LA RIVOLUZIONE ETICA DEL MONACO ABELARDO
Quelle poche persone che hanno sentito qualche volta il nome di Abelardo (XII secolo) lo associano alla sua Historia calamitatum e, in particolare, alla sua vicenda amorosa con l’alunna, tanto bella quanto intelligente, Eloisa. Infatti la più celebre delle sue calamità è stata la reazione non proprio cortese dei parenti che ne vendicarono l’onore di ragazza sedotta ma non maritata evirando il maturo professore universitario. Queste vicende, tra il romantico e il boccaccesco, hanno distratto l’attenzione dell’opinione pubblica colta dalle opere filosofiche e teologiche di questo “genio rivoluzionario e cartesiano” (V. Cousin), soprattutto dalla sua Etica (per secoli boicottata dalle autorità ecclesiastiche cattoliche, scandalizzate, secondo il domenicano Chenu, dallo “choc sovversivo” da essa provocato).
Proprio a quest’opera (socraticamente intitolata anche Scito te ipsum: infatti, secondo E. Gilson, “non potendo paganizzare il Cristianesimo, egli cristianizza il paganesimo), il filosofo-in-pratica torinese Roberto Di Bacco ha dedicato un’agile, leggibile, ma rigorosa monografia: L’etica di Abelardo(Segno, Feletto Umberto – Tavagnacco 2020, pp. 150, euro 14,00).
Di questo “eccentrico intellettuale antitradizionalista in odore di eresia” l’autore sottolinea dei temi che, contestati ai suoi tempi, sono diventati oggi di patrimonio comune tra i pensanti evoluti: a cominciare dal primato dell’intenzione rispetto alla materialità delle azioni per cui un determinato gesto va valutato non tanto nella sua ‘oggettività’ quanto alla luce delle ragioni e dei fini del ‘soggetto’ che lo compie. Un esempio clamoroso suggerito da Abelardo: un crocifissore di Cristo che agisce, prigioniero di ignoranza “invincibile”, per difendere l’onore di Dio è moralmente migliore di un ebreo che, indifferente a ogni problematica etica, non partecipa alla condanna a morte del sedicente Messia solo per menefreghismo e amor di quieto vivere.
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1 commento:
Questione complessa - come, del resto, ogni questione vera. Dal punto di vista del crocifisso infatti forse fa meglio l'ebreo menefreghista (tra parentesi, anche quest'ultino, in realtà, ha un'"intenzione": quella di amare il quieto vivere. O no?
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