettivamente sembra difficile non convenire sulle conclusioni a cui arriva Cavadi: utilizzare le nozioni di “spiritualità” e “religiosità”, anziché “religione”, appare «molto più plausibile e illuminante» del ricorrere a formulazioni tipo «religione senza Dio» o «religione senza religione» (p. 26). A differenza di queste ultime infatti, “spiritualità” e “religiosità” consentono di non restringere l’analisi ai rappresentanti di quelle che agli occhi di Cavadi sembrano «due sparute minoranze», ossia ai «pochi credenti consapevolmente aderenti a un’ortodossia e [ai] pochi atei consapevolmente negatori di qualsiasi valenza sacra del cosmo fisico e morale” (p. 38). Più precisamente, consente di concepire l’attuale società secolarizzata come una sorta di piramide alla cui base ci sarebbe un cilindro più ampio che ospita la spiritualità «comune a credenti, atei e agnostici»; poggiato su questo primo cilindro ci sarebbe quello della religiosità, più circoscritto perché riguardante soltanto credenti e agnostici; al vertice un terzo cilindro ancora più ristretto perché riguardante i soli seguaci di una specifica religione confessionale e che - si badi - «non avrebbe solida fondazione se non presupponesse “religiosità” e, più basilarmente, “spiritualità”» (pp. 34-35).
Secondo Cavadi infatti, è soltanto dal tronco della spiritualità che possono maturare i fiori e i frutti sia della religiosità sia delle religioni confessionali autenticamente professate. Nonché dei seguaci dell’ateismo che (per quanto possano essere... pochi) sono comunque impegnati anch’essi -come ad esempio il nostro Leopardi - a far fiorire le «proprie potenzialità specificamente umane» (p. 33). Perciò all’Autore preme dissipare anche i fraintendimenti in cui incorre lo stesso Dworkin a proposito dei sostenitori del naturalismo filosofico. Usando il termine “religione” al posto di “religiosità” egli è indotto, a dir poco, a sottovalutare che anche questi naturalisti non solo rientrano pur sempre nel primo cilindro dell’umana spiritualità, ma spesso sono anche ben lungi dall’appiattire la propria ricerca teorica e il proprio impegno etico-politico – il loro «pensiero vivente» - su derive nichilistiche e assurdiste (pp. 43 sgg.).
Dal rapporto spiritualità-religiosità e dalla lucida consapevolezza del moderno pluralismo delle visioni del mondo, trae origine e alimento la «preghiera “laica” del pensatore “religioso”»: autentico snodo nevralgico del tertium datur su cui il libro invita a interrogarsi. Una preghiera presentata come «ordinariamente tacita e addirittura inconsapevole, [...] rivolta al cuore pulsante dell’universo» riconoscendo di non sapere «chi o cosa» sia questo cuore, ma dichiarando comunque la propria disponibilità ad «accettare con docilità il ritmo» che questo «chi o cosa» ha impresso all’universo stesso. Lasciando «ad altri la rivolta contro le leggi intrinseche dell’essere». Alla laica spiritualità e religiosità di Cavadi, infatti, «bastano, e avanzano, le dure lotte nella storia degli uomini contro le leggi ingiuste che i miei simili non smettono di avallare e riprodurre a mortificazione dei più deboli» (pp. 49-51).
Non a torto dunque il credente Mandreoli ritiene che la prospettiva individuata da Cavadi offra un’opportunità di «verificare l’autenticità – l’effettiva apertura al mistero e alla propria auto- trascendenza – dell’esperienza religiosa come singole persone e come comunità» (p. 83), nel quadro di «libertà di coscienza [e di] cittadinanza attiva e responsabile» delineato dalla nostra Costituzione (p. 85). A ben vedere però, alla sobria e serena mitezza di questa prospettiva e al «ripensamento decisivo» di tematiche teologico- filosofiche con cui indubbiamente è in sintonia (p. 69), sono tutt’altro che disinteressate/i anche le cittadine e i cittadini che si sentono approdate/ti a una visione non-sacrale del mondo, degli esseri umani e della storia. Sono cioè di orientamento naturalistico ma restano ben consapevoli di quanto sia importante - tanto più nelle nostre società sempre più meticce - il modo in cui i credenti testimoniano la loro interlocuzione con la divinità. E non aspirano a conferire al proprio naturalismo filosofico e alla propria passione civile - alla loro umana spiritualità e creatività - addirittura un potere di fatto analogo a quello del Creatore biblico: operare una sorta di creazione alla rovescia, decretando che il cosmo fisico è un’assurdità. Sono insomma donne e uomini che provano soltanto a pensare e agire «appetto alla natura» (Leopardi): a vivere con critica e solidale consapevolezza della finitudine, delle tragedie e delle opportunità che la comune condizione terrena pure offre a ogni essere senziente. E perciò non smettono mai di coltivare l’amicizia che anche - e forse proprio - il con-filosofare può alimentare e arricchire nel più auspicabile dei modi. Se è vero -come opportunamente ci ricorda Cavadi- che «la spiritualità non è né necessariamente atea né incompatibile con l’ateismo» e che anche tra ateismo e spiritualità può esserci «una relazione creativa e fertile» (p. 27).
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