“Adista/Documenti”
n. 41 del 20.11.2021
IL POST-TEISMO CONTEMPORANEO: FRA CONDIVISIONE E DIFFIDENZA
Fra i molti pregi, il numero 35 di “Adista/Documenti” mi ha aiutato a chiarire a me stesso perché il mio giudizio sul paradigma “post-teista” oscilli, quasi per una dialettica interna, fra condivisione e diffidenza. Da una parte, infatti, la radicalità e la schiettezza con cui si contestano i paradigmi teologici precedenti mi risultano liberatori e capaci di aprire scenari entusiasmanti: francamente lo stile abituale di molti teologi di dire-e-non-dire, o di smerciare come mere modifiche di linguaggio dei sostanziali mutamenti dottrinari, mi ha stancato da tempo. Gli studiosi che Claudia Fanti e don Ferdinando Sudati continuano a farci conoscere in lingua italiana preferiscono un più evangelico “Sì, sì; no, no” che consente, e in un certo senso impone, delle più nette prese di posizione da parte del lettore. E’ questa la ragione principale per cui ho aderito con convinzione, sin dall’inizio, all’interessante rete “Inedito cammino” di cui Federico Battistutta ha efficacemente sintetizzato la missione sul numero 37 di “Adista/Documenti”.
Che cosa, tuttavia, mi impedisce di sentirmi totalmente a casa, in buona compagnia, quando si tratta di proporre propositive, costruttive, alternative ai relitti ormai inservibili del passato? Direi che, dal punto di vista del metodo, non mi convincono alcune opzioni di fondo che sintetizzerei in tre parole-chiave.
La prima parola è storicismo ossia la convinzione che ciò che viene dopo sia necessariamente migliore di ciò che viene prima. “Il mondo sta sperimentando una mutazione di grande portata, una metamorfosi globale; ci troviamo nell’occhio dell’uragano di un nuovo tempo assiale simile a quello del VI secolo prima della nostra era. Le idee, i costumi, le relazioni, la geopolitica, la tecnoscienza ecc. configurano un contesto assai diverso da quello derivato dalle convinzioni più profonde del cristianesimo” (p. 3 del Testo-base Per un cristianesimo post-teista). E con ciò ? mi verrebbe da chiedere. Non può darsi che le “convinzioni più profonde del cristianesimo” siano più vere, o più solide o comunque preferibili, delle novità imposteci dall’attuale “uragano”? Sartre è più attuale di Parmenide: ma questa caratteristica non gli assicura per ciò stesso una maggiore autorevolezza, credibilità. La storia non procede, trionfalmente, di bene in meglio, ma a zig-zag: il Novecento, epoca di immensi progressi da tanti punti di vista, è stato insuperabile anche nei disastri (nazifascismo, socialismo staliniano, bombe atomiche liberal-democratiche…).
“Vere”, “solide”, “preferibili”, “autorevoli”, “credibili”…tutti aggettivi che presuppongono metri di giudizio ‘assoluti’. Che però confliggono con i “nuovi modelli epistemologici, pluralisti e relativisti che mettono in discussione l’esistenza di una verità assoluta” (ivi, p. 2). “Relativisti”: ma il relativismo – ecco una seconda parla illuminante – è una prospettiva ovvia, indiscutibile, starei per dire ‘assoluta’? Personalmente, se fossi relativista (e dunque ritenessi ‘oggettivamente’ equivalenti, interscambiabili, le teologie) mi terrei stretto il paradigma cattolico-medievale che tanto conforto può dare alle inquietudini e ai dubbi dell’uomo, anche contemporaneo, ma che trovo povero di ‘verità’. Se mi interessa il paradigma post-teista è perché lo ritengo più ‘vero’ (= più vicino alla realtà, al come-stanno-le-cose) di altri paradigmi teologici. Qualche anno fa lo psichiatra e psicoterapeuta Giovanni Jervis (nel suo Contro il relativismo) metteva in guardia dal rischio che - in clima relativista - tutto potesse passare per buono (dogmatismi autoritari inclusi: citava papa Raztinger).
