“Il Tetto”
nn. 342 – 343
Giugno 2021
IL CAMMINO INCOMPIUTO DI ADRIANA ZARRI
Adriana Zarri è nota alla maggior parte dei lettori di questa rivista e i più giovani hanno potuto farsene un’idea leggendo, sul numero precedente, la recensione di Giancarla Codrignani al libro prezioso - accurato nella documentazione e limpido nell’esposizione – che le ha dedicato Mariangela Maraviglia: Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri, Il Mulino, Bologna 2020, pp. 220, euro 20,00. Alle note, intensamente personali della Codrignani, vorrei aggiungere qualche informazione e qualche considerazione.
Parto da un dato storico: la Zarri ha vissuto un proprio eremitaggio – interiore se non sempre fisico, materiale – ma avrebbe voluto sperimentare una qualche forma di vita comunitaria. I tentativi in questa direzione ci sono stati, ma senza esito duraturo. Possiamo chiedercene, con rispetto per la memoria della sua persona, le ragioni? O dobbiamo dare per scontato che il profeta è contestato sempre a torto?
Innanzitutto stima e affetto per lei – soprattutto da chi le è stato più vicino – non possono rendere ciechi su alcuni suoi limiti temperamentali e caratteriali di cui nessuno al mondo – o almeno nessuno che io abbia conosciuto, a cominciare da me – è esente. Di certe rigidità relazionali ebbi modo di fare esperienza anch’io nell’unico, fugace, incontro nel corso di un convegno di teologia nella seconda metà degli anni Ottanta. Ma, anche grazie al libro della Maraviglia, che ha inserito le opere della Zarri nel contesto del travaglio teologico della stagione postconciliare, mi sono potuto rendere conto adesso – diciamo grazie a un distanziamento prospettico – di una ragione più profonda del suo relativo isolamento. Per dire in breve, è come se la scrittrice si sia trovata sola in una terra-di-nessuno fra la solida ortodossia preconciliare (rifiutata) e il paradigma ‘evangelico’ dei progressisti (non accettato integralmente) . Ella è andata sì indietro, ma ha ritenuto sufficiente rifarsi all’era patristica greca e latina. La sua generazione si è trovata, infatti, a ereditare un sistema di dogmi, di celebrazioni liturgiche, di norme morali - concernenti la condotta individuale come la convivenza sociale - che possiamo chiamare cattolicesimo medieval-tridentino. Intuito poetico, sensibilità estetica, attitudine mistica, postura femminile non potevano consentire ad Adriana Zarri di accettare tout court quella cattedrale imponente ma soffocante: da qui le sue polemiche aspre contro Giovanni Paolo II, contro molti vescovi e teologi e politici cattolici che, sostanzialmente, difendevano quella cattedrale. Ma, forse perché non aveva compiuto studi organici di teologia o perché prediligeva l’approccio letterario-sentimentale, non ha accettato neppure di passare al fronte opposto di quei ‘contestatori’ in odore di ‘eresia’ (Raimundo Panikkar, Hans Küng, Tullio Goffi, Enzo Mazzi, Giulio Girardi, Giovanni Franzoni, Paul Knitter, Ernesto Balducci, Eugen Drewermann, Edward Schillebeecks, Giuseppe Barbaglio, Luigi Lombardi Vallauri, Carlo Molari, Alberto Maggi…) che non si limitavano a rifiutare questo o quell’articolo del catechismo, questo o quel divieto etico, ma rimettevano in discussione la cattedrale medieval-cattolica sin dalle fondamenta (dall’unicità della rivelazione biblica alla teoria del peccato originale, dall’indissolubilità del matrimonio-sacramento alla differenza ‘ontologica’ del prete rispetto ai laici). La sua dura polemica ‘apologetica’ contro Ortensio da Spinetoli o Franco Barbero – rei di negare che dogmi come la “Trinità” e la “Incarnazione di Dio” fossero davvero contenuti nel Nuovo Testamento - era frutto, a mio parere, di disinformazione e di presunzione: non teneva conto del fatto che stava giudicando, da esegeta dilettante, degli specialisti di alto livello . E, se non estese la polemica ad altri suoi amici, come don Luigi Sartori o don Carlo Molari o p. Alberto Maggi, fu perché – evidentemente - non comprese (a differenza delle occhiute autorità vaticane) che le loro tesi erano, nella sostanza, altrettanto radicali e innovative. Adriana Zarri, come tanti ai suoi e ai nostri giorni, si illuse di poter perseverare nell’adesione ad alcuni postulati e teoremi del cattolicesimo medieval-tridentino e rifiutarne alcuni corollari (come la diffidenza verso la sessualità o la pretesa di condizionare l’autonomia legislativa degli Stati democratici). E’ un errore di valutazione: la chiesa cattolica rispetta e corteggia chi si dichiara ‘esterno’, ma è implacabile con chi resta ‘dentro’, ai margini, per esercitare la parresìa. In venti secoli il cattolicesimo si è andato strutturando come una immensa, ordinatissima, perfetta macchina in cui “tutto si tiene”: o la si accetta, estasiati e proni d’ammirazione, o è meglio non metterci mano per riparazioni parziali. Si rischia di restarne con le dita stritolate. Paolo VI, così facile al pianto, ne seppe qualcosa; qualcos’altra la sta imparando papa Francesco sul suo letto di Procuste.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Ho letto le cose che mi hai inviato. Mi rinnovi ricordi lontani. Sono l'unico fondatore dell'Agenzia ADISTA vivente. Sono stato amico di Adriana Zarri con la quale abbiamo cercato per un periodo di tempo una qualche castello abbandonato o casolare di campagna nel Lazio per vivere in comunità. Ne parlo nell'ultimo mio lavoro, ancora da appaltare, dal titolo "Storia e storie di personaggi straordinari del XX secolo conosciuti da vicino", dove, oltre ad Adriana, ci somo Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, Adriano Ossicini, Marcello Vigli, Vladimiro Dorigo, Gerard Lutte e Giulio Girardi e tanti altri. Un abbraccio, Piero
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