Poiché è stato lo stesso Protagora, il primo teorico del relativismo, ad avvertire che si tratta di una prospettiva invivibile (per cui, in pratica, poi anche lo scettico sceglie una via piuttosto che un’altra, in base ad esempio a criteri di utilità), anche nel nostro ambito troviamo dichiarazioni, lucide e sincere, come quella di Rita Maglietta: si tratta di “individuare, ciascuna/o con i tempi, i modi e la gradualità che ritiene, quali argomenti non sono più compatibili con la propria sensibilità, sensibilità di donne e uomini del XX secolo. Per me l’interesse per questo filone non è di tipo conoscitivo, e non ha richiesto alcuna scelta drastica” (ivi, p. 7). Intendiamoci: né Rita né altri simpatizzanti del post-teismo si riferiscono alla “sensibilità” meramente soggettiva, quasi si trattasse di una questione di gusti (sui quali, come è noto, non est disputandum). Si riferiscono piuttosto a un sentire collettivo, a una sorta di “Spirito del tempo” o più limitatamente di “senso comune”: qualcosa, comunque, che tocca il nostro ‘sentimento’ (o presentimento), piuttosto che la nostra esigenza intellettuale di dirimere quelle “disquisizioni intorno a dio, sia post o ante, che forse hanno fatto il loro tempo e personalmente metterei da parte per un bel po’ ” (Silvia Papi, ivi, p. 9). Così l’anello si chiude: storicismo, relativismo, sentimentalismo (in senso tecnico, non riduttivo/spregiativo).
Dentro questo anello, per motivi logici o forse di struttura caratteriale, alcuni non ci ritroviamo. Per fortuna o per sfortuna (nostra e/o altrui) , a differenza di altre amiche e di altri compagni di viaggio, “abbiamo bisogno di dire cosa è Dio” (o cosa non è, se non è) e non ci “vanno bene tutte le risposte precedenti: è nel cosmo, è in tutto, è nella natura, è un’energia, una forza (…), è anche nella nostra umanità più profonda” (Rita Maglietta, ivi, pp. 7 – 8). Probabilmente la nostra ricerca filosofico-razionale, quando è in gioco l’ipotesi del divino, è destinata al naufragio totale; ma se essa contrassegna l’umanità di alcune e di alcuni di noi, è perché siamo ‘perversi’ o almeno ‘ritardati’? O non è la struttura antropologica in quanto tale configurata per dirimere le “questioni fondamentali” dell’esistenza non solo con l’intelligenza, ma anche con essa? Come mi è capitato di leggere non so più dove, è bello ogni tanto perdere la testa; ma anche farla funzionare comporta le sue gratificazioni.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
Occorrerebbe, perlappunto, distinguere Dio, questione fondamentale nella vastità di significato che comporta, dal circoscritto Dio antropomorfo della tradizione giudaico-cristiana, maschio, padre, che parla ai suoi prescelti e li salva attraverso le rivelazioni del Libro, la tradizione della Chiesa e le sue costruzioni dottrinali. Una corrente di pensiero che vuole una rifondazione teologica di questa seconda accezione di Dio, così da liberarsi non dall’ipotesi di Dio, ma da letteralismi biblici e da concezioni dottrinali incompatibili con le nuove scoperte scientifiche, più che post-teista andrebbe definita post-confessionale ed io la abbraccerei in pieno. Sarebbe, dunque, importante chiarire se con post-teismo si intende il superamento di questi castelli dogmatici e precettistici, oppure il netto rifiuto dell’ipotesi di Dio in tutte le sue accezioni a prescindere. In quest’ultimo caso il post-teismo correrebbe il rischio di fondarsi su una posizione meramente reattiva, posizione che ho visto serpeggiare in alcuni testi e nell’argomentare di esponenti del post-teismo che ho letto, efficientissimi nel mettere al bando Dio persona, quanto confusi nel vuoto prodotto. Peraltro l’operazione del superare il Dio persona si è conclusa storicamente da tempo con risultati non proprio brillanti, e il post-teismo nonostante le pretese di novità che avanza afferma, nella sua pars destruens, cose dette e ridette da tempo e meglio. Non a caso le tue condivisibili riserve nei confronti del post-teismo potrebbero essere rivolte all’illuminismo. Anch’io apprezzo la radicalità e la schiettezza con cui si contestano alcuni paradigmi teologici, ciò che mi lascia però perplesso nel post-teismo è che a operazione conclusa regna confusione e ambiguità nel definire chi si è ancora. Accoppato il Dio persona si è diventati panteisti? O atei? O si è optato per il materialismo naturalistico? Oppure a materialismo altra specie? E quale? Come si affronta il dolore e il male? Che etica si sviluppa e si propone?
Integro il precedente intervento annotando che la puntuale triade cavadiana SRS (storicismo; relativismo; sentimentalismo), è proprio il fondamento della New Age nel suo rompere con le tradizioni dell’era dei pesci per incamminarsi gloriosa verso il sol dall’avvenire della nuova Era dell’Acquario; dal relativismo del non è vero niente (quindi è potenzialmente vero tutto); della sentimentalità che dà consistenza e valore non a ciò che è e c’è, ma solo a ciò che piace e emoziona. Con la conseguenza che più ci si allontana dalla fede tradizionale più si rischia di diventare creduloni.
Un bel contributo caro Augusto!
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